Milano capitale dell'Intelligenza Artificiale in Europa (per un paio di giorni)

AI Week 2025 ha mostrato che Milano è oggi uno snodo europeo dell’intelligenza artificiale applicata, dove teoria, business e industria si incontrano concretamente.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

A Milano, dal 13 al 16 maggio, AI Week 2025 ha riunito oltre 17.000 partecipanti e 250 speaker da 15 paesi, con sessioni in presenza e contenuti online. Dirigenti, tecnologi, rappresentanti pubblici e startup hanno discusso l’adozione concreta dell’intelligenza artificiale nei contesti aziendali e istituzionali.

La città si è trasformata in un nodo operativo dell’AI applicata, superando la logica della vetrina per diventare piattaforma di confronto, scambio e implementazione. Nei padiglioni, più che entusiasmo, si respirava una domanda di strumenti pratici: orchestrazione, interoperabilità, agenti autonomi. Le imprese non cercano più prove di fattibilità, ma modalità d’integrazione nei propri flussi.

La struttura dell’evento rifletteva questa esigenza: cluster tematici definiti, format misti tra demo, panel e casi reali, con dialoghi serrati tra chi l’AI la progetta e chi la deve far funzionare. La presenza estera, forte ma non dominante, ha confermato una centralità europea ancora contendibile, in cui Milano gioca oggi un ruolo di ponte tra sperimentazione e adozione industriale.

Dal parlare all’agire: l’avanzata dell’Agentic AI

Tra i temi più trasversali emersi ad AI Week 2025, l’espressione Agentic AI ha segnato un punto di svolta nel lessico dell’innovazione. Non si tratta di una mera evoluzione teorica, ma di un passaggio già visibile sul piano applicativo: dall’AI che risponde a quella che prende decisioni. Gli agenti intelligenti non si limitano a generare contenuti, ma agiscono in contesti reali, elaborano istruzioni complesse, interagiscono con altri sistemi e aggiornano il proprio comportamento in funzione degli obiettivi. Sono molti gli ambiti aziendali dove gli agenti sono già all’opera.

Nel cluster dedicato all’AI avanzata, questa trasformazione è stata esemplificata da più casi concreti. NTT DATA ha presentato un ecosistema completo di Smart AI Agent, già impiegati in sanità, logistica e industria automobilistica . Alcuni esempi: agenti che classificano e sintetizzano documenti sanitari, altri che analizzano lettere di conformità, avviano richiami di prodotto, o calcolano il rischio in fase di procurement. La logica è modulare: ogni agente risolve un compito preciso, ma è integrabile in flussi più ampi.

Un secondo esempio viene da EY, che ha illustrato l’adozione di modelli agentici su scala multinazionale, con oltre 150 agenti già attivi su ambiti come fiscalità e auditing . Il cuore dell’approccio è operativo: l’agente non è un assistente, ma un nodo che automatizza decisioni a valore medio, liberando le persone da attività ripetitive e tracciabili.

Il vero snodo, emerso in molti panel, è il passaggio dalla progettazione all’integrazione. I modelli agentici funzionano se supportati da infrastrutture adatte e da governance chiara. Non basta farli agire: serve sapere come, dove e quando lasciarli agire. E questo richiede un’organizzazione che sappia delegare responsabilità anche al software; un concetto espresso con chiarezza da Filippo Giannelli di Service Now. 

Generare non basta: serve controllo, contesto, strategia

Il ciclo dell’entusiasmo legato all’intelligenza artificiale generativa sembra aver raggiunto un nuovo stadio. L’attenzione si è spostata dal contenuto all’efficacia dell’intervento, dalla capacità di generare testi o immagini alla possibilità di ottenere valore concreto e misurabile nei processi aziendali. Questo cambiamento è stato visibile in molti interventi dell’AI Week 2025, dove la GenAI è stata affrontata come una tecnologia da governare, non solo da sperimentare.

Il tema del contesto è stato uno dei più discussi: i modelli generativi, per quanto potenti, devono essere istruiti su basi di conoscenza specifiche e integrate. Non basta un LLM generico se manca un grounding adeguato. Le aziende oggi non cercano chatbot creativi, ma strumenti capaci di sostenere decisioni, documentare processi o adattarsi a linguaggi interni precisi. È in questo scenario che si collocano soluzioni come ALCHEMIX, presentata da Brembo: un’applicazione GenAI orientata alla formulazione di materiali, dove la generazione è subordinata a una strategia di R&D strutturata.

In altri ambiti, come il customer care o la logistica, la GenAI viene inglobata in architetture modulari, dove il suo compito è fornire risposte, sintesi o proposte, ma sempre all’interno di pipeline controllate. 

