La maestosa Piazza Plebiscito di Napoli è diventata una moderna arena per due giorni, a ottobre 2016. Non c'era alcun gladio nelle mani degli sfidanti, ma tastiere, mouse, Arduino, Raspberry Pi. E più che con le mani, chi ha provato a vincere The Big Hack ci ha messo tanto cervello e ancora più cuore.

The Big Hack, o per meglio dire #thebighack, è un hackaton organizzato da Maker Faire Rome e Codemotion, insieme ad altri partner. È un hackaton, cioè una maratona di hacking: una competizione di lunga durata che si vince programmando computer e costruendo cose dopo averle inventate.
#TheBigHack è al suo terzo anno, il primo a Napoli dopo due edizioni a Roma in contemporanea con la Maker Faire, che apre i battenti il 16 ottobre. Quest'anno i partner si chiamano Regione Lazio, Regione Campania, IBM ed Eni. Ognuna ha ideato a patrocinato una delle sfide, challenge come le chiamano qui, e che riguardano Ambiente, Turismo, Calamità Naturali, Agricoltura 4.0, Sanità, Mobilità.

L'obiettivo è vincere ma non solo: #TheBigHack è soprattutto una festa, una bella occasione per far incontrare persone che parlano delle stesse cose nella stessa lingua (non pensate che sia facile). Nuovi incontri che magari fioriranno nel futuro ma che servono sin da subito: c'è chi è venuto da solo o in piccoli gruppi. Ci si incontra lì, ci si scambiano le competenze, si crea una squadra e si mette in piedi un progetto. Già questo basterebbe a parlare di meraviglia, ma è solo l'inizio.
Fotografie: Codemotion Italy
I partecipanti vogliono divertirsi, vogliono vincere, vogliono vedere com'è una gara di hacking che dura 36 ore, pernottamento e ristorazione sono compresi e offerti dall'organizzazione. I "committenti" hanno interessi più diretti, e cercano soluzioni a problemi concreti: IBM vuole capire come sfruttare al meglio la piattaforma Blumix in ambito agricolo. Eni guarda alla mobilità sostenibile, settore in cui è attiva anche con Enjoy, uno tra i servizi di car sharing più forti nel nostro Paese - proprio lui è protagonista di una challenge. Entrambe le aziende sono parte di The Big Hack sin dalla prima edizione, convinte che sia un'importante leva per l'innovazione.
Mattia Voltaggio, che per Eni si occupa dei progetti culturali, ci ha aiutato a capire alcune differenze rispetto ai Big Hack delle precedenti edizioni. Tanto per cominciare ci sono più partecipanti, 14 squadre per un totale di circa cento persone. Sono grossomodo la metà di quelli che si erano iscritti, ma è del tutto normale che in tanti alla fine rinuncino. Voltaggio sottolinea che "c'è qualche donna in più rispetto al passato" anche come sviluppatrici, mentre negli anni scorsi erano soprattutto designer.
Immagini: Codemotion Italy
"Tra i concorrenti", continua Mattia, "sono di più quelli che si sono preparati qualcosa a casa. Ci sono startup e fablab oltre ai gruppi di amici", ci spiega ancora. E anche questo rende l'evento speciale, oltre al fatto che qui abbiamo "un hackaton di makers, seppure il software sia protagonista".
Se la maggior parte del lavoro è scrivere codice, diversi team si sono anche "sporcati le mani", mettendo sul tavolo Arduino, Raspberry Pi, sensori di vario tipo, tester, schede di prototipazione, filo di stagno, saldatore e tester. L'organizzazione metteva a disposizione qualcosa, ma chi sapeva che avrebbe usato dell'hardware, o lo sospettava, si è portato il necessario da casa. È così sotto i nostri occhi è nata un'incredibile trappola per cinghiali, un sensore per l'umidità della terra, webcam con intelligenza artificiale che guardano le coltivazioni e capiscono se sono malate.

"I maker oggi, soprattutto in Italia, hanno un'attenzione al design e al time to market più forte rispetto ad altri. Fanno una cosa che funziona, ma che deve essere innovativa e anche bella. Dev'essere qualcosa che ha già una pianificazione di marketing fatta da chi, nel gruppo, si occupa di questo aspetto. Ci deve essere un piano di sviluppo sostenibile", ci ha spiegato ancora Voltaggio.
È una popolazione eterogenea, dai 16 ai 50 anni (forse qualcosa in più, non abbiamo fatto domande), sviluppatori professionisti, designer e ingegneri, persone che hanno fondato e mandato avanti un FabLab e/o una startup (all'Università Federico II di Napoli). Ci sono anche due classi delle scuole superiori: dall'Enrico Mattei di Ischia e dal Galileo Ferraris di Scampia. Ragazzi giovani e giovanissimi, qualcuno che viene "tanto per fare un'esperienza" e qualcun altro che di esperienza ne ha tantissima ma non ha mai smesso di divertirsi con questo genere di cose.
Sfide complesse
Per ognuno dei temi citati esiste una sfida specifica. In tutti casi ai partecipanti è richiesto di sfruttare una o più risorse specifiche, come gli open data delle regioni, la piattaforma ENI già in uso per il servizio Enjoy o quella di IBM BluMix, che include risorse di intelligenza artificiale. Le richieste non sono altrettanto rigide, e in generale si riassumono con "usate questi strumenti per creare qualcosa che migliori il servizio, sia utile tanto per l'ente/azienda quanto per le persone che lo usano, che abbia un possibile sbocco commerciale".

