La cosa da un altro mondo

Dove si parla di: coperte elettriche, carote indigeste e luoghi comuni duri a morire.

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a cura di Tom's Hardware

Andando alla ricerca di una chiave per questa porta, prendiamocela comoda e facciamo un giro lungo. Cominciamo da un super-cult come The Thing From Another World (1951), la pellicola che - accanto a un paio d'altre - apre più o meno ufficialmente la Golden Age del cinema fantamostruoso americano.

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L'anedottica ufficiale da cui l'opera di Christian Nyby sostiene che l'inesperto regista (in realtà bazzicava i set di Hollywood almeno dal '43) sia stato "accompagnato" nelle riprese dal produttore Howard Hawks, al quale spetterebbe la vera paternità dell'opera. A sostegno di questa tesi persino la documentatissima Storia del cinema di fantascienza di Claudia e Giovanni Mongini ci racconta che "Nyby, dopo, scomparve dalle scene", il che purtroppo non corrisponde a verità: il regista californiano, semplicemente, si trasferì in televisione, dove fu attivissimo fino alla metà degli anni Settanta. Ma questo è tutto sommato un dettaglio secondario.

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Più intrigante è piuttosto la trita litania che vorrebbe a tutti costi fare di The Thing from another World un "B-movie", un lavoro segnato dalla penuria di mezzi e dunque da effetti speciali da quattro soldi. Il critico inglese John Scalzi, per esempio, lo paragona in questi termini al remake carpenteriano del 1982, a cui dedicheremo due parole prossimamente: "il film degli anni Cinquanta maschera gli effetti scadenti e la scarsità del suo budget dietro i personaggi e l'intreccio, quello degli anni Ottanta cela la debolezza dei personaggi e della storia dietro gli effetti e il ricco budget"; un'affermazione che, facendo torto a tutti, non rende giustizia a nessuno.

In realtà, se paragonata con quella dei suoi due "coetanei" più noti, la produzione de La cosa da un altro mondo risulta senza dubbio vincente: con un milione e seicentomila dollari di finanziamento surclassa i 936mila verdo­ni di When The Worlds Collide (Rudolph Maté) e supera quanto basta il milione e duecentomila di Ultimatum alla terra (Robert Wise). Certo non può competere con i sette testoni e passa di un Quo Vadis, però non sfigura accanto al milione e ottocentomila del blasonatissimo Un tram che si chiama Desiderio di Elia Kazan.

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Ma soprattutto - toccando il fondo di questa mortificante contabilità - non si può non sorridere scoprendo che, secondo i calcoli del super-esperto Janne Wass, se il film di Nyby fosse stato girato nel 1982 sarebbe costato, al netto dell'inflazione, un paio di milioni più di quello di Carpenter! Del resto, perché mai - se si fosse trattato di una messinscena abborracciata alla meglio, come tanta critica sembra voler sostenere - il truccatore Lee Greenway avrebbe impiegato ben cinque mesi (realizzando diciotto diversi modelli) per mettere a punto il make up dell'alieno? Non sarebbe bastato un "buona la prima"?