Non si può iniziare una discussione su Hideo Kojima senza premettere l'ovvio: l'uomo è una delle persone più influente del mercato dei videogiochi, un vero e proprio gigante. È una rockstar prestata al mondo dello sviluppo, un autore la cui firma è così riconoscibile da essere diventata un meme ("A Hideo Kojima Game"), e un regista che ha spinto l'asticella della narrazione cinematografica nei videogiochi più in là di quasi chiunque altro.
Da Metal Gear Solid a Death Stranding, Kojima ha dimostrato una capacità quasi soprannaturale di anticipare temi socio-politici (l'informazione nell'era digitale, la post-verità, la connessione umana in un mondo frammentato) e di avvolgerli in un'estetica unica, spesso bizzarra, ma innegabilmente magnetica.
Ogni suo tweet è praticamente una predizione. Ogni trailer criptico (e sono tutti criptici) viene sezionato con la stessa cura maniacale riservata un tempo ai testi sacri. La sua rottura con Konami non è stata vista come una mera controversia aziendale, ma come il martirio di un artista perseguitato, e la fondazione di Kojima Productions come la sua trionfale resurrezione.
Questo, lo ripetiamo, è tutto meritato. O almeno, lo era.
Perché oggi, l'ammirazione si è trasformata in qualcosa di diverso, qualcosa di meno sano. L'apprezzamento è diventato idolatria; la discussione critica è diventata un culto della personalità. Ci troviamo di fronte a una pazzia collettiva che ha superato il limite della ragionevolezza, trasformando un game director brillante, ma fallibile, nell'infallibile profeta di un medium. Ed è un'ossessione che fa un torto non solo alla realtà, ma all'intera industria videoludica.
Il paradosso del "Kojima-pensiero"
Il problema fondamentale di questo culto è che eleva l'individuo al di sopra dell'opera e, cosa ancora più grave, al di sopra del medium stesso. Per una vasta fetta di pubblico, il valore di un'opera di Kojima non risiede più nella sua qualità intrinseca (il gameplay, la coerenza narrativa, l'esecuzione tecnica) ma nel semplice fatto che lui l'abbia creata.
Death Stranding è l'esempio perfetto. Un gioco affascinante, con un'idea di "social strand system" brillante, ma anche appesantito da un loop di gameplay che molti (giustamente) hanno trovato tedioso e ripetitivo. Eppure, ogni critica mossa al "simulatore di corriere" veniva regolarmente respinta dai fedeli con la sufficienza di chi è nel giusto: "Non l'avete capito". La colpa non è mai del gioco che fallisce nel comunicare o nell'intrattenere; la colpa è del giocatore che non è "abbastanza intelligente" da comprendere la visione del Maestro.
Fermo restando che, almeno personalmente, ritengo il primo Death Stranding un vero e proprio capolavoro. Trovo davvero quasi "assurdo" gli elogi di molti nei confronti della componente narrativa del secondo capitolo: pesante, troppo cringe e con momento che dovrebbero essere potentissimi, limitati da una scrittura molto stanca. Gli elogi perché sono arrivati, quindi? Forse perché, per l'appunto, è un gioco di Hideo Kojima.
Questo approccio è la morte della critica. Se l'autore è infallibile, la discussione è finita.
L'olimpo dimenticato
Ci strappiamo i capelli per un trailer di OD, ma quanti giocatori oggi sanno chi è Warren Spector? Parliamo dell'uomo che, con Deus Ex, ha praticamente inventato (o quantomeno codificato) l'Immersive Sim. Spector non era interessato a raccontare una storia al giocatore; era interessato a dare al giocatore gli strumenti per creare la propria storia.
La sua filosofia non era quella del regista che impone una visione, ma quella di una specie di architetto che costruisce un sistema di gioco così reattivo e flessibile da far sentire il giocatore il vero autore dell'esperienza. È un approccio al game design che ha influenzato BioShock, Dishonored, Prey e persino Cyberpunk 2077. Eppure, Spector non è una rockstar.
E che dire di Ken Levine? Con BioShock, Levine ha preso le idee di Spector e le ha infuse di una tale potenza narrativa e filosofica da creare un capolavoro. Levine è un maestro dello storytelling ambientale, capace di costruire un mondo (Rapture) che racconta la sua storia attraverso ogni corridoio allagato, ogni poster di propaganda, ogni registrazione audio. La rivelazione del "Would you kindly?" è un momento di meta-narrativa che rivaleggia con qualsiasi rottura della quarta parete di Metal Gear, mettendo in discussione la natura stessa dell'agenzia del giocatore.