A ogni team non veniva richiesta solo un'idea, ma almeno una demo funzionante anche solo in parte, e questo significa software, design, e una presentazione professionale. E ci vuole anche un piano di business che non venga giù come la casetta di paglia del famoso maialino, non appena il lupo del mondo reale si mette a soffiare.
Ognuna delle sfide, dunque, richiedeva di prendere dati esistenti più o meno strutturati. Di fare riferimento a una piattaforma già in essere, e di creare un'interfaccia che potesse leggere i database o sfruttare risorse remote (nel caso di ENI o IBM). Di usare API ed SDK per creare un nuovo servizio: in molti hanno scelto la webapp ma c'è chi si è buttato direttamente sull'app nativa per Android e iOS. E chi ha trovato i dati insufficienti non si è fatto problemi a integrarli, generalmente ricorrendo a Google Maps e relative API.

L'altra risorsa preziosissima è stata il tempo: circa 36 ore durante le quali i concorrenti non si sono dati tregua, lasciando la postazione solo quando non potevano farne a meno. C'era un'area relax con qualche materasso, dove qualcuno si è concesso un po' di riposo. Ma in tanti non hanno praticamente chiuso occhio, concentrati sulla deadline fissata alle 15:30 di domenica 9 ottobre. A rendere le cose più difficili, nella notte tra sabato domenica sul tendone si è abbattuta una pioggia gelida, con qualche goccia che si è fatta strada all'interno. Per fortuna non ci sono stati danni per l'attrezzatura, ma domenica mattina l'effetto si vedeva sui volti degli hacker. Se non altro era spuntato il sole.
A facilitare almeno un po' le cose, buona parte delle informazioni era già pubblica da settimane. Oltre il 90% secondo alcuni partecipanti, ma quei pochi dettagli comunicati all'apertura dell'hackaton erano cruciali. Chi si era portato del lavoro fatto da casa lo ha potuto sfruttare, ma di certo non bastava.
La soluzione è un gioco
Qualcuno ha pensato di piazzare dei sensori per capire se e quando un'auto viene parcheggiata, qualcun altro ha ragionato su notifiche che siano veramente utili in caso di terremoto o altre emergenze. C'è chi si è messo nei panni di un piccolo agricoltore che deve prendersi cura di troppe piante per il tempo e le risorse di cui dispone.

C'è chi ha fatto di beacon la parola d'ordine, e tutti hanno abbracciato il concetto di Internet of Things come l'idea di oggetti che lavorino al posto nostro, che ci facciano vivere meglio: avvisandoci se una pianta è da annaffiare, dicendoci se e quando c'è un posto dove parcheggiare l'auto, trasformandoci in campioni del turismo.
C'è chi ha scoperto nuovi problemi, come la sovrappopolazione di cinghiali sull'Appenino Campano (e non solo), grazie anche al determinante aiuto di Rural Hub. E così il team si è inventato una trappola a controllo remoto, con dentro una webcam e un Arduino. Quando un animale entra l'operatore lo vede, e se si tratta del giusto tipo di cinghiale chiude la gabbia.
Una webcam anche per controllare le foglie, e l'intelligenza artificiale di IBM per capire quali sono sane e quali sono malate. Così l'agricoltore può sapere per tempo se serve un intervento. E sembra una foglia quel sensore che controlla l'umidità del terreno e accende dei LED colorati inseriti nel sottovaso, per sapere se la pianta va innaffiata. Sembra una foglia, ma è una masquerade stampata in 3D.

I ragazzi che hanno ideato e abbozzato (un po' di più) Appultura, invece, praticamente hanno inventato l'Uber delle guide turistiche. Per chi vuole visitare un luogo o un monumento con la guida di un esperto, ma con la libertà di farlo alle proprie condizioni. Altri hanno pensato al turista lampo, con un'app che ti fa il tour su misura anche se hai solo un paio d'ore disponibili.
E se usi il car sharing, dove e come parcheggi? E quanto ci metti? E quanto ti costa? È il tipo di problema che ha proposto Eni per il car sharing Enjoy. La risposta dei team è stata creare uno scambio tra tutti i guidatori, non solo e non necessariamente tra chi usa il servizio. Un'app per avvisare che si sta lasciando libero un posto o che si sta arrivando, e un sistema a punti che permette di accedere a sconti e regali. Qualcuno ha pensato persino alla chat in tempo reale con altri utenti, per coordinarsi al meglio ed evitare che un passante "soffi" il posto.

Ecco, punti e giochi. Tutti o quasi i team hanno messo nel loro lavoro il concetto di gamification. Vale a dire far di tutto un gioco, perché siamo ormai alla fine del 2016 e dovremmo averlo capito che il gioco è una cosa serissima. Lo hanno capito questi hacker, che hanno trovato nella gamification lo stimolo giusto per spingere ognuno di noi a usare una certa app o un certo servizio, rendendolo così migliore e più utile per tutti.
Un'esperienza irripetibile da ripetere ancora e ancora
Che cosa è stato The Big Hack? Una gara tra nerd a caccia dei loro 15 minuti di fama? Un giochino inventato per cercare talenti? Forse è stato anche queste cose, ma stare sotto a quella tende insieme a loro dava ben altra impressione: ti sembrava di stare a mollo nel futuro prossimo di questo mondo.
Sì perché il migliore dei futuri possibili ce lo possiamo costruire proprio come loro hanno costruito applicazioni e oggetti. Avremo un mondo bellissimo e senza ingiustizie grazie agli hacker? Probabilmente no, ma ci sono buone possibilità che persone come loro se non altro ci daranno maggiori strumenti per costruirlo.
Non m'importa se le invenzioni di Piazza Plebiscito diventeranno qualcosa di concreto o se saranno un fuoco di paglia. Quello che m'importa è che esistano persone così, che si possano incontrare, che abbiano occasioni come queste per mettersi alla prova. Perché se è vero che un altro mondo è possibile, un mondo migliore, è vero anche che bisogna costruirlo. E non puoi costruire qualcosa di buono se non ti diverti nel farlo.