È arrivato il momento di una 007 donna?

Dopo gli eventi di No Time to Die, è giunto il momento di una 007 donna?

Avatar di Manuel Enrico

a cura di Manuel Enrico

L’uscita dell’ultimo film di Bond, o meglio, dell’ultimo Bond con protagonista Daniel Craig, è stata accompagnata da una sentita disquisizione sull’eredità del ruolo di protagonista della saga. Come sempre accade, con l’uscita di un film di 007 si apre la stagione della caccia al nuovo volto di Bond, ma nel caso di No Time to Die questa tradizione si è colorata di una sfumatura diversa, che non contempla solo un nuovo volto per l’agente di Sua Maestà, ma che si pone una domanda che, per alcuni puristi, sembra un’eresia: e se il prossimo 007 fosse una donna?

ATTENZIONE: quanto segue può contenere spoiler su No Time to Die

Occorre fare una distinzione: James Bond è anche 007, ma 007 non è solamente Bond. Nonostante un legame affettivo, carismatico tra uomo e designazione, sono due elementi interconnessi ma che posso sopravvivere autonomamente. Proprio in No Time to Die, e non è uno spoiler, il ritiro di Bond ha lasciato vacante il titolo di 007, che viene raccolto da Nomi (Lashana Lynch). Non mancano, nel film, dei riferimenti a questo passaggio del testimone, da uno sfacciato "Pensavi che lo ritirassero?", lanciato come sfida da Nomi all’indirizzo di Bond, a un più sofferente ma contenuto "È solo un numero" del comandante Bond stesso. Certo, sessant’anni di affiatata coesistenza tra Bond e il suo codice operativo ci hanno spinto a vederli come un tutt’uno, ma in questi sei decenni si è andati oltre, socialmente e, conseguentemente, anche nel mondo del cinema.

007 può andare oltre il mito di Bond?

Ai tempi del Bond di Brosnan la prima apertura a un cambio di percezione del ruolo delle donne fu l’avere Judi Dench come M, a partire da GoldenEye. Vedere come capo di Bond una donna fu una sorpresa, ma il Bond di Brosnan era il giusto momento di dare qualche scossone a questo figlio della guerra fredda, che, per quanto distaccato dall’originale cartaceo di Fleming, tendeva a essere sin troppo legato a una visione machista che iniziava a mostrare i suoi anni.

L’entrata in scena della Dench come M era un primo tentativo di ammorbidire il ruolo delle donne in Bond, tradizionalmente ritratte apparentemente come forti, vedi Pussy Galore o Anya Amasova, ma che tendevano sempre a cascare tra le braccia del seduttore per eccellenza. Senza dimenticare che nelle prime pellicole con protagonista Sean Connery erano presenti piccoli atteggiamenti che all’epoca erano considerati dimostrazioni ben accette di cameratismo maschile, ma che oggi, alla luce di una nuova consapevolezza sociale, sono lungi dall’esser ben accetti.

Il ruolo della donna, nei film di Bond, è quindi sempre stato quello del premio di fine missione, con qualche piccola concessione in cui venivano mostrati lati apparentemente moderni. Ma prima dell’era Craig, l’unica figura femminile capace di emanciparsi da questa sensazione di oggetto era stata Teresa di Vincenzo in 007 – Al servizio di segreto di sua maestà, una concessione che la contessa italiana e Bond hanno pagato caramente. La realtà è che Bond ha sempre avuto un ruolo di predominio sulle celebri Bond Girl, una radice maschilista mutuata dai libri di Fleming, lievemente adeguata al passare dei decenni dove l’irruenza di Connery lasciava spazio all’ammiccante sorriso di Moore, ma che non riusciva a vedere la donna come una pari della spia britannica.

Poco importa che durante la rivoluzione di fine secolo che ha visto Brosnan protagonista si sia anche pensato a uno spin-off femminile, incentrato sulla Giacinta ‘Jinx’ Johnson di Halle Berry, sulla scia della sua apparizione in Die Another Day. Le donne in Bond erano soggette a un ruolo secondario, e per assurdo le figure femminili forti che iniziano a fare la loro apparizione nel cinema erano sempre condannate a una definizione che le rapportava comunque a Bond, ma in un’accezione che le sminuiva in un certo senso: Bond in gonnella.

