SIAE difende la tassa sugli smartphone: paghino i produttori

Il direttore generale della SIAE, Gaetano Blandini, difende i rincari dell'equo compenso. Critico nei confronti dell'aziende hi-tech.

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a cura di Dario D'Elia

A calciobalilla era vietato rullare. La SIAE però questa regola l'ha dimenticata da un pezzo. Quando si parla di equo compenso e del motivo per cui è buono e giusto viene davvero fuori di tutto. Solo John Belushi è riuscito a fare meglio in The Blues Brothers, ma perché ha tirato in ballo piaghe bibliche come l'invasione delle cavallette.

Il direttore generale della SIAE, Gaetano Blandini, ha recapitato una lettera al Corriere della Sera che "rulla" pesante. "La copia privata non è una tassa bensì un compenso riconosciuto a chi crea opere di ingegno ed è definita per legge, una legge dello Stato che da 13 mesi non è applicata, in quanto non è ancora definito l'adeguamento previsto ogni tre anni".

Palla al centro, vietato rullare

E fin qua nulla da dire, che la chiami come preferisce. Alla fine la pagano tutti i consumatori e anche le imprese.

"Sarebbe finalmente arrivato il momento che associazioni e privati, piuttosto che accanirsi contro la SIAE, (che, per legge, non prende provvigioni sugli incassi, ma recupera solo le spese) chiedano alle multinazionali come la Apple il motivo per cui in Italia il prezzo dell'iPhone 5S-64 GB è al netto di Iva e di copia privata di 949 euro a fronte degli 899 euro in Germania e dei 917 euro in Francia. E perché l’equo compenso per la copia privata in Italia è pari a 0,90 centesimi, mentre in Francia è di 8,00 euro e in Germania di 36,00 euro? Parliamo di una cifra 40 volte superiore a quella italiana", prosegue Blandini.

Ecco, chiediamo perché a un'azienda applica prezzi di listino diversi a seconda del paese. Sì chiediamoglielo pure per farci una cultura generale sulle strategie commerciali. Difficile credere che Apple stabilisca prezzi solo in relazione all'equo compenso.

Su un punto però SIAE ha ragione, ovvero quando il presidente Gino Paoli dice che "il compenso non deve essere a carico di chi acquista lo smartphone, ma del produttore, che riceve un beneficio dal poter contenere sul proprio supporto un prodotto autorale come una canzone o un film".

Ha ragione perché tutti i consumatori ne trarrebbero vantaggio, ma sotto il profilo interpretativo bisognerebbe mettere mano alla legge. Si parla di equo compenso come diritto alla copia personale. I produttori non sono menzionati.

Blandini rincara la dose però sui produttori di smartphone e tablet dato che il fatturato di questi segmenti è cresciuto del 900% in meno di sei anni. "Più che demonizzare gli autori e tutti coloro che lavorano nel campo della creatività e che danno a loro volta lavoro ad altri, ricordare che le multinazionali tecnologiche che producono dagli smartphone ai computer fabbricano i loro prodotti fuori dall'Italia e non pagano le tasse nel nostro Paese", sostiene il segretario generale.

Verissimo, ma cosa centra con l'equo compenso?

Infine una mano sul cuore pensando ai quei "250mila gli iscritti alle 10 associazioni di categoria" che grazie alla copia privata ricevono tutela per il loro lavoro.

Si possono davvero avere opinioni diverse sull'argomento e anche sull'eventualità di scongelare i rincari dell'equo compenso. L'unica certezza è che siamo in attesa da anni del parere del Consiglio di Stato sulla legittimità di questo sistema. In fondo il decreto sui rincari è fermo anche perché si teme l'ennesima sconfessione da parte del Tar del Lazio.

Dopodiché si attende anche l'esito di almeno due sentenze della Corte di Giustizia dell'Unione Europea che riguardano l'argomento. Bisogna infatti stabilire se nell'equo compenso bisogna anche quantificare il rischio copia pirata, che spesso viene tirato in ballo un po' a piacere. E se è legittimo chiedere un equo compenso anche per gli apparecchi che sono destinati all'uso professionale. Nel secondo caso SIAE sostiene che si possa fare affidamento alla procedura di rimborso: già, peccato che la usino pochi perché incredibilmente tortuosa.