Prendiamo Sam Lake. Il direttore creativo di Remedy è, per molti versi, il Kojima finlandese: un autore ossessionato da temi ricorrenti (la scrittura, l'oscurità, la meta-realtà), dall'estetica noir e dall'ibridazione tra media. Alan Wake è un romanzo interattivo, Quantum Break un incrocio con una serie TV, e Control un capolavoro di world-building che ha creato un "connected universe" coeso e affascinante. Lake ha una firma autoriale forte quanto quella di Kojima, ma il suo culto è infinitamente più contenuto e meno assordante.
E non dobbiamo commettere l'errore di pensare che "visionario" significhi solo "cupo, cinematografico e filosofico". Ron Gilbert e Tim Schafer sono visionari. Pensiamo solo a The Secret of Monkey Island di quanto abbia definito un genere con la sua scrittura brillante e la sua logica anti-intuitiva. Psychonauts è invece un'esplorazione della salute mentale e del trauma più toccante e intelligente di molte narrazioni "mature" sul mercato, mascherata da platform 3D coloratissimo. Queste personalità hanno dimostrato che l'umorismo, l'arguzia e il cuore sono strumenti narrativi potenti quanto le lunghe cutscene sul destino del mondo.
L'uomo dietro la tenda
L'idolatria di Kojima ignora anche un altro fatto fondamentale: i videogiochi non li fa una persona sola. "A Hideo Kojima Game" è un marchio, ma è anche una bugia conveniente che personalmente non ho mai apprezzato. Nessun gioco proviene solo da una singola persona.
Metal Gear Solid V, con il suo gameplay emergente e i suoi sistemi sandbox, è tanto un prodotto della visione di Kojima quanto del talento ingegneristico del Fox Engine team. Death Stranding non sarebbe nulla senza le musiche evocative di Ludvig Forssell o l'incredibile lavoro tecnico sul Decima Engine (sviluppato da Guerrilla Games). E, come molti report hanno suggerito nel corso degli anni, gran parte della scrittura più profonda e della ricerca tematica dei MGS proveniva da collaboratori fidati come Kenji Yano.
Questo non sminuisce Kojima, sia chiaro. Il suo ruolo è quello del regista, del catalizzatore, del direttore d'orchestra che armonizza centinaia di talenti. Ma il culto della personalità cancella questi cento talenti e attribuisce ogni singolo successo (ogni linea di codice, ogni asset poligonale, ogni nota musicale) a un unico uomo. È ingiusto ed è falso.
Hideo Kojima non è un uomo perfetto. Metal Gear Solid V è un capolavoro di gameplay sistemico, ma è anche un disastro narrativo, un gioco palesemente incompiuto la cui famosa "Parte 2" è stata lasciata chissà dove. Death Stranding è visionario, ma anche autoindulgente. Come tutti i grandi artisti, i suoi più grandi punti di forza sono anche le sue più grandi debolezze: la sua tendenza alla verbosità, il suo amore per l'esposizione pesante e la sua incapacità di usare una parola quando può usarne cento.
Amare il gioco, non solo il giocatore
È tempo di smettere di strapparsi i capelli. È tempo di smettere di cercare cospirazioni dove c'è solo marketing. Hideo Kojima è uno dei più importanti, geniali e affascinanti game director viventi. Merita il nostro rispetto, la nostra attenzione e la nostra analisi critica.
Non merita la nostra adorazione cieca.
Trattare Kojima come un oracolo infallibile è un insulto alla nostra stessa intelligenza di giocatori. Significa rinunciare al nostro diritto di critica. E, soprattutto, significa ignorare la ricchezza e la diversità di un medium che ha prodotto i Warren Spector, i Ken Levine, i Sam Lake, i Tim Schafer e le Amy Hennig.
Kojima ha contribuito a costruire tutto questo, ma ora la sua stessa ombra, ingigantita da un fandom fuori controllo, rischia di oscurarlo. Applaudiamo i suoi successi, critichiamo i suoi fallimenti, ma per favore, smettiamo di trattarlo come l'unico profeta. Il videogioco è una chiesa grande, con molti santi, e c'è abbastanza spazio per pregare in più di un altare.