Seno e sedere photoshoppati? Pizzicati con un software

Un ingegnere statunitense ha messo a punto un algoritmo che può determinare se e quanto un'immagine è stata ritoccata. Vuole essere una risposta alle critiche di chi vede nelle immagini di modelli e famosi una possibile causa di problemi fisici ed emotivi.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Un ricercatore statunitense ha messo a punto un software per individuare e classificare le immagini ritoccate che appaiono nelle riviste. A volte si tratta di una sfumatura di colore, altre di modifiche radicali che trasformano una persona del tutto ordinaria in una principessa degna di un film Disney di vecchio stampo. Una questione di cui si discute da anni, e che presto potrebbe finalmente trovare una risposta.

Tale consuetudine per alcuni è un problema molto grave, perché crea immagini alterate e ideali di bellezza falsi e irraggiungibili. Una visione parossistica dell'essere umano che secondo diversi esperti spinge giovani di tutto il mondo - maschi e femmine - ad adottare stili di vita anomali, spesso accompagnati da vere e proprie patologie, che vanno dalla bulimia alla depressione.

Non è del tutto sorprendente quindi che alcuni paesi vogliano leggi che impediscano l'uso del fotoritocco sulle fotografie, o almeno che le immagini siano chiaramente etichettate come "modificate".

Alcuni esempi di ritocchi proposti da Hany Farid

"Correggi una cosa, poi un'altra e presto finirai con una Barbie", spiega il professor Hany Farid, che ha messo a punto un software che può misurare il grado di modifiche a cui è stata sottoposta una fotografia. L'intuizione gli è venuta perché l'idea di etichettare le immagini come ritoccate oppure no gli sembrava troppo grossolana. In effetti non è lo stesso cancellare un'ombra sbagliata piuttosto che togliere tre chili alla modella.

Il software può valutare l'immagine in una scala da uno a cinque (più è alto il numero più esteso è stato l'intervento digitale). Farid ha sviluppato il proprio software basandosi sulla percezione umana: ha chiesto a centinaia di persone di valutare coppie di fotografie "prima e dopo il ritocco", per determinare la scala da applicare all'algoritmo. Nelle intenzioni del ricercatore questo strumento dovrebbe servire da autoregolazione, perché potrebbero essere modelli e fotografi a chiedere di essere "un uno" piuttosto che "un cinque". 

L'idea che ha già raccolto il caldo benvenuto di alcune associazioni che si occupano dell'argomento. "C'interessa solo la trasparenza nella pubblicità" dice Seth Matlins, fondatore di una rivista che vuole aiutare le donne a ritrovare felicità e autostima. "Non stiamo cercando di demonizzare Photoshop o impedire alla gente di essere creativa. Ma se l'immagine di una persona è drasticamente alternata, ci dovrebbe essere una nota per far sapere che ciò che stiamo guardando è tanto vero quanto ciò che abbiamo visto in Avatar".

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Tra l'altro un sondaggio di Marie Claire, ricorda Steve Lohr sul New York Times, ha  fatto emergere come le lettrici vogliono che i divi "appaiano fantastici ma reali". Per l'editoria sarebbe un vantaggio, visto che i lettori sono sempre più consapevoli, anche perché ormai abbondano online le immagini comparative, e un buon editore non dovrebbe spingersi troppo oltre.

A guardare una qualsiasi edicola però c'è poco da crederci. Le immagini ritoccate abbondano ovunque, e non è difficile capire che sono strumenti pubblicitari potentissimi. Da una parte si parla di far crescere i giovani in modo sano, dall'altra si tocca il borsello di tante aziende che usano queste immagini per vendere di tutto, dai cosmetici a (paradossale, sì) le merendine.

L'idea di usare etichette come quelle descritte per legge farebbe alzare le barricate. Secondo voi chi vincerebbe?