Novità su Smart Working nella Pubblica Amministrazione, cosa cambia?

Oggi i nostri consulenti legali ci spiegano in dettaglio cosa cambia per lo smart working nella pubblica amministrazione all'interno delle nuove linee guida rilasciate dal ministero.

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a cura di Redazione Diritto dell’Informatica

Sono state pubblicate le tanto attese Linee guida per la Pubblica Amministrazione contenenti le indicazioni per l’allocazione e la gestione del personale in smart working.

I detrattori delle Linee guida si dichiarano delusi da un testo che ritengono quasi essere un implicito elogio del passato: viene infatti evidenziato che risulta pressoché assente una parte che approfondisca temi quali premialità (e penalità), così come le modalità specifiche di raggiungimento degli obiettivi e qualsiasi piano strutturato che definisca i metodi.

Il Ministro Brunetta, invece, si è dichiarato orgoglioso del fatto che, al contrario del settore privato, la maggior parte dei dipendenti pubblici è tornata a lavorare in sede, sottolineando (senza volerlo, si crede) come il pregiudizio del lavoro agile/lavoro volubile forse non è del tutto scomparso dall’immaginario collettivo e forse nemmeno scomparso dall’inchiostro degli addetti ai lavori.

Ma senza ulteriori specifiche, vediamo le caratteristiche essenziali di tale Documento.

Differenze tra Smart Working e lavoro da remoto, cosa dice il Ministro Brunetta

Le Linee guida suggeriscono, ove possibile, che la maggior parte del personale pubblico venga impiegata in presenza. A quest’assunto consegue il fatto che, laddove i dipendenti lavorino “da casa”, il sistema complessivo di erogazione del lavoro rispecchierà, quasi pedissequamente, la modalità in presenza.

Questo significa che gli orari, nel concreto, saranno pressoché simili agli orari standard d’ufficio, che la reperibilità sarà pressoché omogenea rispetto a quella che sussiste in sede e che le modalità di svolgimento del lavoro non porranno particolari questioni estranee all’ordinario.

La totalità di tali fattori sembra voler ricondurre il lavoro “da casa” dei dipendenti pubblici ad un distaccamento del lavoro presso l’Amministrazione stessa e, quindi, la possibilità di definire (e limitare) questa tipologia di prestazione come lavoro da remoto e non invece lavoro agile (aspettativa che in molti si prefiguravano agli albori della protratta pandemia da Covid-19).

L’Amministrazione dovrà, inoltre, valutare l’idoneità della postazione lavorativa in smart per il corretto svolgimento delle mansioni, questione che, secondo taluni, porterà la maggior parte degli Uffici a valutazioni restrittive dell’idoneità stessa per azzerare i rischi (ovverosia spingendo nella maggior parte dei casi per il lavoro in sede).

Cos’è e cosa introduce il diritto alla disconnessione?

Ma veniamo ora agli aspetti del documento che sicuramente rappresentano delle conquiste in termini di diritti dello smart worker.

Il testo parla espressamente di diritto alla disconnessione.

Durante la prima fase della pandemia, i lavoratori sono stati investiti da un mondo virtuale pressoché totalizzante, all’interno del quale non sono stati più chiari i confini del reale e del virtuale.

Lavorativamente parlando, il virtuale è reale nel momento in cui il lavoratore è costretto non solo al lavoro telematico ma anche alla costante reperibilità. In una situazione contingente in cui la determinazione dell’orario lavorativo non è più tracciabile tramite la visione del lavoratore che fisicamente arriva e fisicamente si allontana dal luogo di lavoro, si sono create situazioni paradossali in cui, esplicitamente o implicitamente, veniva richiesto al lavoratore di evadere la corrispondenza o di rispondere alle chiamate anche al di fuori dell’orario di reperibilità, comportando situazioni di stress ed ansia non sottovalutabili, finanche di burnout.

Di qui l’esigenza di “normativizzare” il divieto di riprendere un lavoratore “legalmente” disconnesso, ma anche di premiare uno smart worker online in un lasso temporale in cui lo stesso non è tenuto ad esserlo.

Si tratta, in specie, di un’indubbia conquista delle Linee guida in esame dati gli innumerevoli rischi di impatto psicofisico che una over-comunication lavorativa può ingenerare.

Gli strumenti necessari allo Smart Working devono essere di proprietà dello Stato o del lavoratore?

Il Testo garantisce al lavoratore la fornitura di adeguati strumenti tecnologici per l’erogazione della prestazione lavorativa, comprensiva di adeguata connessione e di strumentazioni funzionali al raggiungimento delle applicazioni necessarie per svolgere l’attività.

La particolarità introdotta consiste nella possibilità per il lavoratore di dotarsi di strumentazioni proprie, eventualità che può risultare utile o meno, a seconda della singola posizione soggettiva.

Accordo individuale per Smart Working o lavoro da remoto

Per stabilire le condizioni contingenti, l’Amministrazione dovrà sottoscrivere un accordo individuale con il singolo lavoratore. Accordo individuale che, al netto della flessibilità temporale e della scontata alterità del luogo di lavoro rispetto all’Ufficio, non sembra offrire ulteriore valore aggiunto al lavoratore rispetto ad un mero distaccamento.

Le Amministrazioni non saranno vincolate a stringenti regole che le obblighino a tenere una percentuale fissa del personale in smart working. Pertanto, la loro autonomia decisionale viene dalle Linee guida pressoché conservata: avranno, né più né meno, quanti smart workers vorranno.

Dubbi e sviluppi sullo Smart Working nelle PA

Con questo Documento il Ministero ha offerto agli smart workers pubblici alcuni strumenti di tutela di indubbia legittimità, primo fra tutti il diritto alla disconnessione.

Restano, però, alcuni dubbi che potranno essere meglio chiariti soltanto dall’applicazione concreta di queste Linee guida.

Si è riusciti a colmare il divario che intercorre tra ambito pubblico ed ambito privato, rispetto ai meccanismi di performance improvement (in termini di contenimento dei costi rapportati al raggiungimento degli obiettivi)?

Si è riusciti a incentivare la “delocalizzazione” dei dipendenti pubblici, favorendo la definizione del domicilio privato come luogo idoneo alla prestazione di lavoro?

Si è riusciti ad introdurre meccanismi concreti che aiutino il settore pubblico ad intraprendere (perlomeno) quel percorso che lo definisca orientato ai risultati e non più arroccato al computo delle ore (la cd., e stereotipata, timbratura del cartellino)?

Si è riusciti a persuadere gli scettici che si parla e si tratta di lavoro agile e non di lavoro da remoto?

Non si può, tuttavia, fare a meno di chiedersi se davvero la Pubblica Amministrazione sia già tornata al lavoro.

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