Animosity, la recensione: quando gli animali domineranno il mondo

Scopriamo i volumi 1,2,3 di Animosity, fumetto portato in Italia da Salda Press. Che succederebbe se tutti gli animali potessero comunicare con noi, se perdessimo il nostro primato di unico essere senziente e intelligente? Ce lo racconta Marguerite Bennett in questo fumetto

Avatar di Fabrizio Picoco

a cura di Fabrizio Picoco

Per chiunque possieda un animale da compagnia è quasi normale rivolgergli la parola, trattarlo come uno di famiglia. Qualsiasi umano che ha un cane o un gatto coltiva l’illusione di essere compreso, che il destinatario a quattro zampe riesca a carpire il significato più recondito dei suoni articolati con cui viene puntualmente investito.

Chissà: magari davvero allo stato attuale gli animali che tanto amiamo ci capiscono (e spesso lo fanno anche meglio degli altri umani), e spesso la cosa è così evidente da far nascere il commento: ‘Gli manca solo la parola’, mentre guardiamo il cane quasi con commiserazione, un misto di delusione e aspettative mancate, perché purtroppo è solo un cane.

Che succederebbe invece se all’improvviso gli animali, tutti gli animali, potessero comunicare con il nostro stesso idioma? Cosa accadrebbe se l’uomo perdesse il suo primato di unico essere senziente e intelligente?

Questo si è chiesta Marguerite Bennett quando ha imbastito la trama di Animosity, un fumetto edito da Aftershock negli States e portato in Italia da Salda Press. Ora bisogna vedere fin dove si è spinta la talentuosa autrice californiana coadiuvata dal lavoro artistico di Rafael De Latorre, e quanto sia vera l’idea che questo sia solo un fumetto ecologista.

E venne il giorno

Animosity inizia gettando il lettore nel bel mezzo del disastro, senza preamboli, senza introduzioni. Semplicemente, una volta aperto il primo volume avviene il Risveglio. Di punto in bianco, senza alcuna logica spiegazione, gli animali cominciano a comportarsi in modo strano: parlano, esprimono giudizi e pregiudizi, mostrano intelligenza, mostrano più di ogni altra cosa emozioni.

Questa è la base distopica su cui si fonda tutto il racconto di Marguerite Bennet, un assunto su cui chiunque in un modo o in un altro si è trovato a fantasticare: gli animali come se fossero esseri umani. Il buon vecchio Orwell ci ha fatto un’allegoria che viene continuamente e spesso a sproposito (come in questo caso) citata, ma gli intenti dell’Autore inglese erano ben altri, lontani (ma non troppo) dalla parabola sociale, economica e anche religiosa che in questo ‘piccolo’ fumetto emerge di pagina in pagina.

La protagonista è Jesse Hernandez detta Cowgirl, ragazzina newyorkese, che si ritrova a essere contemporaneamente testimone e vittima dell’enorme stravolgimento sociale che il Risveglio si porta dietro. Insieme a lei, sempre al suo fianco, c’è il fedelissimo Sandor, un bloodhound di cinque anni che non la molla un attimo e che vota la sua intera esistenza alla salvaguardia della bambina.

Purtroppo, la violenza che si scatena nelle strade, dove ogni essere vivente, a prescindere dal numero di zampe e artigli, è in lotta per la propria sopravvivenza, lascia una scia di sangue che investe anche la famiglia di Jesse. Per questo, il suo fine ultimo è quello di raggiungere il suo fratellastro, veterinario a San Francisco. Con un mondo sull’orlo di un baratro mai visto prima e di cui non si riesce a scorgere il fondo, la ragazzina e il suo fido amico si mettono in marcia verso la loro lontanissima meta.

Il primo volume dei tre pubblicati finora serve appunto a tracciare i confini narrativi, mettere in scena la devastazione, lasciare che il lettore cominci ad abituarsi all’inferno fatto di animali e umani in cui si sono trasformati gli stati uniti d’America.

