L'open source entra nella Pubblica Amministrazione

Migrare a LibreOffice nella Pubblica Amministrazione è possibile. Con beneficio per i rivenditori, che marginano sui servizi e non sui pochi punti concessi dalla vendita dei prodotti "branded"

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a cura di Italo Vignoli

L'Articolo 68 del Codice dell'Amministrazione Digitale - approvato nella forma attuale nel 2012 - ha introdotto una norma particolarmente favorevole al software libero, in quanto richiede alle Pubbliche Amministrazioni di effettuare - prima di procedere all'acquisto di qualsiasi programma - una valutazione comparativa delle diverse soluzioni disponibili sulla base del costo complessivo, dell'uso di formati standard e aperti, e delle garanzie di sicurezza e servizio offerte dal fornitore, e di procedere all'acquisto di software proprietario solo di fronte all'impossibilità di utilizzare software libero o riutilizzare soluzioni già acquisite. 

La norma ha scatenato nelle aziende della pubblica amministrazione sia centrale che locale reazioni diverse ma sempre favorevoli, a seconda che all'interno della struttura ci fossero o meno delle persone competenti nell'area del software open source oppure no, o che la situazione delle licenze del software proprietario fosse più o meno in linea con gli aggiornamenti.

Infatti, la presenza di tecnici abituati a interfacciare le comunità del software libero ha fatto da acceleratore, in quanto il dettato della legge è stato trasformato in opportunità per una migrazione attesa da tempo, così come la necessità di aggiornare le licenze del software proprietario in scadenza, perché le esigenze di budget hanno fatto pendere l'ago della bilancia a favore delle applicazioni open source. 

L'esempio delle numerose esperienze internazionali legate a migrazioni di grande successo, come quelle del Governo Francese, della Regione di Valencia in Spagna o della città di Monaco di Baviera, che è passata addirittura da Windows a Linux - server Debian e desktop Ubuntu - senza traumi, con un vantaggio sia in termini di riduzione delle spese (misurate in milioni di euro all'anno) sia di indipendenza dai grandi vendor internazionali, è stato determinante per la valutazione positiva della fattibilità dei progetti. 

Opportunità per il canale

In tutti gli altri Paesi europei, una situazione come questa è stata sempre accolta in modo estremamente positivo dalle aziende del canale, che hanno colto una grande opportunità di crescita. In Italia, al contrario, c'è la percezione che le migrazioni al software libero rappresentino un problema e non un'opportunità per le terze parti.

Niente di più sbagliato, se pensiamo che nel caso della vendita di una licenza "brand" i margini sono ormai ridotti a pochi punti percentuali, mentre nel caso della migrazione a LibreOffice il valore aggiunto resta tutto al rivenditore (ed è facile calcolare di quanto stiamo parlando, se si pensa che il costo della licenza è di oltre 200 euro, e il valore della consulenza può arrivare a oltre 100 euro a PC). 

Il modello è promosso da The Document Foundation, l'organizzazione no profit che ha lanciato LibreOffice come fork di OpenOffice, garantendo l'indipendenza da qualsiasi software vendor (che potrebbe fare concorrenza al canale, vendendo gli stessi servizi, così come Sun aveva tentato di fare con OpenOffice).

Questo è uno dei pilastri su cui si basa la strategia di crescita di LibreOffice, insieme alla licenza copyleft (che protegge gli sviluppatori volontari), alla governance da parte della community, e alla democrazia di tipo meritocratico (per cui quelli che fanno sono anche quelli che coordinano le attività).