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Grandi brand sui siti porno, il trucco di Google per gonfiare i numeri

Il rapporto Adalytics rivela annunci di grandi marchi su siti per adulti tramite Google, sollevando preoccupazioni sulla trasparenza e l'uso di algoritmi complessi.

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Avatar di Valerio Porcu

a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Pubblicato il 30/11/2023 alle 13:02 - Aggiornato il 01/12/2023 alle 18:31

Google è al centro di una controversia dopo che un rapporto di Adalytics ha rivelato la presenza di annunci di grandi marchi su siti per adulti. Brand come Amazon, Apple, Microsoft e agenzie governative come il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti e la Commissione europea sono stati coinvolti in questa situazione imbarazzante.

Questi e altri marchi si affidano a Google per la diffusione online della loro pubblicità, tramite la Google Search Partner Network (SPN). Quando vediamo una pubblicità su un sito, infatti, non significa che quella specifica azienda ha scelto quello specifico sito per fare pubblicità, ma solo che un partner - Google nella maggior parte dei casi - ha deciso di abbinarli. 

I clienti possono però chiedere di non essere associati a certi contenuti, e in genere chiedono di non mostrare annunci su siti per adulti, di gioco d’azzardo e altre categorie sgradite. L’idea è che mettere pubblicità su certe pagine possa compromettere la reputazione del marchio. Oltre al danno d’immagine, alcune aziende dichiarano di non voler finanziare certe attività - per quelle illegali ca va sans dire naturalmente.

Dunque, Google avrebbe esposto i suoi clienti al rischio di danneggiare la propria immagine, senza che i clienti stessi ne fossero al corrente. L'indagine di Adalytics ha rivelato che anche organizzazioni benefiche come la American Cancer Society e i media di alto livello, tra cui The Guardian e The New York Times, hanno visto i loro annunci su siti illegali. Oppure si sono visti prodotti per adulti, come le bevande alcoliche, comparire su siti per bambini. 

I dati diffusi hanno provocato una certa agitazione e molti clienti stanno chiedendo spiegazioni Google. Come nel caso del motore di ricerca, tuttavia, i criteri con cui vengono distribuite le pubblicità non sono noti. E l’unico modo per far venire alla luce qualche dettaglio, probabilmente, sarebbe il tribunale. 

Sicuramente, tuttavia, possiamo affermare con certezza che posizionare le pubblicità su siti ad alto traffico - a prescindere dal tipo di sito - permette di raggiungere molte persone, quindi di dire poi al cliente di aver realizzato un’operazione di successo. Finché nessuno se ne accorge, può funzionare.

La posizione di Google

Google ha rilasciato una dichiarazione tramite Dan Taylor, Vice President di Global Ads, che ha affermato: "Adalytics è solita pubblicare report imprecisi che travisano i nostri prodotti e contengono affermazioni decisamente esagerate. Stiamo facendo una review del report, ma la nostra analisi dei siti e le informazioni limitate già condivise con noi non hanno individuato entrate pubblicitarie condivise con una singola entità sanzionata.

Gli esempi condivisi riguardano il nostro prodotto Programmable Search Engine (ProSE) - una piccola parte della nostra Search Partner Network (la rete dei partner di ricerca)-, uno strumento di ricerca gratuito che offriamo ai piccoli siti web affinché possano offrire un'esperienza di ricerca direttamente sui loro portali. Gli annunci possono apparire in base alla specifica query di ricerca dell'utente; non sono mirati o basati sul sito web su cui appaiono. I siti web che si limitano a implementare ProSE non ricevono alcun introito pubblicitario da tali annunci.

Inoltre, ProSE rappresenta una minima parte della nostra Search Partner Network. Le affermazioni di Adalytics sulle entrate relative a piccoli siti come gli esempi che abbiamo esaminato sono francamente insensate". 

Google è responsabile?

Non si può pensare, né sarebbe sensato, che ci sia del dolo da parte di Google. Ma di certo non ci si può accontentare di un infantile “non l’ho fatto apposta”, anche perché la risposta adulta e matura non potrebbe essere “sì ok ma conta che l’hai fatto”. 

Dunque, nell'ipotesi che si tratti di un errore in buona fede il problema resta. Anzi, sembra che gli annunci continuino a comparire dove non dovrebbero anche dopo un ipotetico intervento correttivo. 

Il che ci rimanda a un problema più profondo: come altre società “basate sugli algoritmi” Google si trova a usare strumenti che non si sa bene come funzionino. Nessuno, nemmeno all’interno di Google, saprebbe dire esattamente perché un algoritmo fa una certa cosa: perché una pubblicità compare su un certo sito, perché un certo sito è primo nei risultati di ricerca, perché Youtube consiglia un video piuttosto che un altro… si potrebbe continuare. 

Dunque, abbiamo una società con un fatturato annuo da centinaia di miliardi di dollari, una delle società private più grandi e potenti del mondo che usa strumenti delicatissimi gestiti dal Cappellaio Matto. Forse non è la migliore delle situazioni, ma visto le gargantuesche cifre in gioco, nessuno è pronto a fare cambiamenti troppo radicali.

Immagine di copertina: ©bumbledee/123RF.COM

Fonte dell'articolo: arstechnica.com

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