Pirateria: ora il bersaglio dei discografici è Google

Le ultime lettere dei produttori discografici a Google mostrano che c'è una nuova strategia. Si passa dalla segnalazione di singoli file a quella d'interi siti. Potrebbe essere il preambolo a manovre più grandi?

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Le associazioni dei produttori discografici prendono d'assedio Google, nella battaglia che le vede combattere contro la pirateria online. I discografici britannici (BPI) e la IFPI hanno infatti alzato la posta e chiesto a Google di eliminare interi siti dai risultati delle ricerche.

Google, noto covo di pirati

Fino a oggi le richieste riguardavano singoli file: se la BPI o altri gruppi individuavano un file illecito, chiedevano al motore di ricerca la rimozione. È una comunicazione che si chiama take down notice ed è ritenuta del tutto ordinaria. Le ultime però sono diverse: potete leggere qui quella della BPI e qui quella della IFPI.

Le case discografiche stanno chiedendo a Google di far scomparire alcuni domini dai risultati perché si tratta di siti noti per la violazione di copyright. Ci sono Megaupload, The Pirate Bay e altri meno famosi, nel gruppo.

"Con questa lettera vogliamo assicurarci che il materiale illecito sia reso inaccessibile o rimosso da Internet il più velocemente possibile con la vostra collaborazione. Sottolineiamo tuttavia che le aziende che la IFPI rappresenta né la IFPI stessa hanno la responsabilità di trovare il materiale illecito e informarVI", si legge sulla lettera indirizzata a Google.

La differenza rispetto al passato è sostanziale: le  case discografiche comunicano a Google siti "noti per la violazione di copyright" e ne chiedono la rimozione. Allo stesso tempo dicono che non sta a loro scandagliare la rete per cercare file illeciti, come impone il modello attuale. Fino a oggi in effetti le cose non hanno funzionato molto bene e trovare file pirata è ancora relativamente facile, anche tramite l'homepage di Google.

Megaupload paga il prezzo della fama.

In arrivo però potrebbe esserci di più. Mike Masnik (Techdirt) ipotizza che questa nuova strategia sia il primo passo verso una procedura legale mirata a far ricadere maggiori responsabilità su Google. Oggi infatti le discografiche possono affermare di aver informato Google sui siti da filtrare. Domani forse questa comunicazione potrebbe essere il punto di partenza per qualcosa di più rilevante.

Portare Google in tribunale è probabilmente rischioso, ma ultimamente è anche di gran moda. E si sa, nel mondo dello spettacolo le mode non solo si seguono, ma si creano.

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