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Stalker, quando la metafisica incontra la fantascienza

Stalker è una delle opere più famose del regista russo Tarkovskij. In questo speciale di Retrocult si analizzano le sue peculiarità tecniche e il messaggio che vuole lasciare allo spettatore.

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Avatar di Lorenzo Quadrini

a cura di Lorenzo Quadrini

-

Pubblicato il 02/12/2018 alle 13:30

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Nota del curatore.

Andrei Tarkovsky è uno di quegli autori che consideriamo un "mostro sacro". Uno che si è guadagnato l'affetto di migliaia di spettatori in tutto il mondo, e ci è riuscito con un solo film. Era Solaris naturalmente.

Andrei Tarkovsky però non è un autore di fantascienza. Non nel senso in cui potrebbero esserlo Isaac Asimov o William Gibson. Solaris fu una tappa lungo una strada tortuosa - quella personale quanto quella artistica di Tarkovsky. La fantascienza fu un mezzo, uno strumento, pasta modellabile per fare altro. Cosa che poi fece con Stalker o altri film (non molti purtroppo).

Ecco, Tarkovsky è per alcuni un campione della fantascienza. Ma a rendere prezioso questo autore (non tutti i registi lo sono, è bene ricordarlo) è proprio il fatto che per lui la fantascienza fu una cosa come un'altra. Non gli mancò mai l'impeto (questo sì, fantascientifico) giocare politicamente con la realtà, ma nemmeno sentì mai il bisogno di diventare monogamo alieni, astronavi e lucine colorate.

Fu un incontro casuale, quelle storie da una botta e via. E ci ha lasciato un gioiello, forse uno tra i migliori film mai realizzati. Ma per nostra fortuna non fece l'errore di rinchiudersi dentro al recinto di un solo genere. Scelta saggia, che tutti dovremmo fare.

Valerio Porcu

Stalker

Nel 1979, dopo un lavoro di quasi due anni, uscì Stalker di Andrej Tarkovskij (cofanetto 8 dischi), opera ritenuta ad oggi di fondamentale importanza per la storia del cinema e in particolare per il cinema fantascientifico,  qui utilizzato come veicolo di un messaggio più profondo e concettuale rispetto ad altri classici di genere. Delle molte cose che si potrebbe dire di questo film, oggi ci concentriamo su due aspetti: la particolarità del linguaggio di Tarkovskij e la possibile interpretazione del film.

Tarkovskij, che si pone a pieno titolo all'interno del cinema d’autore, è un regista che ha quasi sempre impressionato e smosso la critica cinematografica. D'altronde, un primo grande indirizzo di stile è dato dalla sua tecnica nettamente in contrapposizione con i dettami del cinema europeo ed americano. In Stalker è possibile notare da subito questa presa di posizione stilistica: silenzi lunghissimi, frasi criptiche e una vera e propria ossessione per la sinestesia.

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Picnic sul ciglio della strada

La trama, molto brevemente, è tratta da Picnic sul ciglio della strada (pubblicato in Italia anche con il titolo Stalker). È un romanzo fantascientifico dei fratelli Strugatckij, nel quale la Terra viene colpita in sei punti differenti da tecnologia aliena. I residui lasciati dagli extraterrestri portano grandi vantaggi, ma cambiano anche radicalmente la morfologia (e la pericolosità) dei luoghi limitrofi, che vengono denominati Zone. All'interno delle Zone si muovono gli stalker, esploratori e cacciatori di tesori di professione che, non sempre in veste ufficiale, accompagnano visitatori e ricettatori alla ricerca dei manufatti.

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Si potrebbe parlare di romanzo psicologico, ma l'opera rimane ben salda ai dettami del genere fantascientifico, al contrario delle numerose opere successive che ne hanno preso spunto. Tra queste giova ricordare la serie di S.T.A.L.K.E.R., videogioco ambientato nella Zona nuclearizzata di Chernobyl, che inserisce il giocatore in un mondo analogo a quello dello scritto degli Strugatckij. Ma le somiglianze sono più che altro estetiche.

Il film di Tarkovskij, al contrario, elimina le tematiche fantascientifiche e riduce all'osso l’intera struttura narrativa, approfittando della forza ideologica della Zona per presentare un film dagli spiccati risvolti metafisici. I tre protagonisti (lo Stalker, il Professore e lo Scrittore) si imbarcano in quello che è un vero e proprio “viaggio nel viaggio”, una criptica marcia all’interno di un metaforico labirinto, tanto scarno di eventi, quanto denso di significati.

Il linguaggio di Tarkovskij

La pellicola inizia con un bianco e nero sporco, che introduce il Professore e lo Scrittore: entrambi desiderano trovare la Stanza, il cuore della Zona ove poter esaudire i “desideri più intimi e segreti”. Per poter raggiungere tale destinazione i due si affidano alla guida dello Stalker. Nel momento esatto in cui i tre compiono i primi passi nella Zona, torna il colore, con una preponderanza del verde. Un verde dalle tinte quasi violente, una rappresentazione fisica e allegorica della violenza della Natura, del suo sostanziale dominio (concetto ricorrente nel film).

