Riconoscimento facciale, l'IA può identificarci anche da una risonanza magnetica

Uno studio ha dimostrato che le attuali tecniche di riconoscimento facciale sono così avanzate da riuscire ad abbinare un paziente all'immagine della propria risonanza magnetica, costituendo un grave rischio per la privacy, in un contesto dove le leggi avanzano più lentamente della tecnologia.

Avatar di Alessandro Crea

a cura di Alessandro Crea

Molletta, patata, imbuto, asciugamano, persino un paiolo di rame e il celeberrimo accento svedese non furono sufficienti al protagonista di un noto film degli anni '80 per non farsi riconoscere al telefono dal proprio capo. Allo stesso modo sembra che ormai non si possa sfuggire agli algoritmi del riconoscimento facciale. Un recente studio citato dal Wall Street Journal e svolto da ricercatori della Mayo Clinic, una catena di ospedali statunitensi, ha infatti dimostrato come, utilizzando le normali tecnologie di riconoscimento facciale accessibili a tutti, sia stato possibile abbinare il volto dei pazienti con le relative risonanze magnetiche, con una precisione superiore all'80%.

‎Le immagini prodotte tramite tecniche di risonanza magnetica e impiegate per identificare problematiche cerebrali e del midollo spinale, tra cui aneurismi, ictus e altri problemi, com'è noto mostrano solo un contorno accennato della testa, tra cui la pelle e grasso, ma non ossa o capelli, eppure queste poche indicazioni sono state sufficienti all'intelligenza artificiale per ottenere un buon livello di riconoscimento.‎

‎Christopher Schwarz, uno dei ricercatori che hanno partecipato allo studio, ha spiegato che la scoperta pone di fatto a rischio la storia clinica e i dati personali come quelli riguardanti malattie e informazioni genetiche, dei pazienti che hanno svolto questo genere di esami strumentali.‎

Lo studio è stato condotto su appena ‎84 volontari e lo stesso team è parso consapevole del fatto che se il gruppo di persone di riferimento fosse stato più ampio i risultati probabilmente sarebbero stati peggiori. Tuttavia il rischio appare comunque concreto, soprattutto perché ‎le leggi sulla privacy non sembrano progredire tanto velocemente quanto la tecnologia. I politici infatti appaiono più inclini ad adottare questo tipo di soluzioni per impieghi di supposta sicurezza pubblica, che non a preoccuparsi della privacy dei cittadini e soprattutto della definizione di paletti che impediscano anche derive inquietanti, come l'uso di queste tecnologie per il controllo di dissidenti e minoranze, etniche, religiose o politiche.