Peacemaker, recensione: fra stereotipi (di genere) e vuoto umorismo

Peacemaker, la serie spin-off di The Suicide Squad scritta e diretta da James Gunn con John Cena, è disponibile su TimVision.

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a cura di Domenico Bottalico

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A poco meno di un anno dall'uscita negli Stati Uniti su HBO Max, è finalmente disponibile in Italia (e doppiata in italiano) su TimVision, arrivando assolutamente a sorpresa con tanto di scarsissimo preavviso, Peacemaker ovvero la serie spin-off di The Suicide Squad scritta e diretta da James Gunn con protagonista l'omonimo personaggio interpretato da John Cena che proprio nella pellicola era protagonista dell'incredibile twist finale con l'uccisione di Rick Flag e il proiettile di Bloodsport che lo aveva ferito al collo. Se in The Suicide Squad, Gunn cercava di amalgamarsi con le precedenti pellicole, Suicide Squad e Birds of Prey e la Fantasmagorica Emancipazione di Harley Quinn, pur non rinunciando a certe esagerazioni tipiche del suo stile, in Peacemaker tutti i freni inibitori sono sganciati concretizzandosi in 8 episodi divertenti, dal ritmo sempre sostenuto e caratterizzati da un certo piglio nevrotico che ben si adatta ai personaggi ma anche incredibilmente vacui e stereotipati a causa di un plot eccessivamente derivativo e caratterizzazioni prosaiche.

Peacemaker: il Progetto Farfalla e il prezzo della pace

Sono passati circa cinque mesi dallo scontro avvenuto sull'isola di Corto Maltese fra la Suicide Squad e Starro. Peacemaker, ovvero Christopher Smith, viene finalmente dimesso dall'ospedale ma subito intercettato da un gruppo di agenti dell'A.R.G.U.S. ovviamente alle dirette dipedenze di Amanda Waller. Si tratta di Clemson Murn, Emilia Harcourt, John Economos e Leota Adebayo. I quattro reclutano Smith per il misterioso Progetto Farfalla. Pur con qualche remora, Peacemaker accetta, anche perché il suo unico scopo di vita è mantenere la pace a tutti i costi tuttavia una serie di improbabili coincidenze non solo svelano la natura della missione ma rischiano di comprometterla con risultati catastrofici.

Christopher Smith viene infatti aggredito da una misteriosa donna dalla forza sovraumana che rimane uccisa rivelando però la sua vera natura. Ovviamente lo scontro desta l'attenzione della polizia locale e Economos per evitare di far saltare la missione sottocopertura incastra il padre di Christopher, Auggie, meglio noto come il supercriminale Drago Bianco, vicino ai gruppi suprematisti bianchi, che dopo aver scoperto di essere stato incastrato giura vendetta nei confronti del figlio, reo di collaborare con il governo. Quando alla squadra si unisce Vigilante, un improbabile vigilante mascherato amico di Smith, la situazione precipita. Il Progetto Farfalla infatti è una missione per impedire una invasione da parte di parassiti alieni che hanno le sembianze appunto di farfalle. Con gli invasori che sferrano l'offensiva finale, tutti i segreti vengono alla luce: la vera identità di Murn, quella della timida Adebayo e soprattutto le macchinazioni della Waller che vuole incastrare proprio Peacemaker. L'assalto finale al nascondiglio degli invasori è dramamatico tanto quanto le sue conseguenze.

Peacemaker: fra stereotipi (di genere) e risate vuote

Peacemaker genera la giusta curiosità sia perché opera su un canovaccio abbastanza libero, avendo per protagonista un personaggio pressoché misconosciuto da poter rimaneggiare a proprio piacimento, sia perché è il primo prodotto seriale collegato direttamente ad una pellicole del convulso Universo Cinematografico DC. La cuorisità iniziale però viene smorzata a più riprese. Il primo fattore a contribuire in tal senso è la pochezza del plot: l'invasione aliena è stata letta e riletta più e più volte all'interno dello stesso genere dei cinecomics, due esempi su tutti proprio Suicide Squad (lì l'invasione non era propriamente aliena ad onor del vero) e The Suicide Squad, anche se qui è più ispirata ai cult Essi Vivono o L'Invasione degli Ultracorpi che alla space opera altra declinazione della narrazione supereroistica.