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Curiosamente, il passaggio brusco e repentino dal seppia al colore fu dovuto anche a problemi tecnici, che costrinsero a rigirare frettolosamente alcune scene e che forzarono la mano su quello che è uno degli espedienti narrativi più famosi dell’intera opera.

La cinepresa segue per gran parte della prima sezione il cammino del gruppo, spesso lateralmente, disinteressandosi degli elementi ambientali e mettendo a fuoco i profili, spostandosi a volte dietro o davanti agli stessi e sempre concentrandosi sui volti, sulle persone. Il contesto di degrado e abbandono in cui i tre si muovono, quindi, risulta uno sfondo; impossibile da vedere con nitidezza ma egualmente presente e incombente.

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La fotografia di Stalker guida sempre lo spettatore, a volte indugiando su elementi narrativi, altre volte soffermandosi su dettagli in apparenza insignificanti, capaci però di generare nel pubblico quella che potrebbe definirsi una vera e propria speculazione narrativa. Il film non fa vedere quasi nulla di concreto, non fornisce eventi, ma offre suggestioni, indizi, possibili interpretazioni.

In tal senso la forza di Tarkovskij sta soprattutto nella incredibile sinergia tra visivo e sonoro: i film del regista russo (e Stalker ne è fulgido esempio) vanno quasi più sentiti che visti. Oltre a utilizzare alcuni brani classici - la Sinfonia n. 9 di Beethoven e il Bolero di Ravel, tra gli altri - Tarkovskij si concentra sui rumori, sugli echi, sul riempire il vuoto visivo con suoni che possano focalizzare l’attenzione sul messaggio sotteso, più che sull’evento in sé per sé. Un’esperienza che gran parte della critica ha infatti, a ben ragione, considerato sinestetica e totale.

Un viaggio esistenziale

Qual è quindi il messaggio che Stalker cerca di veicolare, di trasmettere allo spettatore? La risposta non solo non è semplice, ma probabilmente non esiste in una sua univocità. La domanda più corretta da porsi è, infatti, cos’è la Zona? Cosa rappresenta il viaggio dei tre personaggi?

Indubbiamente i tre protagonisti non sono altro che una rappresentazione, quasi una sorta di sintesi, del pensiero umano: la fede (lo Stalker), la scienza e l’arte (il Professore e lo Scrittore). Tutti e tre si immergono nel viaggio con un obiettivo, di cui la Stanza rappresenta solo uno strumento di realizzazione, una sorta di speranza al quale aggrapparsi per poter arrivare alla conoscenza assoluta: la comprensione  della vita stessa.

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D’altro canto lo stesso Tarkovskij non mancò di sottolineare quella che considerava probabilmente un’interpretazione quasi palese della storia di Stalker:

«Mi hanno sovente domandato cos'è la Zona, che cosa simboleggia, ed hanno avanzato le interpretazioni più impensabili. Io cado in uno stato di rabbia e di disperazione quando sento domande del genere. La Zona è la Zona, la Zona è la vita: attraversandola l'uomo o si spezza o resiste. Se l'uomo resisterà dipende dal suo sentimento della propria dignità, dalla sua capacità di distinguere il fondamentale dal passeggero» (tratto dal libro di Andrej Tarkovskij. Scolpire il tempo)

Il viaggio di Stalker è una metafora, la ricerca di quel senso, il raggiungimento di quella consapevolezza e di quella fantomatica risposta esistenzialistica che assilla da sempre l’essere umano. Nel rappresentare questa esperienza, però, il regista evita le banalità. Lo fa con dando ai personaggio obiettivi concreti: il Professore, per esempio, cerca la Stanza per distruggerla, poiché preoccupato del suo potere, sebbene in realtà semplicemente incapace di comprenderla. E lo fa anche anche immergendo il tutto in un contesto estraneo, fantascientifico appunto.

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Il viaggio metafisico di Stalker è così complesso che diventa alieno, a tratti incomprensibile. In realtà, e qui vediamo il tocco personale del regista (o forse la sua intima convinzione) dove la fede cieca e semplice dello Stalker o la fallibile scienza del Professore non arrivano, arriva invece l’arte dello Scrittore.

E la conclusione, offerta in questa non univoca rappresentazione del mistero esistenziale, è che l’uomo può arrivare alla consapevolezza assoluta, o quantomeno riuscire a toccarla, attraverso la rappresentazione artistica, lo strumento più vicino e forse più “divino” a sua disposizione.

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Retrocult è la rubrica di Tom's Hardware dedicata alla Fantascienza e al Fantastico del passato. C'è un'opera precedente al 2010 che vorresti vedere in questa serie di articoli? Faccelo sapere nei commenti oppure scrivi a retrocult@tomshw.it.

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