The Guardians of Justice, recensione: all hail the new flesh

The Guardians of Justice è la nuova fatica di Adi Shankar per Netflix: un allucinante viaggio nella narrativa supereroistica.

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a cura di Domenico Bottalico

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The Guardians of Justice è la nuova fatica di Adi Shankar. Si tratta dell'eclettico produttore, sceneggiatore, regista e attore dietro alcuni cult come The Grey e Dredd nonché creatore del così detto Bootleg Universe ovvero una serie di mediometraggi diffusi sul web tributi e rivisitazioni di alcune celebri franchise fra cui il più famoso è forse Power/Rangers che contribuì qualche anno fa a ravvivare l'interesse intorno al celebre franchise Saban. La serie, composta da 7 episodi di circa 30 minuti ciascuno, è già disponibile su Netflix per cui lo stesso Shankar ha sviluppato la serie animata ispirata alla celebre saga videoludica Castlevania.

The Guardians of Justice, all hail the new flesh

Marvelous Man Day 1987. La ricorrenza è celebrata per ricordare l'arrivo sulla Terra dell'omonimo eroe proveniente da un altro pianeta che scongiurò l'escalation della Terza Guerra Mondiale. Il Presidente Nixon contestualmente istituì i Guardians of Justice ovvero un gruppo di eroi che avrebbero affiancato Marvelous Man nelle sue imprese compreso l'annientamento di un Hitler redivivo in versione cyborg.

Dopo aver raggiunto un equilibrio e la pace mondiale però qualcosa si spezza: Marvelous Man si suicida in diretta televisiva con un colpo di pistola e un proiettile speciale creato dal miliardario Logan Lockwood che da sempre osteggia l'operato dei così detti supereroi. Mentre l'opinione pubblica e l'umanità sono sconvolte dall'aver perso il loro campione, il suo braccio destro Knight Hawk prende il comando dei Guardians of Justice e inizia una indagine ad ampio raggio: perché Marvelous Man si è suicidato? chi gli ha fornito il proiettile? perché Lockwood l'ha sempre odiato così profondamente? cosa nasconde il confuso messaggio in punto di morte di Marvelous Man che parlava di un segreto? e si invece di suicido si trattasse di omicidio?

Tutti sono dei sospettati. Non solo l'unico villain che era stato capace di prendere il controllo della mente dell'eroe ovvero Mind Master, apparentemente morto, ma anche sua moglie Laura Louis e gli altri membri dei Guardians: Golden Goddess, The Speed, Black Bow, Blue Scream, King Tsunami e Awsome.

Nel frattempo però gli equilibri mondiali sono compromessi e l'escalation nucleare è nuovamente alle porte. Ad approfittarne è il gruppo terroristico Anubis che lancia una offensiva mondiale. Knight Hawk deve così dividersi fra guidare i Guardians per sventare la minaccia e svelare il mistero sulla morte di Marvelous Man. Ma proprio l'indagine non solo esacerberà i rapporti fra i membri della squadra facendo venire a galla alcuni dei loro più reconditi segreti compreso uno che lo riguarda da vicino e lo porta ad insabbiare la verità su Marvelous Man e ad una svolta radicale in nome del bene superiore.

The Guardians of Justice: decostruttivismo post-moderno

I supereroi sono ovunque. Penetrati nel tessuto sociale, il loro immaginario è piegato e distorto ormai per qualsiasi cosa dalla pubblicità dell'acqua minerale agli spot per serie TV in cui un gruppo di comici è rinchiuso in un teatro e deve "sopravvivere" alle varie gag senza ridere. Ma cosa è davvero rimasto di questo immaginario, di questa narrativa che declinatasi in maniera eterogenea da oriente a occidente è stata per i suoi primi 80 anni di vita custodita gelosamente da un gruppo di appassionati spesso ostracizzati?

È evidentemente questo il punto attorno a cui Adi Shankar costruisce The Guardians of Justice: un esperimento grafico-narrativo che utilizzando tutti i topoi della letteratura superoistica diventa un viaggio allucinato negli ultimi 30/35 di cultura pop per forma e declinazioni.

Narrativamente il plot riprende il canovaccio di Watchmen di Alan Moore e Dave Gibbons ovvero un whoddunit che nel corso degli episodi perde o riacquista centralità allorché ci si tuffa più o meno volutamente in una vera e propria dissezione di quelle che sono tutte le metafore, le interpretazioni, le critiche e le peculiarità della narrativa supereroistica. Dalla presunta omosessualità latente, alla spettacolarizzazione della violenza, dalla elaborata componente soapoperistica, alla critica sociale passando per le estremizzazioni della narrativa di genere come fantascienza, spy thriller e action.

Il punto allora non è per i fan del genere ritrovare tutte le citazioni ma riviverle da un lato vedendole concretizzarsi in una forma che è di fatto un montaggio caleidoscopico di live action, animazione, grafica, stop motion, fumetto, videogames e dall'altro ritrovando negli interpreti di questi archetipici quanto danneggiati supereroi quegli stessi "caratteristi" che spesso a gran voce vengono "richiesti" nei fan casting. Dalla leader diabolica Brigitte Nielsen, ai wrestler Diamond Dallas Page e John Hanningan, passando per la femme fatale Denise Richards fino al gigante Derek Mears (Friday 13th, Swamp Thing).

Un folle concentrato di libertà audiovisiva che si traduce in episodi nervosi dal taglio e dalla messa in scena volutamente amatoriale dove tutto è possibile ed è portato all'estremo. Alla fine dei sette episodi però pare lapalissiano come il lavoro di Adi Shankar sia parodistico allorché si rivolge ai neofiti (che non potranno non interpretare in altro modo la serie) mentre sia quasi rivelatorio per i fan e quei custodi del genere citati in apertura. Se infatti sino ad una ventina di anni fa il genere supereroistico veniva decostruito concentrandosi sul "cosa" ora la decostruzione è post-moderna e si fonde sul "come" partendo dall'immagine che declinata infinite volte in maniera eterogenea è sinonimo non solo di saturazione ma anche di snaturamento.

Quello con cui The Guardians of Justice non fa davvero i conti, arrivando forse fuori tempo massimo, è che il prodotto "supereroe" nella sua declinazione "cinecomics" è già in fase calante iniziando a mutare in qualcosa di più autoriale e meno seriale-consumistico.