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Dalle buste paga alla strategia: come cambia il ruolo delle HR

Le risorse umane possono guidare la strategia aziendale o adattarvisi: l’articolo esplora i modelli che spiegano questa relazione, tra approcci lineari, interdipendenti ed evolutivi

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a cura di Davide Genta

Docente universitario a contratto e consulente freelance

Pubblicato il 20/05/2025 alle 12:13

Viviamo in un mondo VUCA (volatile, incerto, complesso, ambiguo), oltremodo dinamico e competitivo. Il vecchio focus sulle macchine, sui processi produttivi o sui capitali finanziari non basta più a garantire il successo di un'impresa. Ancor di meno in tempi di diffusione dell’AI.

Sempre più spesso, la vera differenza la fanno le persone. Non a caso, espressioni come "le risorse umane sono la base del vantaggio competitivo" o "le persone sono la nostra risorsa più importante" risuonano con forza nel dibattito manageriale e accademico. 

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Sì ma sono le risorse umane a guidare la strategia, o è la strategia a determinare come gestire le persone? La risposta non è univoca, ma il modo in cui un’organizzazione affronta questa relazione definisce gran parte del suo successo.

Nel linguaggio aziendale abbondano frasi come “le persone sono il nostro asset più importante” o “la differenza la fanno i team”. Ma dare concretezza a queste affermazioni significa trasformare la gestione del capitale umano in una leva strategica. Questo è il compito dello Human Resource Management (HRM).

Non si tratta più – o non solo – di gestire stipendi, ferie e contratti. La funzione HR, un tempo relegata ad attività amministrative, si è evoluta in un centro nevralgico che collega obiettivi d’impresa e sviluppo organizzativo. Oggi l’HR è chiamata a governare il cambiamento, influenzare le scelte strategiche, contribuire alla costruzione del vantaggio competitivo.

Oggi, l’HR management è vista come un'attività complessa che lega in modo coerente e integrato la gestione delle persone al raggiungimento degli obiettivi aziendali.

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L'evoluzione del ruolo HR: da burocrati a partner strategici

Possiamo osservare questa evoluzione attraverso diversi modelli. Uno di questi, come quello proposto da Ulrich, descrive i molteplici ruoli che un Dipartimento Risorse Umane (DRU) può assumere. In un contesto più tradizionale, il DRU operava come un "Administrative expert" o un "Employee champion". 

L'esperto amministrativo gestisce gli aspetti burocratici e amministrativi del rapporto di lavoro, garantendo la conformità normativa e l'efficienza dei processi interni. L'employee champion, invece, si concentra sul supporto ai dipendenti, sulla gestione del clima aziendale e sulla promozione del benessere organizzativo. Queste figure tendono ad avere un orientamento più operativo e focalizzato sul breve termine o sul presente, con competenze specialistiche e una prospettiva spesso limitata al contesto nazionale.

Tuttavia, l'evoluzione porta il DRU a ricoprire ruoli più strategici: il "Business partner" e l'"Agent of change". Il Business partner agisce a stretto contatto con il top management e le linee di business, contribuendo alla definizione e all'implementazione della strategia aziendale attraverso la gestione delle risorse umane. 

L'Agent of change facilita e guida i processi di cambiamento organizzativo. Questi ruoli richiedono una prospettiva a lungo termine, un orientamento strategico e un focus sull'esterno, oltre a competenze sia specialistiche di HR sia generaliste di business management ed economiche. La struttura aziendale passa da funzionale a flessibile, con una maggiore condivisione di responsabilità tra HR e linea gerarchica.

L'Agent of change facilita e guida i processi di cambiamento organizzativo. Questi ruoli richiedono una prospettiva a lungo termine, un orientamento strategico e un focus sull'esterno

Strategia e risorse umane: l’uovo e la gallina?

Il rapporto tra strategia aziendale e HRM non è statico. Esistono diverse prospettive su come si influenzino a vicenda. 

L’approccio lineare, sostiene che la strategia aziendale sia definita per prima, seguita dalla struttura organizzativa e, infine, dalla gestione delle risorse umane, che si adatta alle scelte precedenti.  Un modello possibile in ambienti stabili e in aziende con una forte concentrazione di potere al vertice. L’approccio del modello della funzione risorse umane è strumentale, un "oggetto" che si adatta alla strategia scelta (spesso sintetizzata in una in linea con il modello competitivo di settore di Porter-leadership di costo, differenziazione, focalizzazione).