I primi capitoli si susseguono veloci e quasi fugaci, con l’intento di non raccontare, ma di mostrare il cambiamento, di dare forma alle conseguenze del Risveglio: lo status quo è completamente sovvertito, e quegli esseri viventi che fino a pochi attimi prima erano assoggettati e sottomessi, considerati amici, ma pur sempre inferiori, si ritrovano a urlare con tutto il fiato che hanno in gola le loro rivendicazioni e la loro nuova posizione all’interno di una società che poco prima non li considerava neanche come esseri viventi.

È l’inizio del cambiamento, che porterà alle descrizioni di aberrazioni e adattamenti, in un crescendo di orrori e sorprese, dove tutto diventa imprevedibile e non si può mai sapere cosa si nasconde dietro l’angolo.

Il secondo volume, a differenza del primo, cambia quasi prospettiva: dopo la sorpresa iniziale, dopo le lotte sociali e la costruzione di un mondo apparentemente nuovo a partire dalle macerie del primo, inizia una profonda e toccante disamina di quello che sono i rapporti umani e animali. Il gruppo di Jesse e Sandor si arricchisce di nuovi elementi, e insieme decidono di fare comunità, di aiutarsi e di far fronte comune alle continue insidie che il nuovo mondo mostra senza sosta.

In questo frangente emergono nuovi interessanti rivelazioni sul passato dei protagonisti, così da costruire un affresco enorme, in un’opera corale dalle mille voci mai stonate. Quello che fino a poche pagine prima poteva essere bollato (erroneamente) come un fumetto ecologista, esplora invece ambiti umani e relazionali profondi e toccanti, come il rapporto genitoriale, la crescita e la maturità, i pericoli dell’età adulta e il filtro di sorpresa e candore che i bambini riescono ad alzare anche in momenti terribili.

Le due figure principali, Jesse e Sandor, si scontrano con modi di fare, modi di vedere le cose e correnti di pensiero diverse e sono costretti a farne i conti volta per volta e non sempre le decisioni che ne scaturiscono sono poi così lievi.

Il terzo volume alza il ritmo paurosamente, in un crescendo che non lascia fiato al lettore, mischiando aberrazioni postapocalittiche con scenari idilliaci, lasciando intravedere che dietro ogni giornata di sole esiste sempre una notte buia e tenebrosa, e talvolta semplici gesti, anche i più apparentemente insignificanti, come uccidere un insetto, possono portare a conseguenze quasi catastrofiche.

Un’opera Corale

Animosity è un fumetto on the road, un lunghissimo viaggio in un’America quasi irriconoscibile, popolata da personaggi singolari, che però alla fine incarnano alla perfezione tutti i pregi e i difetti degli umani.

La narrazione è frutto di un’opera corale di amplissimo respiro, dove le comparse non sono poi così di secondo piano, ma hanno il compito doveroso e difficile di mostrare cosa sta cambiando e, ancor di più, quanto resta immutato. Il piccolo difetto di questa moltitudine di voci è che possono essere vagamente dispersive, soprattutto se non si dà la giusta attenzione alle varie tavole.

Un altro errore che si può fare è quello di considerare Animosity un fumetto ecologista o animalista. Lo è, per certi versi è forse una delle idee più ecologiste che siano in circolazione, sia come impostazioni sia per alcune riflessioni e speculazioni - meravigliosa quella sulle api - ma limitarlo a questo sarebbe riduttivo e fuorviante. E allo stesso modo, non è una rivisitazione di quanto già visto in Zoo (di James Patterson), con cui condivide alcune premesse.

Animosity è un fumetto ambizioso e come tale non ha una singola tematica. Di pagina in pagina, c’è spazio per parlare di Dio nelle sue molteplici sembianze, delle religioni e di come certe pagine di libri sacri debbano in qualche modo essere riviste, alla luce del Risveglio. E il fatto che certi discorsi filosofici, certi interrogativi mistici li sollevi un pangolino dal lessico forbito lascia ancora più spaesati di quanto si dovrebbe.

