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24 fotogrammi al secondo - Intervista a Arianna Bochicchio

La nostra intervista a Arianna Bochicchio, artista che si racconta tra cinema, canto e prossimi progetti di vita.

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Avatar di Francesca Sirtori

a cura di Francesca Sirtori

Pubblicato il 22/03/2021 alle 16:30

La abbiamo conosciuta già l'anno scorso grazie a una prima intervista, ma il tempo passa e nonostante il mondo sia stato letteralmente messo a soqquadro dalla pandemia tuttora in corso di Covid-19, quella che avevamo definito una personalità vulcanica non ha smesso di darsi alla caccia di nuove passioni e progetti a cui dedicarsi. Arianna Bochicchio, classe 1995, è un'artista che ha saputo mutare forma e attività nel corso degli ultimi tempi, cercando sempre di cavalcare l'onda del momento e capire al meglio come adattarsi a un mondo sempre più confuso e dagli orizzonti incerti. Cosa ha caratterizzato l'ultimo anno di Arianna? Ce lo racconta nella nostra intervista, parlando anche della sua partecipazione sul set de La Stanza, film italiano su Prime Video di cui non solo abbiamo avuto modo di raccontare la nostra opinione, ma abbiamo anche avuto l'onore di scambiare quattro chiacchiere con il regista e l'attrice Camilla Filippi.

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Ti avevamo conosciuta lo scorso anno, ma ricapitoliamo qual è stato il tuo percorso personale e professionale che ti ha condotta nel mondo dell’entertainment.

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Ho iniziato a dieci anni con piccolissimi spettacoli che riscrivevo insieme a mio fratello e i nostri due migliori amici. Mettevamo in scena Grease nell’androne della palazzina dove passavamo l’estate, da lì è nato tutto. Ho iniziato a studiare teatro alle medie ed ho proseguito al Liceo, con il regista Fausto Ghirardini. Mi sono diplomata poi a Mestre presso la scuola di teatro di Farmacia Zoo:è, integrando anche un’esperienza di Introduction To Screen Acting alla LAMDA a Londra. Poi è arrivato l’anno dei provini a Milano, ne facevo tanti, soprattutto per pubblicità. Un giorno però, il Master in Cinema che stavo per concludere mi approva uno stage come Assistente Regia sul set di 1994. Ho scelto quindi di seguire quella strada, trasferendomi a Roma e iniziando a lavorare.

Come sono cambiate le dinamiche lavorative nel cinema dallo scorso anno, con l'inizio della pandemia? Pensi che l'attuale situazione possa cambiare definitivamente il settore in qualche modo, o si tratta solo di una fase (relativamente) transitoria?

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Non penso si riesca ancora a dare un parere definitivo su quanto cambierà fare cinema. Certo che, per quanto riguarda il set, le misure che (giustamente) sono state adottate per contenere i contagi ed evitare di fermare in toto il sistema hanno leso fortemente il nostro modo di lavorare. Lungi da me lamentarmi - la mia è una famiglia di medici, so quello che hanno passato durante i mesi più duri, ed è per questo che ho sopportato con piacere il fatto di dovermi mettere solamente una mascherina. Ma la mancanza di contatto umano ha avuto i suoi effetti anche nel “dietro le quinte” del mondo dello spettacolo. Comunicare in maniera efficace per noi tecnici è essenziale, e spesso non possiamo farlo ad alta voce: regista e attori hanno bisogno di concentrarsi, ma anche tra i reparti c’è bisogno di intesa visiva. “Secondo te questa andava bene? Hai fatto l’odg di domani? Fermo, che stanno girando” sono tutte frasi che noi possiamo dirci senza emettere un suono. E la mascherina che a malapena lascia liberi gli occhi rallenta di parecchio il ritmo. Come si sa, il ritmo sul set è importante, il tempo è oro. Possono sembrare inezie, e forse lo sono, ma in un ambiente in cui deve regnare l’espressività, coprire il viso (anche se per ragioni di sicurezza, tengo sempre a sottolinearlo) è un grande rallentamento al lavoro. Per non parlare dei tempi quadruplicati per i Covid test, le sanificazioni continue, i cambi mascherine, moduli da riempire per l’accesso a qualsiasi struttura… Ripeto, tutte misure più che necessarie affinché il settore non si fermi e continui a dare lavoro a tutti noi.

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A quanti prodotti per il cinema hai lavorato finora? Hai partecipato solo a lungometraggi, o anche a corti?

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Fino adesso ho lavorato su tante serie tv e lungometraggi, ma ancora nessun corto. 1994, Luna Nera, La Belva, La Stanza tra quelli italiani, e Divine, The Great e Blood & Treasure tra quelli stranieri.

E le esperienze sui set stranieri?

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Le migliori in assoluto. Ho imparato che questo dipende dal carattere di una persona, e per come sono fatta io, un set straniero è il doppio della sfida e quindi del divertimento. Sono bilingue inglese, e quando ho la possibilità di parlarlo è come se mi si attivasse un’area del cervello altrimenti inutilizzata. Sono stata su set tedeschi, inglesi, canadesi e americani, ognuno col suo modo di lavorare, tutti così estremamente diversi dal nostro. Le differenze esistono per motivi legati alla cultura di ogni Paese e ai loro prodotti cinematografici, ormai potrei scrivere un saggio su questo argomento (forse un giorno lo farò). Come dicevo si tratta sempre di gusto personale, e il mio è orientato verso un modo di lavorare più dinamico, rapido, conciso e che soprattutto lascia spazio ai giovani.