Vi è inoltre un approccio interdipendente che riconosce che strategia, struttura e HRM si influenzano reciprocamente nel tempo. È il modello più adatto ad ambienti complessi e variabili, dove il potere decisionale è diffuso. 

Poi vi è un approccio evolutivo che vede l'organizzazione come un sistema di apprendimento continuo, in cui molteplici soggetti interni ed esterni influenzano la strategia e il contesto. L'ambiente non solo influenza, ma è anche influenzato dall'organizzazione, e le decisioni passate ("path dependence" un concetto cruciale nel management) interagiscono con quelle attuali.

Legato a questi approcci più evoluti è la Resource Based View (RBV). A differenza del modello di Porter che analizza il settore industriale, la RBV si focalizza sull'azienda stessa e sull'importanza delle sue risorse, capacità e competenze distintive, incluse quelle che vengono definite "invisible assets" o capitale intellettuale. Secondo la RBV, le risorse (fisiche, tecnologiche, finanziarie e umane) non generano vantaggio competitivo da sole, ma solo quando sono combinate in modi unici e difficilmente imitabili.

Il capitale umano e le competenze come vantaggio competitivo

In questa visione, il capitale umano – l'insieme di capacità, conoscenze, competenze ed esperienze del personale – assume un ruolo cruciale. Le competenze non sono solo il bagaglio formale (scolarizzazione, professionalizzazione), ma includono anche le competenze comportamentali o "individual skills", che rappresentano le caratteristiche intrinseche di un individuo che portano a prestazioni efficaci. Queste possono includere motivazioni, tratti e conoscenze. Distinguiamo tra "threshold skills" (le competenze minime per svolgere un compito) e quelle che, secondo la "American School", portano a prestazioni superiori alla media. La "European School" vede le competenze come l'insieme necessario per ricoprire un ruolo, includendo competenze tecniche e trasversali.

La capacità di un'azienda di combinare e coordinare queste competenze individuali, abilità e risorse per creare un vantaggio competitivo è definita "Core competences". Le "Dynamic capabilities" si riferiscono invece alla relazione intertemporale tra risorse e core competences, indicando la capacità dell'organizzazione di rinnovarsi e adattarsi.

Ma in che modo specifico le attività di gestione delle risorse umane influenzano la performance aziendale e generano vantaggio competitivo? 

Ecco tre tra le principali prospettive:

  1. La Prospettiva Universalistica: sostiene l'esistenza di un set di pratiche di GRU "migliori" ("High-Performance Work Practices") che, se applicate, migliorano la performance di qualsiasi azienda. Queste pratiche avrebbero effetti positivi sul comportamento individuale (soddisfazione, fiducia, identificazione) e sugli indicatori organizzativi (produttività, crescita). La critica principale è che una "ricetta" unica difficilmente funziona per tutti, data l'ambiguità e la dipendenza dal percorso storico di un'azienda.
  2. La Prospettiva Contingente: afferma che le pratiche di GRU che generano valore dipendono da specifiche caratteristiche dell'azienda e del contesto (variabili contingenti). Queste variabili includono la dimensione aziendale, il settore, la fase del ciclo di vita e, soprattutto, la strategia di business. La critica è che l'adattamento a livello di singole attività è complesso e può minare la coerenza complessiva del sistema HR.
  3. La Prospettiva Configurazionale: partendo dai limiti della visione contingente, suggerisce che l'effetto sulla performance è maggiore quando le pratiche di GRU sono applicate in gruppi ("bundle") che sono coerenti tra loro (coerenza orizzontale) e con la strategia aziendale (coerenza verticale). Questo approccio riconosce la complessità e il fatto che molte variabili influenzano la relazione tra HR e performance.

Quindi, facciamo prima il piano strategico o l’analisi delle nostre risorse umane? Non è facile rispondere, con la considerazione che, in un mondo in linea con le prospettive più evolute, l'analisi delle capacità umane e la pianificazione strategica procedono di pari passo, influenzandosi reciprocamente in un dialogo continuo per massimizzare il potenziale dell'organizzazione e costruire un vantaggio competitivo sostenibile.

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