Homecoming, il thriller di Julia Roberts non rapisce l’interesse come vorrebbe

Homecoming è la nuova serie originale di Amazon Prime Video con protagonista Julia Roberts nei panni di una dottoressa e i segreti del programma militare che amministra.

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a cura di Andrea Balena

Quando leggiamo sulla locandina di un nuovo film in uscita dei nomi di grosso calibro fra attori e regista, quasi automaticamente siamo convinti della sua qualità una volta entrati in sala. Ma non è sempre così, e la nostra delusione si può vedere tranquillamente sul nostro volto una volta usciti dalla sala. Questo paradigma si applica anche alle serie Tv specialmente negli ultimi anni, da quando grandi star dello star system decidono di rilanciarsi tramite il piccolo schermo.

Vecchi volti, nuovi occhi

Ne è l’ultimo caso Julia Roberts, una grande attrice dello scorso ventennio, la cui stella sta andando incontro a un lento ma inesorabile declino. Homecoming è il suo tentativo di rilancio personale sia in veste di interprete sia come produttrice esecutiva, con la mano ecclettica di Sam Esmail (creatore di Mr.Robot) alla regia. Esclusiva del catalogo Amazon Prime Video, la serie ha stuzzicato il nostro interesse con dei trailer criptici e ansiogeni, che prospettavano una serie thriller di alto livello con un cast di buon livello e una regia particolare. Ma quello che ci siamo trovati è stato uno show abbastanza mediocre e privo di particolare mordente, seppur presenti qualche bella trovata.

La storia si intreccia su due archi narrativi e temporali: nel primo ci troviamo nell’Aprile 2018 e seguiamo la vicenda della psicologa Heidi Bergman, figura centrale nell’istituto Homecoming, una struttura adibita al reintegramento nella vita civile dei giovani soldati tornati dal servizio che soffrono di disturbi post-traumatici, mentre nel secondo seguiamo l’indagine sulla misteriosa chiusura prematura del programma da parte di un burocrate del Dipartimento della Difesa (Shea Wingham) quattro anni dopo, mentre visita le persone coinvolte, compresa una Heidi che sembra non ricordare niente del periodo.

Girare intorno

Le dieci puntate di Homecoming durano a malapena mezz’ora l’una, il che dovrebbe rendere la serie una papabile candidata al bingewatching facile e indolore per lo spettatore con poco tempo a disposizione, ma la verità è tristemente un’altra: vi annoierete prima. Nonostante la netta divisione temporale, ben evidenziata dal cambio del rapporto video (16:9 nel presente, 4:3 nel futuro) e l’elemento investigativo, la trama non decolla mai, regalandoci tanti momenti noiosi e di approfondimento evitabili, con personaggi noiosi e monocordi. Tutta la parte ambientata nel futuro è impreziosita di momenti vuoti e pause estremamente lunghe con domande a vuoto e risposte e i “Non lo so” abusati fino allo sfinimento.

Tutto questo alone di mistero che ricopre il caso dell’Homecoming si traduce alla fine in molto fumo negli occhi: l’investigazione non appassiona, tira avanti per puntate intere sul nulla più totale e una volta dipanato l’intreccio quello che ci sta sotto appare a dir poco banale e scontato. Non si può neanche tirare un sospiro di sollievo dal punto di vista della caratterizzazione dei personaggi, perché lo show elemosina pure su quelli e non li costruisce a dovere.

"Dove l'ho già visto?"

Lo stesso personaggio della Roberts soffre in particolare di una scrittura piatta e poco incisiva, che non le fa mai bucare lo schermo. In 10 puntate impariamo pochissimo sul suo conto in entrambe le linee dell’universo, e son tutte informazioni che non ce la fanno particolarmente tenere in simpatia. La stessa attrice non sembra impegnarsi minimamente nel regalare un’interpretazione degna di nota, apparendo il più delle volte apatica e distaccata dagli eventi.

L’interpretazione migliore arriva da quel vulcano di Bobby Cannavale (Vynil) nei panni del capo di Heidi, le cui conversazioni telefoniche regalano momenti più vivaci e spinti grazie al sua innato fare istrionico (sono poco convinto che reciti un ruolo a lui esterno) ma ultimamente rimane sempre incastrato in parti troppo simili fra loro che rischiano di limitarne le abilità recitative.

L’unica nota pienamente positiva è a mio parere la regia di Esmail, che conferma una mano più ricercata rispetto alla media seriale. Il già sopracitato cambio di rapporto non è una trovata fine a sé stessa, ma ha una sua funziona narrativa che verrà svelata negli ultimi episodi, e anche alcune composizioni della camera - come gli scambi fra la dottoressa e il suo paziente – sono interessanti, ma troppo poco per mantenere viva l’attenzione dello spettatore.

Se volete vedere un thriller misterioso, angosciante che vi catturi fino alla fine dei titoli di coda in attesa di nuove rivelazioni, sicuramente non troverete niente di tutto questo nella creaturina seriale di Julia Roberts, quindi il mio consiglio spassionato e di cercare altrove nel catalogo di Amazon Prime Video.

Se la regia di Esmail vi ha intrigato, perché non recuperare in Blu-Ray la sua opera prima, l'interessante Mr.Robot?