Ti dai anche al canto, vuoi parlarcene?

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Con immenso piacere! L’altra parte della mia anima è fatta di musica. Cantare mi ha salvata durante il primo lockdown. È una passione che è sempre stata presente in me, anche se da bambina sono arrivata abbastanza in ritardo nell’ascoltare i miei primi autori. Quando però ho scoperto che nell’MP3 potevo farci stare parecchie canzoni, non mi sono più fermata. Ho consumato l’album Soundtrack ’96 - 06 di Elisa, e con lei ho provato a cantare per la prima volta. Amo praticamente tutti i generi musicali e come cantante mi piace spaziare: ricordo che quando avevo 15 anni avevo un’ossessione per il country, non certo popolare qui in Italia. A lezione di canto l’insegnante mi chiamava “la ragazza della prateria”. Brescia, la mia città natale, ha un ottimo panorama musicale con tantissimi bravi musicisti, e i ricordi migliori della mia adolescenza hanno il suono dei live degli amici nei locali del centro. Sempre in quegli anni ho preso parte alla fondazione di quello che ad oggi è forse il progetto di cui vado più fiera: il Coro femminile Controcanto. Eravamo in sei e abbiamo iniziato cantando canzoni Disney nella taverna di Maria, la mia migliore amica. Ora siamo in venti ed abbiamo vinto l’edizione 2019 del Guido D’Arezzo, il Concorso Corale più importante d’Italia. Potrei parlare per ore del mio Coro, dell’importanza della musica che vorremmo portare ovunque, di ciò che regaliamo alle persone quando performiamo, ma forse meglio tenere tutto questo potenziale per il mio lungometraggio nel cassetto. Come solista ho invece un canale su Youtube, dove per ora pubblico tutte le mie cover del cuore. E un medley Disney. Durante quest’ultimo anno tante cose sono cambiate, alcune si sono dissolte. Il mio rapporto con la musica invece si è rafforzato, imprimendosi nella mia pelle e nei miei occhi: ho elaborato il concept e iniziato a scrivere il mio primo album, “DREAMLAND”. Qualche chitarrista/pianista all’ascolto? Sto allestendo una squadra! Quella con la voce è una storia d’amore sempre esistita, che non vedo l’ora di vedere dove mi porterà.

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Quale tra le diverse forme d’arte a cui ti dedichi ti rappresenta di più?

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Se potessi rispondere a questa domanda avrei risolto la metà dei dubbi esistenziali che mi attanagliano ultimamente. Al momento, l’unica cosa che ho capito è che fare l’assistente regia non fa più per me. È stata una decisione coraggiosa, ma mai come oggi mi sono sentita a posto con me stessa. Ho scelto di avere rispetto e dignità verso la professionista che mi sento in grado di essere, e ciò vuol dire prendere le distanze da determinate dinamiche. Sono quindi alla ricerca di occasioni per il ruolo di assistente casting director, posizione che spero possa apportare un po’ più di umanità alla mia giornata e un po’ meno stress fisico. È difficile, non lo nego, non era decisamente il momento giusto per capire che dovevo cambiare vita… o forse sì? Alla fine, il destino trova sempre un modo buffo per mostrarti la strada. Recitare, fare musica, girare un film e scrivere un racconto. Sono tutte cose che sono profondamente convinta di voler fare perché mi sono sempre appartenute, sono pezzi della mia identità. E questo, lo so, non potrà mai cambiare. Non importa quanto ci vorrà o quanti altri lavori ci dovranno essere di mezzo. Un giorno troverò il modo per essere esattamente ciò per cui sono nata.

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Abbiamo precedentemente intervistato anche Stefano Lodovichi, con cui hai lavorato: com'è stato prendere parte ai lavori de La Stanza?

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Dico solo che seguire Stefano ha ispirato la scrittura del mio primo cortometraggio! Lavorare in squadra con lui mi ha dato la possibilità di assistere da vicino a tutto il lavoro di lettura del copione con gli attori, ad esempio. Vedere come Stefano interagiva con i reparti che avrebbero dovuto costruire la scenografia, o come ogni sera ci mandava schemi sui movimenti macchina per il giorno dopo. Mi ha portata a una dimensione “più umana” di fare cinema, più vicina alla portata dei sognatori come me. Lo devo ringraziare molto!

Quali sogni nel cassetto per il futuro?

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Nel sogno del mio futuro ci sono tre parole chiave: serenità, soddisfazione e felicità. Non so dire da che parte arriveranno, però, già che me lo hai chiesto, un album, un film e un libro di sicuro. Forse due. Uno di poesie d’amore e l’altro un racconto sulle vie traverse del destino di una persona. Per questo però aspetto un po’ di tempo.

Riscopri La Stanza, film di Stefano Lodovichi, su Amazon Prime Video.
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