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L'Angelo del Male - Brightburn, recensione. Il supereroe (malvagio) che ci meritiamo

L'Angelo del Male - Brightburn parte da uno spunto inusuale e mescola horror e cinecomics, ottenendo un risultato interessante anche se non del tutto riuscito.

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Avatar di Alessandro Crea

a cura di Alessandro Crea

Pubblicato il 17/05/2019 alle 18:30 - Aggiornato il 09/08/2022 alle 13:24
Prima di iniziare devo subito avvertirvi: è stato impossibile evitare spoiler sulla trama di L'Angelo del Male - Brightburn. L'intero film infatti lavora su alcuni topoi narrativi e non si può analizzare il film senza toccare, almeno a grandi linee, l'intreccio.

L'incipit è un vero classico per il genere, perché riprende quello del supereroe per eccellenza: Superman. Famiglia Kent a parte, infatti, c'è tutto il resto: un bambino alieno piovuto dal cielo chissà da dove nel profondo Midwest americano, una coppia senza figli che lo trova, lo porta a casa e lo cresce e infine la scoperta dei propri, enormi poteri. Le somiglianze però finiscono qui, perché il protagonista sceglierà un percorso opposto rispetto a quello di Clark Kent/Kal-El.

brightburn-1-33147.jpg

Il film, prodotto da James Gunn (Guardiani della Galassia), sceneggiato da Brian e Mark Gunn e diretto da David Yarovesky (The Hive), parte da un'idea già sfruttata nel mondo dei fumetti, ma abbastanza originale al cinema: sovvertire il topos del super eroe, mescolando così l'horror al cinecomic tanto in voga in questo periodo. Un'idea ricca di suggestione e potenzialità dunque ma che al tempo stesso, applicata pedissequamente, come una semplice inversione di segno della valenza della figura super-eroistica, risulterebbe anche un po' banale.

I problemi arrivano con l'adolescenza

Brightburn invece non è semplicemente la storia di Superman vista dal punto di vista di Batman (ricordate Batman V. Superman?), non sono i suoi enormi poteri, la sua natura quasi divina, a renderlo una minaccia per l'umanità. Brandon piuttosto è il super eroe malvagio che l'umanità, con le sue meschinità e la sua cattiveria, si merita.

Il film lavora su alcune tipiche paure genitoriali, ad esempio che i figli possano diventare un giorno degli psicopatici nonostante tutto l'amore e l'impegno educativo, o che possano capitare in classe con elementi di questo tipo, ma soprattutto sulla paura della nostra "metà oscura", la nostra componente più violenta e selvaggia, che normalmente impariamo a dominare e controllare, ma che in alcuni casi può prendere il sopravvento.

Questa è anche la parte più interessante del film. La sceneggiatura infatti ci presenta un protagonista a tutto tondo, ben lontano dallo psicopatico monolitico di certi film horror, come Jason o Michael. Brandon è stato un bambino felice, amato ed amorevole. Certo, dentro di lui a un certo punto qualcosa si risveglia, una natura decisamente malvagia e spietata, ma il regista è sempre attento a farci capire che questa è solo una componente, che in lui c'è anche del buono, retaggio dell'educazione terrestre e che in ogni momento è sempre possibile optare per l'una o per l'altra.

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Il crollo della famiglia americana (e non solo)

Brandon infatti non è una macchina distruttrice completamente priva di empatia e freni morali, lo diventa, ma solo nel finale. A fare la differenza dunque è proprio il contesto sociale e la famiglia. A ben guardare, Brandon lascia che il suo lato oscuro prenda il sopravvento sempre e solo in seguito a una delusione ricevuta dagli umani, siano essi amici o parenti. Alle loro bassezze e meschinità risponde con inusitata violenza, ma sarebbe anche sempre pronto ad amare, se solo gli altri sapessero fare altrettanto.

In fin dei conti il protagonista non è che un'adolescente in preda a una natura indubbiamente feroce e selvaggia, ma che potrebbe essere instradata e controllata. Purtroppo per lui (e per noi come genere umano) al suo fianco non c'è Zio Ben a spiegargli che "da grandi poteri derivano grandi responsabilità", né i saggi Kent a dispensargli consigli formativi, ma solo adulti diffidenti e spaventati, che lo tradiscono nel timore che lui possa avere il sopravvento.

Superman incontra Damien... ma non nasce un'amicizia

Il fatto che Brightburn abbia al suo centro un'idea forte e lavori parallelamente sulla decostruzione tanto del super eroe quanto della famiglia non significa automaticamente che sia un film riuscito. Il suo maggior difetto è una generale indecisione di fondo su quel che vorrebbe essere come film.

brightburn-2-33148.jpg

Il risultato? Al netto dei tagli di censura effettuati su due delle scene più splatter, come horror può apparire scontato e non sorprende mai davvero, anche perché ovviamente lavorando sui topoi del genere eroistico ha snodi facilmente intuibili da ogni fan, e se a volte può far saltare sulla poltrona è solo grazie all'uso, riuscito ma scontatissimo del "jumpscare", tutto basato sull'utilizzo del sonoro e del rapporto tra campo e fuori campo. Come film di denuncia e di analisi sociologica manca invece del coraggio iconoclasta di titoli come The Woman o delle più recenti riflessioni in salsa orrorifica su famiglia e società di Jordan Peele (Scappa – Get Out e Noi) e può quindi risultare superficiale.

Un peccato, perché la fattura è pregevole, con una buona regia e un'ottima fotografia, in grado di tradurre visivamente il lento cambiamento di Brandon tramite il sapiente uso dei colori, con un rosso violento che prendono man mano il sopravvento su ambienti e vestiti sui toni del blu.

L'Angelo del Male – Brightburn, manca del guizzo autoriale e del coraggio di osare, dicendo di più e meglio, ma resta comunque un tentativo interessante di innovare il racconto super-eroistico con l'innesto di elementi horror e sociologici. Il finale lascia poi la porta aperta alla creazione di un vero e proprio universo (botteghino permettendo ovviamente) e, chissà, i risultati potrebbero anche essere superiori agli attuali.

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