La recente minaccia degli Stati Uniti di imporre dazi fino al 100% su alcune importazioni tecnologiche cinesi ha innescato una reazione immediata da Pechino, la quale ha affermato pubblicamente di non temere una guerra commerciale. La disputa sui dazi, che ha radici in accuse di pratiche commerciali sleali e furto di proprietà intellettuale, segna una nuova, preoccupante escalation nel conflitto tra le due maggiori economie mondiali.
Una ritorsione di questa portata, che mira a proteggere l'industria domestica statunitense, può avere - e avrà - un reale impatto economico per le aziende e i consumatori di tutto il mondo. L'esperienza degli anni passati ha dimostrato che le guerre tariffarie tendono a generare più incertezza che vantaggio, con costi che spesso ricadono sui cittadini. In questo caso i soggetti più esposti sono le stesse aziende statunitensi, ma gli effetti globali si faranno sentire, se l'amministrazione Trump deciderà di dare seguito alle minacce.
Si tratta di comprendere la meccanica del mercato: tariffe elevate sui prodotti finiti spingono le multinazionali a rinegoziare o a rilocalizzare, un fenomeno di riallocazione che avevamo già analizzato in passato.
La Cina, pur ostentando sicurezza, è consapevole che l'isolamento è un costo strategico che la tecnologia non può permettersi. Il piano di Pechino di raggiungere la leadership tecnologica mondiale si basa sull'accelerazione della ricerca interna e sulla riduzione della dipendenza da fornitori esteri, in continuità con quanto dichiarato in precedenza. La risposta americana, in questo senso, si configura come un tentativo di interrompere l'accesso a componenti critici, in particolare nel settore dei semiconduttori, un punto debole che la Cina sta cercando di colmare investendo massicciamente nella produzione domestica. Ma per ora il Paese asiatico è ancora molto indietro da questo punto di vista.
L'escalation tariffaria, intanto, pesa sulla vita di aziende e professionisti, che si trovano a dover operare con margini ridotti. L'aumento dei costi dei componenti e l'imprevedibilità del mercato impongono alle aziende di rivedere i propri piani di investimento, ritardando l'adozione di nuove infrastrutture IT e rallentando la trasformazione digitale. Un approccio diametralmente opposto alla promozione di una cultura digitale consapevole, che richiede stabilità e pianificazione a lungo termine. Una delle maggiori sfide per i manager e i CEO oggi è come mantenere il vantaggio competitivo in uno scenario geopolitico così fluido, dove le decisioni di politica estera possono annullare un intero anno di programmazione aziendale.
Una spinta per l'innovazione interna
Nonostante l'attrito, la dinamica tra USA e Cina spinge entrambe le potenze verso un'accelerazione dell'innovazione interna, un aspetto che, se gestito con etica e responsabilità, potrebbe portare a progressi significativi. Ma quando l'innovazione è guidata primariamente da esigenze di sicurezza nazionale e autarchia, il rischio è che si perda di vista la missione di fondo della tecnologia: migliorare l'esperienza umana.
La vera domanda per il futuro non riguarda chi imporrà l'ultimo dazio, ma quale ethos aziendale e quale visione culturale guideranno la prossima ondata di intelligenza artificiale e robotica in un mondo sempre più frammentato. I governi riusciranno a conciliare la protezione degli interessi nazionali con l'esigenza di un ecosistema tecnologico aperto e collaborativo, che è l'unico in grado di affrontare sfide globali come il cambiamento climatico o le pandemie? I dazi saranno solo l'inizio di una lunga disconnessione tra le due metà del mondo tecnologico?