I grandi protagonisti di tutta la narrazione sono per ovvi motivi gli animali, redivivi, consci della loro natura, consapevoli del passato, qualunque esso sia stato. La cosa che emerge dai racconti delle volpi, dei gatti, delle capre, è che nonostante prima del Risveglio non potessero esprimersi in termini umani, le loro sensazioni erano in tutto e per tutto assimilabili a quelle dei Sapiens. Il risveglio, in fin dei conti, ha solo dato la parola a questi esseri viventi, ma l’essere senzienti era una caratteristica già presente, a tutti i livelli, solo non era percepibile dagli umani.

Nella lettura del fumetto si può fare un’altra considerazione, ribaltando il punto di vista: e se invece non sono gli animali che hanno iniziato a parlare, ma gli UMANI ad aver iniziato all’improvviso a capire cosa vogliono dire? Magari è un aspetto che verrà analizzato successivamente, e forse la soluzione del mistero sarà che sono gli umani ad essere cambiati e non gli animali. Lo vedremo solo nei prossimi volumi, e fino ad allora, godiamoci il bello delle distopie: fare congetture e estremizzare i già estremi contorni.

Non di solo sconvolgimento sociale vive il fumetto di Marguerite Bennett, ma anzi, nasconde dei momenti intimisti estremamente toccanti e struggenti, che mostrano aspetti della vita degli animali che mai avremmo immaginato. Per quanto il titolo dell’opera sia Animosity, che vuol dire grosso modo ‘Odio’, non tutte le storie degli animali protagonisti sono condite con sentimenti di avversione e ostilità verso gli umani (o verso altri animali). C’è un bellissimo momento in cui un membro del gruppo di Jesse confessa di essere stato oggetto di esperimenti e, nonostante tutto, di non riuscire a volere il male degli esseri umani, perché “sono fatto così”. Non c’è niente di più diretto e allo stesso tempo umano di una tale autodeterminazione.

E su tutti svettano i due protagonisti Jesse e Sandor, che incarnano l’idea di famiglia più sgangherata e inconcepibile che si possa pensare, composta da una bambina e il suo cane. Ma ovviamente sono molto di più di quel che sembrano: da una parte, c’è la bambina che fino a poco tempo prima considerava se stessa la mamma di Sandor, con quella naturalezza che solo i bambini sanno esprimere, e dall’altra il Bloodhound che soffre per non poter dare a Jesse tutto quello che vorrebbe, per non poterla guidare nel difficile passaggio verso l’età adulta, sia in termini di istruzione che di semplici (ma mai così semplici) esperienze di vita. Rappresentano la summa di due mondi che vorrebbero unirsi e che non sanno da dove iniziare e si lasciano guidare solo dall’istinto e da una forma primordiale di amore, che va al di là di quello genitoriale e filiale, per diventare quasi universale.

I colori della Natura

Dal punto di vista artistico, Animosity è molto accattivante: l’ottimo Rafael De Latorre ha dato prova di sé disegnando decine, centinaia di animali in pose non convenzionali, con vestiti e armi, in atteggiamenti poco animaleschi o troppo animaleschi, senza mai perdere contatto con il difficile compito di rendere tutto credibile e realistico.

La versatilità di questo artista emerge nelle scene calme, negli scorci paesaggistici che dal sapore quasi poetico, per prorompere nelle sequenze di azione e combattimento, in un tripudio di esplosioni, sangue e violenza.

Possiamo affermare con certezza che il tratto di De Latorre, già ben definito e riconoscibile fin dalle prime tavole, è addirittura migliorato per essere ancora più incisivo e diretto nel terzo volume, che ci ha regalato dei momenti graficamente incredibili.

I colori e le illuminazioni delle tavole sono poi la proverbiale ciliegina su una torta già ricca di ingredienti succulenti.

Se il lavoro della Bennett in Animosity vi è piaciuto, allora date un'occhiata anche ad Animosity Evolution.