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L'Oscar di Brendan Fraser: la balena nella stanza

La vittoria di Brendan Fraser per la sua interpretazione in The Whale è motivata o è una strategia dell'Academy per l'edizione degli Oscar 2023?

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Avatar di Elisa Erriu

a cura di Elisa Erriu

Pubblicato il 18/03/2023 alle 11:00 - Aggiornato il 25/05/2023 alle 10:36

Siamo alla cerimonia degli Oscar, è il momento di nominare il miglior attore protagonista per il 2023. Cala il silenzio, un silenzio frastagliato, scrosciante. Come il rumore delle onde. Ed è dalle onde che la balena emerge: Brendan Fraser porta a casa per la prima volta in vita sua l'ambita statuetta, con un film (insieme al suo excursus personale) troppo pesante perché passasse con leggerezza inosservato.

In più di un'occasione critici e pubblico hanno dipinto la stessa Academy come un grosso animale vorace, ghiotto più di scalpori che di meriti e anche quest'anno, anche stavolta, in molti si sono chiesti: "ma l'Oscar a Brendan Fraser è andato davvero per la sua interpretazione o è una sorta di contentino morale?".

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L'Oscar di Brendan Fraser: una strategia dell'Academy?

  • Brendan Fraser e la notte degli Oscar: "(non) mi dispiace"
  • Il Moby Dick degli Oscar 2023

Brendan Fraser e la notte degli Oscar: "(non) mi dispiace"

La nomination di Brendan Fraser giunge in un anno in cui deve contendersi il titolo di miglior attore protagonista con altri grandi animali mitologici e leggendari, quali Austin Butler per Elvis, Colin Farrell per Gli Spiriti dell'isola (qui la nostra recensione), Bill Nighy con Living e Paul Mescal per Aftersun. Non si presentava come una scelta semplice, va detto, come abbiamo già avuto modo di trattare nel nostro speciale dedicato ai grandi delusi degli Oscar: lo stesso Gli spiriti dell'isola, il film dall'anima, dal titolo e dai protagonisti radicati nelle verdi valle irlandesi, avrebbe ugualmente meritato più spazio nella scintillante notte tra il 12 e il 13 Marzo, così come Butler, che è riuscito a (ri)dare lustro alla voce maschile più grande e regale della musica, o come Nighy, il grande attore britannico dietro al volto di Davy Jones della saga dei Pirati dei Caraibi, che non avrebbe sconvolto nessuno se dopo più di quarant'anni di onorata carriera, finalmente avesse vinto. Eppure l'Oscar è finito tra le dita di Fraser, che nel suo discorso dopo la nomination era senza fiato letteralmente come qualcuno che ritorna a respirare dopo una lunga immersione subacquea.

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Si è discusso molto del passato di Brendan Fraser: l'Academy sarebbe stata motivata a "cedere" una delle sue ambite statuette proprio per alcuni avvenimenti spiacevoli che l'attore ha vissuto nel corso dei trent'anni della sua carriera. Un riscatto per un torto subito, alcune once d'oro per qualche libbra di carne. Fraser ha rappresentato negli anni '90 un intero immaginario preciso delle icone cinematografiche del periodo: il volto sorridente di un uomo tra Demoni e Dei, lo sguardo gentile di un ex sergente che ne La Mummia scruta l'orizzonte tra miti, scarabei e tramonti di sabbia, la fisicità di un re della giungla.

Tutti in quegli anni volevano Fraser come un corpo, un manichino da esibire, polpa da spettacolo. Ma tutto questo ha un costo e come ha avuto modo di raccontare lo stesso attore, per tenere il passo con la sua stessa corporatura, messa sempre più a disposizione di scene d'azione sfrenate, ha dovuto negli anni subire diverse operazioni, in seguito ai numerosi incidenti che sono seguiti. Il suo corpo, inoltre, è divenuto anche oggetto (e soggetto) di molestie sessuali.

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Il Moby Dick degli Oscar

Le vicende legate a Philip Berk, ex presidente della Hollywood Foreign Press Association, soltanto nel 2018 riescono a emergere dall'oceano nero in cui naviga Fraser dal 2003, dopo che l'attore ha divorziato da sua moglie, unica sua confidente in quegli anni. Dopo aver interpretato il ruolo di "Robotman" in Titans e successivamente Doom Patrol, caso vuole che Fraser riesca a mostrare la propria carne (e l'anima), facendola uscire da quell'uomo di latta. L'opportunità offerta da Darren Aronofsky nel 2022 con The Whale rappresenta quel salvagente, come dichiarato dallo stesso attore, che stava aspettando. D'altronde il regista newyorkese è celebre per portare a galla i più torbidi sentimenti umani, a partire dalla psicologia pestata di un Wrestler fino al vero candido colore di un Cigno nero sotto i riflettori.

The Whale è un film pesante che, come l'animale di cui porta il nome, nuota nel cuore degli spettatori, affonda lentamente, molto, molto lentamente, fin tra le piaghe della carne e invece in un attimo si arena dentro il cervello. Lasciate pure che dicano che l'Academy si è lasciata intenerire da questo gigante gentile, lasciateli pure svilire il passato di un uomo che per vent'anni si è sentito smarrito e abbandonato. Chi ha visto il film, non ha bisogno di arrivare in fondo a questo articolo per sapere la risposta al dilemma con cui abbiamo esordito, quasi sicuramente non ha l'impellente necessità di tenere accesa una telecamera, per ascoltare qualcuno durante un webinar. Chi ha visto il film, ora si sentirà di nuovo stringere il petto, vedrà soltanto l'accecante luce bianca sotto queste parole e sentirà un nodo in gola, come capita a qualcuno che ha ingurgitato numerosi bocconi per placare un'insaziabile senso di colpa.

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Ed è proprio a te, a te che hai visto il film, a te che hai compreso che la carne marcisce, puzza e non ne rimarrà mai niente alla fine, nemmeno quando pesa più di duecento chili, è proprio a te che chiediamo uno sforzo: se dovessi sentire qualcuno chiedere motivazioni per cui Fraser meritava di vincere l'Oscar, tu digli di vedersi il film, con una pizza magari, digli che nonostante tutto suo padre doveva comunque avere nascosto qualcosa di suo, da qualche parte, e che non è quella gigantesca Academy ad aver ricordato al mondo la grandezza dell'umanità. Ma a farlo è stata una balena.

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