La parola più ricorrente, in questi contesti, non è stata “intelligenza”, ma “strategia”. Per usare modelli generativi in modo efficace, occorre orchestrazione, metriche, data governance. E chi non costruisce queste condizioni, rischia di ottenere molto rumore e poco valore.

L’AI osserva se stessa: quando le reti neurali leggono il pensiero collettivo

Tra i momenti più originali dell’AI Week 2025 c’è stato uno studio inedito: una rete neurale non supervisionata ha analizzato 375 interventi della conferenza per restituirne una mappa concettuale emergente. È il caso in cui l’intelligenza artificiale è stata utilizzata non per produrre contenuti, ma per comprendere quelli prodotti dall’uomo. Una sorta di metanalisi cognitiva, condotta da due sistemi in sinergia: ChatGPT, incaricata della classificazione semantica, e Auto-CM, algoritmo neurale che evidenzia le connessioni tra concetti latenti .

L’output non è una lista di parole chiave, ma un grafo strutturato di relazioni: i concetti più centrali, i cluster più densi, i ponti tra ambiti altrimenti separati. Ne emergono quattro grandi aree: teoria e governance, LLM e applicazioni generative, impatti sulla pubblica amministrazione e sanità, e un’area tecnica legata a infrastrutture, logiche fuzzy e agenti intelligenti. 

Alcuni interventi hanno assunto un ruolo di “hub epistemici”: uno in particolare, intitolato A broad and different approach to AI, si è posizionato come snodo tra teoria e applicazione, suggerendo che l’AI contemporanea si sviluppa nella convergenza, non nella specializzazione.

L’aspetto più interessante è che l’AI ha mappato ciò che l’evento ha pensato, senza che nessuno glielo dicesse. Ha evidenziato legami forti tra etica e infrastrutture, tra LLM e fallimenti, tra formazione e sicurezza. Ha identificato le aree isolate e quelle centrali. E in questo ha mostrato un uso nuovo: non uno strumento produttivo, ma uno specchio cognitivo per sistemi complessi.

Fare business con l’AI: dai casi vetrina ai sistemi funzionanti

Una delle direttrici più concrete dell’AI Week 2025 è stata la presentazione di casi reali, non concept o prototipi. L’intelligenza artificiale è stata raccontata come componente operativa già attiva, e non come promessa in attesa di implementazione. Questo approccio ha segnato una differenza netta rispetto alle edizioni precedenti e a molti altri eventi simili.

I progetti più discussi sono arrivati da contesti aziendali diversi ma accomunati da un fattore: l’integrazione dell’AI all’interno di workflow esistenti, con metriche chiare e governance visibile. Arsenalia ha mostrato come l’intelligenza artificiale sia stata impiegata nel retail, nella manifattura e nella customer experience insieme a marchi come Mediobanca, Tod’s, Cameo e Chiesi . L’elemento chiave non è stata la varietà dei settori, ma la capacità di tradurre tecnologie complesse in strumenti usabili dalle funzioni operative.

Nel mondo bancario, BPER ha illustrato un progetto che integra AI agentica per il calcolo del Caring Score e per suggerire il Next Best Action, rendendo la relazione cliente-banca un processo parzialmente delegabile a sistemi autonomi. BancoBPM ha collaborato con GFT per automatizzare test case in ambienti di sviluppo, accorciando i tempi di delivery e riducendo il margine di errore nei controlli.

Trenitalia ha raccontato l’esperienza con assistenti virtuali ibridi, progettati per offrire continuità tra canali digitali e operatori umani, evitando il classico rimbalzo dei clienti da un touchpoint all’altro. In tutti questi casi, l’AI non è un layer aggiuntivo, ma una componente strutturale del servizio.

Il comune denominatore è l’esigenza di uscire dalla logica “pilota” e portare l’intelligenza artificiale dentro i processi e i bilanci. Solo così diventa visibile, sostenibile e, soprattutto, replicabile.

PMI italiane tra ritardo, solitudine e desiderio di riscatto

Nonostante i casi d’eccellenza presentati durante l’AI Week 2025, la platea ha restituito anche un’altra fotografia: molte piccole e medie imprese italiane faticano ad affrontare l’intelligenza artificiale con continuità e metodo, non per mancanza di interesse, ma per una somma di ostacoli sistemici.

Il professor Alec Ross, ex consigliere per l’innovazione del Dipartimento di Stato USA, ha descritto con efficacia la condizione attuale: “È come correre una maratona con uno zaino pieno di sassi. Non è impossibile, ma è più faticoso. E se gli altri corrono leggeri, resti indietro.” La metafora ha colto nel segno perché riassume un blocco strutturale diffuso: vincoli normativi, scarsità di competenze interne, mancanza di accesso a infrastrutture dati, solitudine progettuale.