Che si trattasse di Nikita, di Lorraine Broughton o di loro colleghe, non importa quanto fossero convincenti e affascinanti, non importa quanto il loro esser donna fosse un elemento che ne esaltava lo spirito saldo, erano comunque delle ‘Bond in gonnella’. Un paragone ingiusto, che lasciava sempre Bond come paragone non solo in virtù della sua lunga presenza nell’immaginario collettivo (sarebbe stato sufficiente dire ‘le eredi di Bond’, nel caso) ma mirava a tenerle sempre un passo indietro alla spia britannica, nonostante in alcuni casi le loro missioni fossero spanne sopra a certi eccessi al ridicolo vissuti dall’agente dell’MI6, bassezze come la gondola hovercraft o il costume da coccodrillo che fanno provare un moto di tenerezza per quello che ha dovuto indossare Moore, oltre allo smoking. Fatto sta, comunque, che non solo in Bond, ma anche nel contesto dei film spionistici, le agenti segrete donne hanno sempre dovuto patire un ruolo subordinato, che fosse come spalla debole di Bond o come emule poco valorizzate.

Abbiamo visto l'erede di Bond in Not Time to Die?

Eppure, No Time to Die potrebbe essere il punto di svolta per questo tratto stantio di Bond, tanto da poterci finalmente aprire a una 007 donna. In questo film, infatti, abbiamo già una 007 donna, la convincente Nomi di Lashana Lynch, che raccoglie l’eredità del Bond di Craig come spia al servizio di sua maestà. Non sfugge come anche in questo caso la si voglia tenere un passo indietro a Bond, ma qui subentrano aspetti come la sua inesperienza, visto che è un DoppioZero da due anni, e il fatto che il protagonista di questo lungo arco narrativo iniziato nel 2006 con Casino Royale sia inconfondibilmente Bond. Il legame tra Bond e Nomi, però, passa lungo il film da quello di rivalità (‘Doppio zero come?’ chiede risentita Nomi all’inizio della loro collaborazione) a una visione di mentore e allievo, con la nascita di un muto rispetto che trae origine, a mio avviso, da un vissuto comune. D’altronde, anche Bond in Casino Royale, novello DoppioZero, commette errori da principiante che sono sì frutto dell’impostazione emotiva del corso bondiano di Craig, ma rappresentano anche una mancanza come agente DoppioZero.

Una delle eredità di No Time to Die potrebbe essere una 007 donna, un privilegio meritato sul campo, che mostra una maturità della saga nel dare alle donne un ruolo diverso all’interno del mito della spia britannica, disgiungendo anche 007 da James Bond. Pur presentandosi come una spy story moderna, il Bond di Craig ha dato anche segnali abbastanza in linea con la tradizione nel ritrarre donne che hanno dovuto fare passi indietro perché non all’altezza, come nel caso di Eve Moneypenny (Naomie Harris) in Skyfall, passata dell’essere un probabile DoppioZero a segretaria del nuovo M, Mallory (un sempre composto Ralph Fiennes). Certo, Moneypenny in questo suo ruolo ha dato un’impostazione differente al celebre rituale di giocosa seduzione tra Bond e la segretaria del suo capo, ma lascia comunque la sensazione di voler porre Eve su un piano inferiore rispetto a James (‘questa vita non è fatta per tutti’).

In No Time to Die, le due spalle femminili della spia britannica si rivelano invece in grado di tenere testa al più esperto Bond. Non solo Nomi si dimostra all'altezza delle aspettative, ma anche l'agente della C.I.A., Paloma (Ana de Armas) mostra una sua personalità ben definita, capace di tenere testa al mito di Bond. Apparentemente ingenua, con un umorismo fatta di involontarietà e di dolcezza, oltre che di una sensualità contenuta ma innegabile, rendono la giovane cubana una figura ben definita e appassionante. Ma a tenere vivo il mito del DoppioZero è quella, che almeno all'interno della trama di No Time to Die, è l'erede designata di 007.

Nomi, infatti, viene finalmente presentata come sua pari. Riesce a sorprenderlo, usa la sua familiare seduzione come arma contro di lui e dimostra di avere tutte le competenze per essere una 007 donna a cui possiamo affezionarci. Lo stesso Craig ha recentemente affermato con non avrebbe senso un James Bond donna, ma che è necessario creare nuovi personaggi femmili a sé stanti, valorizzati per la loro natura e non perché versione in gonnella di archetipi maschili. Soprattutto, perché James Bond, come concept e ruolo, è inevitabilmente uomo e tale deve restare, o si tratterebbe di tradire lo spirito del personaggio.

Discorso differente per una 007 donna, che nel mondo contemporaneo avrebbe una sua ragione d’essere coerente, se ben scritta e non resa vittima di una sindrome da James Bond, che la veda sempre costretta a doversi paragonare con il suo predecessore. Ci hanno già pensato i diversi interpreti di James Bond a sopportare questa continua competizione, ora sarebbe meglio andare oltre, aprirsi a una differente concezione di 007 che lo vede finalmente separato da James Bond. E Nomi è pronta a raccogliere questa eredità, in No Time to Die lo ha sia dimostrato che tacitamente già fatto. E chissà che un giorno non molto lontano potremmo vedere 007 uscire dal mare, sfilandosi la muta da sub e sfoggiare un bellissimo abito da sera con strascico.