Kobe - Una storia italiana, recensione: le origini di una leggenda

Con Kobe - Una storia italiana torniamo indietro nel tempo, approfondendo i fondamentali di una storia che ancora oggi sentiamo vicina.

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a cura di Nicholas Massa

Kobe - Una storia italiana, come da titolo, anticipa perfettamente quello che sarà il materiale alla base dell’intero docufilm. Diretto da Jesus Garcés Lambert, scritto da Giovanni Filippetto e prodotto da Alessandro Lostia per Indigo Stories, disponibile sul catalogo di Amazon Prime Video dal 15 settembre. La storia di Kobe Bryant con il basket comincia fin dalla sua più tenera età, riallacciandosi all’identità stessa della sua famiglia.

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Lo sport non è fatto solo di partite, punteggi e classifiche, ma soprattutto di persone e di storie. Partendo da questo presupposto si sviluppa la narrazione di Kobe - Una storia italiana. All’interno dei grandi contesti legati alle competizioni è facile ritrovare alcuni volti che hanno letteralmente plasmato le attuali concezioni sportive ad essi legate. Si tratta di giocatori che hanno dato tutto per raggiungere la grandezza, legandosi indissolubilmente a un immaginario popolare che li ha resi immortali. Nell’NBA capita molto spesso di estrapolare personaggi del genere, giovani grintosi provenienti anche da contesti difficili, pronti ad elevarsi dimostrando tutte le loro potenzialità sul campo di gioco. La fama e il successo sono comunque veicolate da tutta una serie di elementi, anche legati al consumismo, che tendono a nascondere le realtà umane dietro all’immagine di successo che ne fuoriesce. Tant’è che in certi casi i fan si limitano ad osannare i propri beniamini senza approfondirne le origini, tagliando quindi fuori tutto quello che non è forza e talento in partita. Eppure c’è molto di più da scoprire.

Kobe - Una storia italiana, una storia raccontata da chi l’ha vissuta

Quando si parla di Kobe Bryant ci si concentra nell’immediato sulla sua immagine di campione, data l'incredibile tenacia da lui dimostrata dentro e fuori dal campo. I suoi risultati, i campionati vinti e la cosiddetta “Mamba Mentality” hanno per sempre plasmato la sua immagine e percezione sportiva nelle ere a venire. Dietro a tutto ciò, ovviamente, c’era un essere umano che ha dato ogni cosa per uno sport che lo ha elevato, e per cui ha anche pagato qualche caro prezzo.

Il termine “GOAT” viene solitamente utilizzato per definire quella tipologia di giocatore dalle doti straordinarie, come ben identificato dal significato dell'acronimo stesso: Greatest Of All Time, il più grande di sempre. Per questo si lega alla perfezione a quello che era, e ha rappresentato Kobe Bryant, con testimonianze dirette di avversari e amici che lo hanno visto allenarsi ad orari improponibili, cercando anche di essere presente all’interno della propria dimensione familiare.

Questo continuo sacrificio lo ha effettivamente condotto al successo che tutti conosciamo, generando il mito suddetto del “mamba” feroce che attacca i suoi avversari sul campo fino alla sconfitta, senza alcuna pietà. La storia dell’ascesa di questa leggenda, però, ha origini ben lontane dalla Los Angeles dei tanto amati Lakers, con alcuni importanti elementi che ancora oggi hanno lasciato il segno.

Per via della carriera professionistica del padre, Joe Bryant, la sua famiglia lo seguii in Italia, spostandosi di luogo in luogo a seconda delle squadre per cui decideva di giocare. L’infanzia del piccolo Kobe è andata sviluppandosi, quindi, fra Rieti, Reggio Emilia e Pistoia, approcciandosi proprio in questa primissima fase della sua vita, al gioco con la palla a spicchi. Affascinato probabilmente dal padre e dai grandi della storia (viene spesso riportato il fatto che il piccolo Kobe trascorresse ore ed ore a guardare le partite delle leggende come Magic, Bird o Jordan), iniziò ad interessarsene proprio in terra nostrana, con i suoi primi tentativi come giocatore.

Il documentario stesso, quindi, sviluppa la sua narrazione partendo proprio da qui ed approfondendo il contesto italiano in cui Kobe è cresciuto e in cui in seguito è tornato. Il mezzo principale per farlo lo prende dalle testimonianze dirette di coloro che lo conoscevano in tenera età (amici, insegnanti, coach), i quali scandiscono l’intera struttura con ricordi, fotografie, pensieri e frammenti di un passato del tutto personali.

Ne fuoriesce un affresco del giocatore e del bambino che fu, perfettamente coerente con la mole d’informazioni che nel tempo sono uscite fuori su Bryant stesso. Con momenti della sua storia inediti e delicati, legati anche alla sua famiglia e conoscenti dell’epoca.

L’attaccamento per l’Italia

Uno dei lati più interessanti ad affiorare da Kobe - Una storia italiana è proprio il particolare attaccamento che questo giocatore aveva con l’Italia, un’Italia nostalgica e forse anche romantica dal suo punto di vista, ma comunque fondamentale per la formazione come uomo e come giocatore. Non tardano, quindi, le interviste in cui parla italiano e dei suoi anni d’infanzia, accompagnate da alcune “scappate” che fece senza preavviso nel corso della sua vita, per rivedere gli amici di allora. Da questi particolari frangenti ne fuoriesce un Kobe che sembra ben differente dal famelico giocatore ossessionato dalla vittoria, umanizzando un’immagine modulata su alcuni suoi interventi molto importanti, per una lettura complessiva della storia prima del giocatore.

Da tutto ciò il collegamento con la lettera che scrisse durante il suo ritiro (Dear Basketball, dalla quale ne scaturì un cortometraggio d’animazione che vinse anche l’Oscar), plasmando i toni dell’intero documentario su una dimensione molto più intima e personale, viaggiando sempre attraverso la bocca di chi è voluto intervenire ricordando com’era all’epoca. Un personaggio noto per la sua determinazione spaccato in due dalle memorie del prossimo che ne conferma la determinazione, ma anche la profonda umanità e imperfezione.

Costruire e ricostruire 

L’intera narrazione di Kobe - Una storia italiana si muove lungo tre fronti precisi e specifici. Abbiamo le interviste con le persone che lo conoscevano (accompagnate da fotografie dell’epoca), abbiamo i video di repertorio (attraverso cui è possibile scorgere alcuni fuggevoli istanti connessi alla famiglia di Kobe, a lui da bambino, e adulto, e al padre in campo) e abbiamo le ricostruzioni con attori, utilizzate per dare un contesto, seppur figurativo, al materiale legato alle memorie in gioco.

Il prodotto, nella sua interezza,  funziona dall’inizio alla fine, fornendo un’immagine sfaccettata di una leggenda dello sport, su cui oggi ancora si riflette, estrapolando dalle chiacchiere a bordo campo un intero immaginario personale pronto ad ampliare ancora una volta tutto quello che è stato detto fino ad ora su questo giocatore.