Una ricerca condotta su oltre cento imprese italiane rivela che senza un’evoluzione culturale profonda, la sostenibilità resta una dichiarazione d’intenti. L’indagine ha coinvolto aziende di ogni dimensione e settore, dal manifatturiero alla finanza, evidenziando una diffusa consapevolezza teorica ma una limitata capacità di attuazione. Il 66% teme di perdere competitività entro cinque anni senza una trasformazione sostenibile.
Il problema, secondo i dati, non riguarda solo la strategia o la tecnologia, ma la capacità delle persone all’interno delle imprese di abbracciare un nuovo approccio. Solo il 15% delle aziende italiane crede di stare facendo abbastanza. E il 54% ammette di ignorare l’impatto ambientale delle proprie infrastrutture digitali.
Perché non essere sostenibili è un problema?
La preoccupazione per la perdita di competitività nasce dalla consapevolezza crescente che la sostenibilità non è più un’opzione reputazionale, ma un requisito di mercato. Secondo la ricerca, il 67% delle aziende italiane teme un impatto negativo sul proprio posizionamento entro cinque anni se non riuscirà a integrare criteri ambientali e sociali nei modelli di business.
Le motivazioni sono concrete: l’accesso ai capitali è sempre più condizionato da valutazioni ESG, le grandi filiere premiano fornitori con credenziali ambientali solide e i consumatori scelgono marchi coerenti con i propri valori. A tutto questo si aggiungono normative in rapido sviluppo, come il Regolamento CSRD e i criteri di tassonomia europea, che spingono verso una rendicontazione trasparente e comparabile. Restare fermi significa diventare irrilevanti per clienti, investitori e talenti. È questo che rende la sostenibilità una leva competitiva: non adottarla significa esporsi al rischio di esclusione da mercati sempre più selettivi e regolati.
A partire da questa urgenza nasce iSustainability, società di consulenza fondata nel gennaio 2025 da Riccardo Giovannini, già leader in EY e autore del modello VSP per la misurazione del valore economico ambientale. La nuova realtà, parte del gruppo Digital360, supporta imprese di ogni settore nel percorso di integrazione della sostenibilità nei modelli di business, con un approccio basato su cultura organizzativa e trasformazione digitale. Attualmente lavora con clienti come Lottomatica, Ambienta SGR e CIAL.
Le conclusioni della ricerca “La terza via della sostenibilità”, promossa da iSustainability, fotografano uno scenario in cui quasi tutte le aziende (89%) riconoscono un legame tra sostenibilità e modello di business, ma in cui prevale ancora un equilibrio incerto tra conformità normativa e visione competitiva.
Il fatto che solo un quarto delle aziende italiane consideri la sostenibilità un reale vantaggio competitivo rivela un nodo ancora irrisolto nel tessuto imprenditoriale nazionale: l’incapacità di leggere la transizione ecologica come una leva strategica e non come un semplice vincolo da rispettare. La maggior parte delle imprese – il 56% – adotta infatti una posizione ambigua, in bilico tra l’obbligo normativo e l’opportunità economica, trattando la sostenibilità come una casella da spuntare più che come un motore di trasformazione.
Questa incertezza si traduce in approcci frammentati, dove le iniziative ESG sono isolate dal core business, affidate a funzioni marginali o ridotte a pratiche di compliance. La sostenibilità, in questi casi, non entra davvero nelle decisioni strategiche, nei modelli operativi o nelle metriche di performance. È percepita come un costo da gestire, non come un investimento in resilienza, efficienza e reputazione. Finché questa visione non cambia, l’integrazione sarà solo superficiale.
In questo contesto, la cultura aziendale emerge come il vero snodo della transizione. L’85% del campione ritiene che senza un cambiamento nel mindset organizzativo sia impossibile integrare davvero pratiche sostenibili. La stessa percentuale crede che digitalizzazione e sostenibilità vadano di pari passo, ma oltre la metà delle imprese non è in grado di valutare l’impatto ambientale delle proprie piattaforme digitali.
Un altro nodo critico riguarda il coinvolgimento della filiera. Il 31% delle aziende indica l’attivazione del proprio ecosistema – partner, fornitori, stakeholder – come priorità assoluta. Questo bisogno è più marcato nelle piccole e medie imprese, dove mancano strutture dedicate e strumenti per indirizzare l’intero ciclo di valore verso standard sostenibili. Solo il 13% delle aziende italiane ha oggi consapevolezza approfondita dell’impatto ambientale delle tecnologie digitali che utilizza quotidianamente.
Tra le imprese che hanno compreso la necessità di trasformarsi in modo sistemico, alcune puntano sulla ridefinizione dei processi operativi e sull’integrazione della sostenibilità nella strategia aziendale. Tuttavia, il 20% delle aziende considera ancora la sostenibilità una pratica separata, un’iniziativa “di contorno”. È un dato preoccupante se si considera che la competitività futura sarà sempre più legata alla coerenza tra narrazione e azione.
Aziende come SAP hanno investito nella rendicontazione ESG con strumenti integrati nei sistemi ERP. Microsoft, con Cloud for Sustainability, propone soluzioni per monitorare e ridurre l’impronta digitale. Ma anche in questi casi, senza una guida strategica forte e una cultura interna coerente, le tecnologie restano sottoutilizzate. La tecnologia, da sola, non basta: è la mentalità che decide se uno strumento diventa leva o peso morto.
Oggi la sfida non è decidere se adottare la sostenibilità, ma come farlo in modo strutturale e permanente. La vera differenza la fa la capacità di riscrivere le abitudini organizzative, riconoscere i limiti culturali interni e misurare i risultati con trasparenza. La sostenibilità non è una destinazione, ma una competenza continua da coltivare, allenare, correggere.
Chi crede di poter delegare questa trasformazione a un ufficio dedicato, senza affrontare le contraddizioni radicate nei processi e nei comportamenti, rischia di restare competitivo solo nei report, non nei mercati.
Con queste premesse, non è solo questione di mentalità, ma di necessità.
Se è vero che nel lungo termine si risparmia (ed è da vederne la verità, considerando manutenzione e svaluatzione delle tecnologie), nell'immediato si spende, eccome....
E dato che tutti viviamo nell'immediato, mi sembra che le aziende siano perfettamente coerenti, logiche e pragmatiche nelle loro scelte basate sulla realtà, non sulle ideologie di benpensanti ipocriti.
Questo commento è stato nascosto automaticamente. Vuoi comunque leggerlo?