Perforazione dei Campi Flegrei per studiare il supervulcano

Servono fondi per riprendere il progetto CFDDP (Campi Flegrei Deep Drilling Project) per la perforazione dei Campi Flegrei a scopo di indagine scientifica. Ecco di che cosa si tratta nell'intervista con il dottore Stefano Carlino di INGV.

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a cura di Elena Re Garbagnati

A pochi giorni dalla pubblicazione delle conclusioni in un articolo su una prestigiosa rivista scientifica internazionale sul progetto italiano CFDDP (Campi Flegrei Deep Drilling Project), abbiamo intervistato il dottore Stefano Carlino, ricercatore INGV Osservatorio Vesuviano, per capire a che punto sono i lavori e per quando è previsto l'avvio del progetto che mira a studiare i Campi Flegrei con una perforazione del suolo.

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I Campi Flegrei sono una grande caldera nell'area a nord ovest di Napoli in cui è situata una depressione con un diametro di 12-15 chilometri, che rappresenta un'area di primaria importanza per la vulcanologia italiana: costituiscono un'area ad alto rischio, e al contempo lo studio della dinamica magmatica profonda di quest'area potrebbe essere determinante per identificare le caratteristiche dell'attività vulcanica e salvaguardare il territorio.

A settembre 2012 prese il via il progetto CFDDP (Campi Flegrei Deep Drilling Project), che prevedeva lo scavo di un pozzo profondo fino a 3 chilometri circa che doveva essere attrezzato con strumenti di avanguardia, in modo da funzionare come osservatorio geofisico profondo.

Le operazioni furono interrotte dopo la fase preliminare, quando il progetto fu preso di mira da forti polemiche legate ai rischi di scatenare un disastro naturale.

Ai tempi il dottore Stefano Carlino, geologo e ricercatore presso l'Osservatorio Vesuviano (INGV) e a capo del progetto CFDDP, parlò di polemiche senza alcun fondamento scientifico, ma non tutta la comunità scientifica fu concorde.

Cerchiamo di capire di che cosa si tratta

Il dottor Carlino ci sipiega che "oltre ad approfondire lo studio della storia del Campi Flegrei, il progetto è incentrato principalmente sulla comprensione del fenomeno del bradisismo ossia il periodico abbassamento e innalzamento del suolo. La caldera infatti non è mai ferma, sale o scende, e poiché non possiamo arrivare in profondità nell'ordine di 2, 3 o 4 chilometri per capire direttamente che cosa succede, facciamo dei modelli matematici e fisici basati sui dati che vengono acquisiti in superficie con strumenti di monitoraggio geofisico e geochimico. La perforazione ha il vantaggio che si possono misurare direttamente all'interno della crosta parametri che non possiamo misurare altrimenti, come per esempio la temperatura che è fondamentale perché ci può dare informazioni relative alla presenza di magma".

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Dottore Stefano Carlino, INGV

"Il fenomeno del bradisismo non è ancora ben chiaro, non si sa se sia dovuto alla propagazione di fluidi in pressione in superficie attivati da una camera magmatica più profonda, o al magma,  o alla combinazione fra questo due effetti. Opzioni che prevedono scenari di rischio molto diversi perché un conto è se il bradisismo è causato dai fluidi geotermali in pressione (lo scenario meno rischioso), un conto se la dinamica è associata all'intrusione di magma. Fare una perforazione a una profondità che si può approssimare a quella del magma (fatto che si può controllare durante la perforazione stessa con appositi strumenti che rilevano se la temperatura si sta approssimando a quella di fusione delle rocce) si può capire dove c'è il magma e quindi se effettivamente durante le crisi dell'82-84 ci può essere stata un'intrusione di magma.

Durante la perforazione si possono prelevare campioni di roccia da analizzare e datare, importante per capire dove e quando si sono messi in moto i corpi magmatici".

Perforazione a che profondità?

"Pensiamo che il magma - se c'è e se i modelli che prevedono l'intrusione di magma per i fenomeni di bradisismo sono corretti - dovrebbe essere collocato fra 3 e 4 chilometri di profondità. La profondità potrebbe essere diversa, per quello è importante capire cosa c'è durante la perforazione stessa, cosa che è già successa in Islanda durante una perforazione per altri motivi sul vulcano krafla, e che ha rivelato informazioni inaspettate. In questo modo è emerso il limite delle indagini geofisiche precedenti.

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Precisiamo comunque che si parla di perforazioni scientifiche ad altissima tecnologia - ecco il motivo dei costi - che non hanno nulla a che vedere con le perforazioni che si fanno in altri ambiti di tipo industriale".