Ross ha sottolineato anche la difficoltà delle PMI nel reggere il peso della regolamentazione europea: “Serve un equilibrio. Le norme vanno pensate per aziende di ogni dimensione. Altrimenti, tuteliamo solo chi è già forte.” In sala, diversi imprenditori hanno annuito. L’AI Act, pur con obiettivi condivisi, rischia di penalizzare chi non ha un dipartimento legale o IT a disposizione, soprattutto sotto i 50 dipendenti.

Anche il ministro per la Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo è intervenuto sul tema, affrontando il parallelo tra imprese e PA: “Abbiamo il 46% degli enti pubblici che non ha nemmeno avviato un processo di digitalizzazione serio. Prima di parlare di intelligenza artificiale dobbiamo colmare il gap su infrastrutture e competenze.” È una situazione che riguarda tutto il tessuto produttivo italiano, pubblico e privato, accomunato dalla frammentazione e dalla scarsa interoperabilità.

Eppure, la domanda esiste. I momenti più affollati in fiera sono stati proprio quelli dedicati alle domande operative: come scegliere i fornitori, quali metriche usare, come valutare il ritorno. Le PMI non rifiutano l’AI: chiedono che sia adattabile alla loro realtà.

Il problema, come emerso da più panel, non è la mancanza di idee, ma la scarsità di alleanze orizzontali. Troppe aziende si trovano a reinventare da sole processi già testati altrove. Serve un cambio di paradigma: non portare le PMI verso modelli pensati per i grandi, ma costruire percorsi a misura della loro scala. Con semplicità, strumenti comprensibili, costi prevedibili e accompagnamento costante.

L’Italia e l’AI Act: zaino pieno o leva strategica?

Tra le questioni più ricorrenti ad AI Week 2025, l’impatto dell’AI Act sulle imprese italiane ha alimentato un confronto serrato tra giuristi, imprenditori e rappresentanti istituzionali. Il regolamento europeo, pensato per rendere l’adozione dell’intelligenza artificiale compatibile con i diritti fondamentali, è entrato nella sua fase attuativa e solleva interrogativi concreti: chi sarà davvero in grado di rispettarlo?

Guido Scorza, membro del Garante per la protezione dei dati personali, ha posto l’accento sulla dimensione culturale del problema: “Non dobbiamo pensare alla normativa come una barriera, ma come un patto di fiducia tra chi sviluppa e chi usa l’AI. Ma questo richiede maturità tecnologica e consapevolezza diffusa.” Un messaggio chiaro: senza formazione e standard condivisi, la compliance resterà inaccessibile a molte imprese.

Dal palco e tra gli stand si è parlato più volte del “paradosso della proporzionalità”: le stesse regole si applicano a realtà molto diverse. L’obbligo di audit algoritmico, documentazione dei dataset, tracciabilità delle decisioni automatizzate e rispetto dei requisiti di trasparenza può risultare ingestibile per una PMI con 20 dipendenti. Il rischio sistemico non è l’AI non regolata, ma un’intera fascia di imprese che rinuncia ad adottarla per non esporsi a sanzioni o costi aggiuntivi.

Un’altra voce ascoltata con attenzione è stata quella dell’europarlamentare Brando Benifei, tra i relatori del regolamento: “Non si tratta di vietare l’AI, ma di impedire che venga usata male. E per questo abbiamo previsto strumenti di supporto e differenziazione.” Resta da capire quanto questi strumenti saranno accessibili sul piano nazionale.

Il tema, in definitiva, non è solo giuridico ma strategico: se l’Italia vorrà partecipare all’AI europea come sviluppatrice e non solo come utilizzatrice, dovrà costruire un ecosistema di accompagnamento, centri di competenza e semplificazione burocratica. Non si tratta di “allentare le regole”, ma di abilitare chi oggi non ha ancora gli strumenti per rispettarle.

L’AI Week 2025 ha chiarito che l’intelligenza artificiale non è più un tema da conferenza, ma una questione di esecuzione. Chi non ha ancora avviato un percorso concreto rischia di trovarsi fuori dal perimetro competitivo, non perché manchi la tecnologia, ma perché mancano le condizioni per adottarla con continuità, controllo e impatto reale. Gli strumenti esistono, ma servono cultura, dati, infrastrutture e alleanze.

Il nodo non è se usare o meno l’intelligenza artificiale, ma chi sarà in grado di farlo con efficacia e autonomia. Le grandi imprese hanno già cominciato. Le PMI cercano una via che sia sostenibile e commisurata. La pubblica amministrazione deve colmare un debito di base prima di immaginare il salto. L’Italia, oggi, ha l’occasione di trattare l’AI non come un’innovazione, ma come un requisito. Resta da capire se saprà farlo per tempo.

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