Telecom Italia attacca il progetto banda larga di Renzi

Telecom Italia si è rivolta all'Antitrust UE e al TAR perché reputa il piano banda larga del Governo anti-concorrenziale. Dito puntato su Enel Open Fiber.

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a cura di Dario D'Elia

Telecom Italia ha tirato fuori gli artigli: il progetto banda larga del Governo sarebbe anti-concorrenziale sia per gli interessi dell'ex monopolista che per il mercato. Come racconta oggi La Repubblica, a inizio agosto è arrivato un esposto Telecom sul tavolo della Direzione generale per la Concorrenza UE. Bruxelles ha chiesto chiarimenti al nostro Garante delle Comunicazioni, che si è messo immediatamente al lavoro per una risposta. Parallelamente Telecom si è rivolta al TAR per annullare la delibera del Garante (la 120 del 2016) e il bando di Infratel per Abruzzo, Emilia Romagna, Lombardia, Molise, Toscana e Veneto, del 3 giugno 2016.

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In pratica, le "linee guida per le condizioni di accesso wholesale alle reti a banda ultra larga destinatarie di contributi pubblici" sarebbero scorrette, almeno secondo il primo operatore nazionale.

Il tema è quello delle gare pubbliche che consentiranno alle specialiste del settore di posare i cavi per la banda larga nelle zone a fallimento di mercato. Infratel, su mandato del Governo e con il consenso dell'AGCOM, ha stabilito due modalità di finanziamento. Al 70% nelle zone dove c'è già un minimo di infrastruttura e al 100% nelle aree più critiche.

Nel primo caso chi investe il 30% è destinato ad acquisire la proprietà della rete e poi stabilire un listino prezzi per il noleggio agli altri operatori - basato a grandi linee su quello Telecom che ogni anno viene concertato con l'AGCOM.

Nel secondo caso lo Stato rimane proprietario e si occupa di gestire le concessioni, ma il listino all'ingrosso viene deciso da Infratel calcolando esclusivamente il rientro dei costi di manutenzione e gestione. In questo modo gli operatori troverebbero vantaggioso siglare contratti.

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Tecnici Telecom Italia

La vendita all'ingrosso (wholesale) dei servizi in ogni caso deve essere sempre equa e non discriminatoria, ma secondo Telecom la partecipazione di Enel Open Fiber è un punto critico. Non solo è una società a partecipazione pubblica - che di fatto accederebbe a finanziamenti pubblici - ma in alcune zone potrebbe diventare concessionario, utilizzatore esclusivo e addirittura proprietario.

L'ex monopolista vorrebbe un diffuso impiego di "test di prezzo" che consenta di capire se un operatore sia in grado di fare offerte commerciali competitive rispetto a chi ha costruito la rete. Inoltre, sebbene in molte aree a fallimento di mercato Telecom sia presente solo con vecchi servizi ADSL, la creazione di un'alternativa in fibra provocherebbe la fuga dei suoi clienti.

A tutti gli effetti una visione imparziale dello scenario stimola qualche perplessità. Se molti riuscissero ad accantonare per un attimo il livore che nutrono nei confronti dell'ex-monopolista, dovrebbero riconoscere che abbiamo di fronte una società privata contro una parzialmente pubblica (Enel).

La prima ha in pancia la rete nazionale. La seconda vuole costruire una rete alternativa sfruttando i finanziamenti pubblici. Dopodiché i prezzi all'ingrosso Telecom deve concordarli con l'AGCOM, la seconda si limiterà ad andare a pari con gestione e manutenzione - tanto ha pagato lo Stato - oppure a replicare le tariffe dell'incumbent.

In tutte le aree a fallimento di mercato Telecom rischia di perdere clienti perché la concorrenza di fatto non ha bisogno di ammortizzare investimenti. È pur vero che se in quelle aree c'è ancora l'ADSL si tratta di un'eredità della privatizzazione, quindi la Telecom che conosciamo oggi non ci ha investito un euro.

Il problema è decidere finalmente il modello che l'Italia vuole sposare. Continuare con la commistione tra pubblico e privato, oppure avere un approccio anglosassone al mercato favorendo la reale competizione?