Cosa troveremo?

"Non potremo comunque prevedere un'eruzione. La previsione è ancora lontana, ma non perché non abbiamo trovato il modo per condurre le indagini, quanto perché i processi legati alle eruzioni sono complessi. Non possono essere previsti in maniera deterministica. D'altro canto un pozzo come l'abbiamo progettato noi avrebbe il vantaggio di capire se effettivamente c'è del magma e in caso positivo dove, e a cosa è dovuto il bradisismo. Già questo sarebbe un grandissimo passo avanti perché smetteremmo di basarci su modelli matematici e lavoreremmo su fatti sperimentali e concreti.

In secondo luogo, all'interno dei pozzi si possono mettere le stesse strumentazioni che usiamo in superficie, con il vantaggio che più andiamo in profondità più eliminiamo il rumore ambientale dovuto alle attività antropiche, quindi aumenterebbe la sensibilità a vantaggio del monitoraggio".

A che punto siamo?

"Il progetto afferisce al comitato International Continental Scientific Drilling Program (ICDP) a cui vengono sottomesse le perforazioni profonde che riguardano lo studio della dinamica della Terra. Dopo la fine del progetto pilota si è aperto il problema della raccolta fondi per il progetto principale, che richiede all'incirca 8-9 milioni di euro: una cifra non esagerata in senso assoluto, e rispetto ai rischi di quest'area reputiamo che è una spesa che vale la pena di fare. Ma al momento siamo fermi perché per presentare il progetto esecutivo dobbiamo capire dove reperire i fondi, di cui al momento abbiamo solo una piccola percentuale. È un problema della ricerca italiana in generale, non solo della nostra".

"Il nostro progetto è stato portato avanti in collaborazione con moltissimi enti di ricerca e università straniere, fra cui l'ETH di Zurigo, l'USGS statunitense, l'Università di Madrid e via dicendo, e i risultati vengono sempre visti nell'ottica di confrontare i dati rilevati con quelli di altri siti per valutare i rischi delle dinamiche legate alle caldere, che hanno una dinamica diversa rispetto ai vulcani. L'ICDP prevede quindi una collaborazione internazionale fra più enti di ricerca".

Sicurezza e polemiche

"Non c'è alcun pericolo né legato al rischio di eruzioni né a quello di terremoti. Un'informazione sbagliata che purtroppo è stata data anche da esponenti del mondo della ricerca - e questo rammarica - è che avremmo condotto un'operazione di fracking - peraltro vietato in Italia- che è una tecnica impiegata per esempio per le estrazioni petrolifere, e che può generare terremoti. Noi non faremo nulla del genere, e lo dimostra sia l'esperienza islandese già descritta sopra, sia quella giapponese del '98 del vulcano Unzen, sia molte altre. Sul sito ICDP ci sono tutti i progetti di perforazione scientifica condotti finora a livello mondiale, e nessuno ha avuto effetti collaterali come quelli descritti dalle critiche al nostro progetto".

Secondo il dottor Luca De Siena, vulcanologo dell'Università di Aberdeen che ha trascorso quattro anni presso l'Osservatorio Vesuviano, "è un perfetto esempio di armonico equilibrio tra non fare abbastanza per impedire una catastrofe, e fare troppo".

Lo stesso De Siena, tuttavia, è dell'idea che potrebbe esserci un altro modo per studiare il supervulcano senza la perforazione della crosta, ricorrendo all'aiuto della tecnologia chiamata tomografia.

Carlino tuttavia ci spiega che non avrebbe la stessa efficacia. "Premesso che le tomografie sono state fatte ai Campi Flegrei dagli anni '90 in poi, il problema è legato alla risoluzione. Grandi bacini magmatici, dell'ordine di diversi chilometri, con la tomografica si riescono a vedere. Ma se si cerca di vedere oggetti troppo piccoli (dell'ordine del chilometro), come le intrusioni di magma a profondità più superficiali, non si vedono.

I motivi sono due: il primo è che l'oggetto è troppo piccolo, quindi la lunghezza d'onda utilizzata è maggiore della lunghezza di questi oggetti quindi è come se l'onda passasse ma non rilevasse nulla. Il secondo è che noi immaginiamo il magma come qualcosa di fuso, come la lava che vediamo in superficie, invece nella crosta terrestre non è così, perché sebbene le temperature possano essere elevate, lo sono altrettanto le condizioni di pressione, i magmi sono più simili a un solido che a un liquido, quindi le onde non li vedono".

Vi terremo aggiornati ad avvenuta pubblicazione dei risultati della prima fase della ricerca.