Bussano alla Porta, recensione: ritratto intimo del dubbio umano

Bussano alla porta, il nuovo film M. Night Shyamalan danza continuamente nel dubbio costruendo una situazione che tiene col fiato sospeso.

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a cura di Nicholas Massa

Bussano alla Porta, ma non si capisce cosa vogliano queste 4 persone piombate senza nessuna logica in una baita in montagna lontana da tutto e da tutti. La prima a vederli è una dolce bambina che gioca, da sola e spensierata, nel gigantesco verde che circonda la zona, cercando di catturare quante più cavallette possibili per studiarle nel suo barattolo. Poi tutto cambia, i suoi due padri non comprendono la situazione fino in fondo, cercando di reagire nel modo più razionale e umano possibile ma… l’obiettivo di questi sconosciuti è ben lungi da qualsiasi aspettativa del caso.

M. Night Shyamalan ne ha fatta di strada dal suo Sesto senso, e decide di confezionare un film questa volta tratto da un romanzo horror di successo, La casa alla fine del mondo di Paul Trembley. Parte dalla pagina stampata e sviluppa un ragionamento che si muove di pari passo con la controparte letteraria solo fino a un certo punto, per poi distaccarsene totalmente con il finale. Il suo modo di narrare è chiaro e lampante, e il ragionamento alla base di una storia del genere non può che toccare gli spettatori in più punti differenti, con un intimismo che non risparmia mai nessuno.

Tutta la narrazione prosegue senza fermarsi mai in Bussano alla porta, senza esitazioni o freni di sorta, scegliendo di omettere tantissimi dettagli in funzione della situazione e del suo essere surreale. La fede contro la razionalità, la logica contro l’impeto umano, la violenza e la morte contro l’amore più vero e sincero, il presente contro il futuro, un domani che nessuno comprende davvero fino in fondo, coinvolgendo anche tutto il pubblico in sala che riflette e resta coinvolto, emotivamente parlando, in tutto quello che accade.

Bussano alla porta, ma perché?

Atteso nei cinema italiani per il 2 febbraio, Bussano alla Porta è un film estremamente particolare e dalle molteplici letture. L’azione stessa al centro della pellicola, andando oltre gli elementi più spaventosi e di tensione, è piuttosto estraniante nel suo insieme, tendendo ad isolare chi guarda da tutto il resto. 4 persone, 4 sconosciuti piombano nella casa di una famiglia composta da Andrew (Jonathan Gross), Eric (Ben Aldridge) e la piccola Wen (Kristen Cui). Inizialmente si pensa alla classica effrazione con l’obiettivo di rubare loro qualcosa o di far loro del male, magari ispirata da radici omofobe e violente.

In realtà l’obiettivo di questi 4 è quello di salvare il mondo, sono stati inviati sul posto da “qualcuno o qualcosa che hanno visto” e sanno che il loro unico compito è quello di spingere la famiglia a sacrificare uno di loro per salvare l’intera umanità. Un sacrificio d’amore in cambio della vita di miliardi di persone. Ovviamente una storia del genere risulta folle e surreale fin dall’inizio non solamente per i personaggi, ma anche per gli spettatori stessi, e proprio su questo gigantesco dubbio la pellicola continua a giocare dall’inizio alla fine.

Leonard (Dave Bautista), Adriane (Nikki Asuka-Bird), Sabrina (Abby Quinn) e Redmond (Rupert Grint), però, sono estremamente convinti del loro compito e pur di portarlo a compimento sarebbero disposti anche a spingersi molto oltre la logica umana. Tutto fuga la logica in realtà, intessendo una narrazione che mette e si mette in dubbio da sola nel suo procedere, obbligandoti a riflettere su quello che sta succedendo, su quello che queste persone dicono e su quanto accade nel mondo, proprio come succede anche agli stessi protagonisti.

Intimismo e delicatezza soffocante

La regia di M. Night Shyamalan (autore fra le altre cose anche di Old che potete tranquillamente recuperare su Amazon) in Bussano alla Porta è estremamente chiara e molto più prolissa dei suoi stessi protagonisti. In questo caso il parlare per immagini diventa una costante interazione con il profilmico e un’attenzione maniacale all’emotività di ogni singolo personaggio. Nel corso dell’intero film il regista sta letteralmente addosso a tutti loro, sempre, con primi piani soffocanti e molto ravvicinati pronti a catturare qualsiasi espressione di ognuno di loro. Il centro focale della pellicola non è solamente la storia che gli sconosciuti raccontano ma il modo in cui la famiglia stessa reagisce e le convinzioni di queste persone nel realizzare il loro “sacro” obiettivo a discapito del resto. Tutto il dolore dell’umanità viene racchiuso nelle mura di questa casa che diventa ben presto una scatola in cui catturare qualcosa d’indefinito e al tempo stesso perfettamente chiaro davanti alla lente di una macchina da presa affamata di emozioni.

Così vediamo inquadrature di ogni genere, dettagli figurativi che diventano subito narrativi, e un’attenzione formale che non lascia spazio a nient’altro che non sia il cruccio del momento. Uno degli elementi più interessanti di Bussano alla Porta è, inoltre, l’interpretazione di Dave Bautista. Qui l’attore si è ritrovato per le mani, forse per la prima volta da sempre, un personaggio estremamente centrale e complesso, molto sfaccettato dal punto di vista espressivo. Il suo modo di parlare e di porsi in relazione agli altri è molto disorientante nell’insieme delle scene, complice la sua interpretazione guidata da uno sguardo rotto che riesce a comunicare perfettamente tutte le sensazioni del momento.

È davvero un horror fino in fondo?

La risposta a questa domanda è Ni. Definire Bussano alla Porta un horror è abbastanza limitante per tutto quello che si trascina dietro scena dopo scena. La paura non è certo il carburante principale a spingere nella visione, anzi, moltissimi dei suoi sviluppi più violenti sono piuttosto censurati, tamponando parecchio il sangue e l’orrore che avrebbero potuto uscire fuori se girati in maniera più diretta.

Che cosa ci resta alla fine della visione? Tantissimo in realtà, dato che il cuore pulsante della pellicola non è tanto la situazione surreale e la violenza di fondo, con la paura per se stessi, quanto la scelta che queste persone devono fare e le ipotetiche conseguenze che in quel preciso momento potrebbero, o meno, scaturire dalla situazione. Uno dei grandi meriti di M. Night Shyamalan è quello di riuscire a costruire il passato e il presente di questi personaggi senza dover esagerare e mantenendo comunque il ritmo abbastanza equilibrato dall’inizio alla fine. Conoscere quello che sono e hanno fatto fino a quel momento aiuta a comprendere il dolore dell’attuale situazione con gli sconosciuti e la riflessione generale che condurrà al finale. Non un film troppo diretto, in realtà, quanto una storia che tenta di abbracciare lo sfilacciato incedere dell’essere umano nei meandri della vita, delineando un percorso che riesce inevitabilmente a toccare tutti quanti, chi più e chi meno.