La giustizia italiana vira sul digitale ma a vele ammainate

Da oggi il processo civile dovrà essere gestito interamente in digitale.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Da oggi i processi civili in Italia si possono gestire solo in via digitale.  Peccato che il nostro sistema giudiziario sia inadeguato, con computer troppo vecchi e lenti, reti traballanti, server raffazzonati e personale impreparato. Lo segnala Alessandro Longo su l'Espresso.

Il processo civile telematico dovrebbe rappresentare una vera e propria rivoluzione, ma (tanto per cambiare) anche uno di quei cambiamenti epocali "all'italiana". Più che altro l'occasione per tagliare un nastro e festeggiare, e a far le cose per bene ci si penserà con calma. Anzi, meglio che ci pensi qualcun altro.

Giudici digitalizzati

Ovvio che una cosa del genere non si può fare dall'oggi al domani, e ancora più ovvio che non basta nemmeno investire per adeguare l'infrastruttura e le attrezzature. Perché poi bisognerebbe spiegare alle persone, ai giudici, agli amministrativi, tutto un nuovo modo di lavorare. Non è una cosa che si fa in quattro e quattr'otto; ci vogliono anni.

Ma bisognava pur cominciare, e così da oggi addio carta: tutti gli atti si trasmettono in digitale. Toccherà poi ai documenti precedenti al 30 giugno, e dal 2015 al processo amministrativo. Una crociata contro la carta, che idealmente dovrebbe snellire e velocizzare, ma c'è il rischio che diventi una strozzatura, un imbuto che – almeno per un po' – renderà le cose ancora peggiori.

E infatti sono tante le voci che hanno sollevato dubbi, in particolare tra i magistrati. È proprio il CSM a dirci che il 40% degli uffici non ha computer in buono stato, al 27% manca una connessione Internet adeguata – valore che passa al 37% nel caso dei tribunali. Si lamenta poi un'eccessiva lentezza da parte dell'assistenza tecnica - gestita da terzi.

Dulcis in fondo (si fa per dire) in molti casi bisognerà accontentarsi di una connessione ADSL appena sufficiente – ma non è detto che regga per davvero. Ecco così che in alcuni casi si adempie all'obbligo e "si spera" che vada tutto bene, come dice Marco Campagnolo, magistrato responsabile del settore informatico a Venezia.

E avvocati

Quanto ai computer, il governo ha messo sul tavolo 8 milioni per l'acquisto di computer portatili che i magistrati potranno usare per lavorare da casa – un'idea difficile da mettere in pratica. Comunque li stanno consegnando, e già possiamo immaginare gli allarmi e prevedere gli incidenti per quanto riguarda privacy e sicurezza.

Ci sarebbero altri dettagli, come il fatto che la PEC (Posta Elettronica Certificata) accetta allegati da 30 MB al massimo, che i server sono nelle stesse condizioni dei PC, o che ci si affida a una smartcard per la firma digitale – tre settimane per ottenere la prima o una sostituta, tanto per restare in tema di giustizia veloce.

Insomma si sta un po' forzando la mano, ma c'è chi è d'accordo. Come l'avvocato ed esperto di diritto digitale Ernesto Belisario, secondo cui sarebbe stato meglio premere ancora più a fondo sull'acceleratore. "Una fonte informata che preferisce restare anonima", conclude Longo, "accusa i magistrati di remare contro l'innovazione per un preciso interesse personale: hanno capito che il processo civile telematico permetterà per la prima volta di tracciare quanto (e se) effettivamente lavorano".

Ecco, come al solito si cambia nulla per non cambiare niente. La digitalizzazione non porterà a processi più veloci, ma al limite cambierà la scusa che ci sentiremo dire in caso di fastidiosi e costosi ritardi. C'è chi approva, chi si oppone, e chi accusa i dipendenti pubblici di essere dei fannulloni. Storia vecchia in salsa digitale.