Superi i primi due episodi tuttavia appare chiaro che la serie è più character driven che plot driven, una scelta tanto coraggiosa quanto interessante, soprattutto in ambito supereroistico. Nella fattispecie, Gunn inizia una lenta e certosina decostruzione del protagonista anche attraverso l'interazione con un gruppo di comprimari eterogenei ed interessanti, Adebayo una su tutti, che però si rivela ben presto zavorrata da una serie di scelte narrative che non possono non essere in un certo qual modo inquadrate all'interno degli stereotipi di genere. Da un lato lo sceneggiatore insiste sul mostrare l'intrinseca fallacia del codice morale del protagonista (uno dei classici topoi della narrazione supereroistica soprattutto a quella legata ai vigilanti urbani) e quindi i suoi dubbi sempre più crescenti dall'altro però per farlo inizia uno stucchevole percorso a ritroso fino alla sua infanzia per mostrare le fragilità e le insicurezze emotive dell'uomo bianco caucasico "contemporaneo", quello che, cresciuto a colpi di heavy metal anni 80, deve per forza di cosa essere un misogino e amante della violenza perfettamente incarnato dall'idea del suprematista bianco rappresentato dall'altro antagonista della serie ovvero il padre in una sorta di distorto complesso edipico.

L'operazione di Gunn è a tratti davvero impegnativa in una costante tensione fra omaggio e parodia, fra capacità di realizzare qualcosa di davvero fresco in seno al genere - vedasi per esempio la scelta di ridurre al minimo l'utilizzo della CGI e una ottima regia sempre sveglia e puntualissima nell'esaltare le scene d'azione - e la verve dissacrante che pervade la serie fra dialoghi nevrotici che però non fanno altro che cesellare i protagonisti come adolescenti troppo cresciuti che preferiscono puntarsi il dito contro anziché raccontare davvero qualcosa. Traumi e fragilità reali affrontati in un mondo in cui la violenza è tanto esagerata da essere svuotata della sua carica sovversiva (come in The Boys giusto per dare un termine di paragone televisivo) finendo per rendere il tutto un po' vacuo e infantile.

Con Peacemaker, James Gunn giunge forse all'apice dell'approccio blandamente pop con spruzzate di commento sociale (su argomenti come detto neanche troppo attuali) che sembra ispirato a Batman con Adam West, ma senza la sua ingenua finezza, finendo a confezionare un prodotto che anziché aprirsi al grande pubblico (come i grandi cinecomics: Batman di Tim Burtono o Superman di Richard Donner) risulta volutamente radical chic nella ricerca continua dell'inside joke e dell'uso del grottesco cattivo gusto.

Nota di merito va data comunque a John Cena che di questo personaggio così grottesco riesce ad impersonare e interpretare perfettamente le contraddizioni. La sua fisicità infatti stride con la continua ricerca di scoprire, e lasciar trasparire, emozioni e sentimenti. Un casting azzeccato senza ombra di dubbio, certo viene lecito chiedersi se Gunn non avesse già in mente di decostruire il personaggio in questo senso scegliendo un altro stereotipo di genere quello dell'ex-wrestler incapace di andare oltre i ruoli d'azione.

Riflessione a latere: tralasciando l'aspetto tecnico su cui si può discutere relativamente, se Peacemaker è indicativo di quello che potrebbe essere la direzione creativa che intraprenderanno i DC Studios, almeno contenutisticamente, siamo lontanissimi dal compenetrare il carattere mito-mitologico peculiare dei personaggi DC virando su territori "sicuri" e già battuti ovvero quelli dell'action comedy in cui il cinecomics sembra essersi purtroppo codificato con derive demenziali pericolosissime.