Avv. Giuseppe Croari
È passato poco meno di un mese dall’approvazione in Senato del disegno di legge sulle recensioni online, parte del cosiddetto DDL PMI, e il dibattito non accenna a fermarsi.
La misura – ora all’esame della Camera – introduce una serie di novità strutturali nel modo in cui potranno essere pubblicate, gestite e certificate le recensioni di servizi turistici e di ospitalità in Italia.
Al centro del provvedimento c’è una doppia esigenza: tutelare l’affidabilità del mercato digitale e, allo stesso tempo, responsabilizzare le piattaforme che rendono visibili le opinioni degli utenti.
Recensioni entro 30 giorni e “a scadenza” dopo due anni
Secondo il testo approvato, le recensioni potranno essere lasciate entro 30 giorni dalla fruizione del servizio.
Trascorso tale termine, la recensione potrà non essere più considerata valida ai fini della reputazione dell’impresa.
Inoltre, dopo due anni dalla pubblicazione, le aziende potranno chiedere la rimozione dei commenti ritenuti non più rappresentativi, introducendo di fatto una “data di scadenza” legale della recensione.
Si tratta di una novità senza precedenti nel panorama europeo, dove finora la durata delle recensioni era lasciata alle policy interne delle piattaforme.
Badge “verificato” solo con prova documentale
Il DDL prevede poi che le recensioni contrassegnate da un badge di “verifica” – come avviene già su TripAdvisor o Google Maps – siano accompagnate da una prova documentale che attesti l’effettiva fruizione del servizio: scontrino, fattura o conferma di prenotazione.
Una misura che punta a contrastare le recensioni false o pilotate, ma che introduce anche un onere di tracciabilità inedito per le piattaforme.
Chi utilizza in modo ingannevole il badge “verificato” rischia infatti sanzioni fino a 10 milioni di euro o, in alternativa, fino al 4% del fatturato annuo, in linea con le previsioni del Codice del Consumo e della Direttiva (UE) 2019/2161.
Meno obblighi per gli utenti, più responsabilità per le piattaforme
Rispetto alle prime versioni del disegno di legge, è stato eliminato l’obbligo di identificazione tramite SPID o strumenti analoghi.
Una scelta interpretata come un compromesso tra trasparenza e tutela dei dati personali: garantisce la conformità al GDPR, ma lascia aperta la possibilità di recensioni anonime purché basate su esperienze reali e dimostrabili.
Il baricentro della responsabilità si sposta così dall’utente alla piattaforma, che diventa garante della correttezza delle informazioni pubblicate.
Dal punto di vista civilistico, le piattaforme assumono una posizione di garanzia: se attestano la veridicità di una recensione, rispondono anche in sede contrattuale e commerciale per eventuali danni derivanti da dichiarazioni false o manipolate.
Un principio vicino, per analogia, alla responsabilità per pratiche commerciali scorrette prevista dagli articoli 20 e seguenti del Codice del Consumo.
Un provvedimento a metà strada tra tutela e burocrazia
Le reazioni del settore turistico e digitale sono contrastanti.
Associazioni come FIPE-Confcommercio e Federalberghi hanno accolto con favore l’introduzione di requisiti di prova, vedendovi una tutela contro le “recensioni diffamatorie o finte”.
Dall’altro lato, operatori digitali e startup del turismo temono che le nuove regole possano generare un eccesso di burocrazia e una riduzione della spontaneità del feedback online, uno dei pilastri della fiducia digitale.
Sul piano tecnico-giuridico, restano da chiarire diversi punti:
- come verrà gestita la raccolta delle prove di acquisto;
- in che misura le piattaforme internazionali (Google, Booking, Airbnb) dovranno adattare i propri sistemi;
- e come l’AGCM interpreterà la nuova “responsabilità rafforzata” in sede sanzionatoria.
Uno scenario in evoluzione
Il passaggio alla Camera, previsto entro fine 2025, sarà decisivo per definire l’attuazione pratica della legge.
Non è escluso che il Governo introduca decreti attuativi o linee guida AGCM per coordinare le piattaforme con la normativa europea e garantire uniformità di applicazione.
A tre settimane dall’approvazione in Senato, è chiaro che questa riforma segna un punto di svolta nel diritto digitale italiano: per la prima volta, l’affidabilità di una recensione non è più un fatto di community, ma un obbligo legale di trasparenza.
Resta però aperta la domanda più importante: riuscirà la legge a tutelare davvero i consumatori senza snaturare l’autenticità del web partecipativo?
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