La comprensione dell’invecchiamento cerebrale sta vivendo una svolta capace di ribaltare molte certezze. Una ricerca del DZNE, dell’Università di Magdeburgo e dell’Istituto Hertie per la Ricerca Clinica del Cervello di Tubinga ha rivelato che la corteccia cerebrale non invecchia in modo uniforme, ma segue una strategia stratificata sofisticata. Pubblicati su Nature Neuroscience, i risultati aprono nuove prospettive sulla capacità del cervello di adattarsi e preservare funzioni essenziali anche in età avanzata.
Il cervello come un palazzo a più piani
La corteccia somatosensoriale primaria, che elabora le sensazioni tattili, si comporta come un edificio in cui ogni “piano” invecchia a ritmi diversi. Gli studiosi, grazie a una risonanza magnetica da sette Tesla su circa 60 persone tra i 21 e gli 80 anni, hanno scoperto che mentre gli strati profondi si assottigliano, quelli intermedi e superiori restano stabili o si ispessiscono. Secondo la neuroscienziata Esther Kühn, ciò riflette un meccanismo di “usa o perdi” mirato: le aree più sollecitate si preservano.
Un esempio eloquente è quello di un cinquantaduenne nato senza un arto: la corteccia relativa al braccio mancante era molto più sottile, segno che l’uso plasma fisicamente il cervello.
Quando la concentrazione fa la differenza
Gli strati più profondi, che invecchiano di più, modulano gli stimoli tattili, come quando smettiamo di percepire un anello al dito finché non ci concentriamo. Con l’età questa capacità di filtraggio cala, rendendo più difficile gestire interferenze e rumore.
Nonostante l’assottigliamento, negli strati profondi aumenta la mielina, sostanza che migliora la trasmissione dei segnali nervosi. Studi sui topi confermano che ciò deriva da neuroni specializzati che affinano la qualità dei segnali, anche se questo effetto tende a svanire in età molto avanzata.
La neuroplasticità non si ferma con l’età: il cervello continua a riorganizzarsi per preservare le funzioni vitali. “Possiamo influenzare il nostro invecchiamento in una certa misura”, afferma Kühn, sottolineando l’importanza di mantenere il cervello attivo. La sfida è tradurre queste scoperte in strategie concrete per preservare le capacità cognitive più a lungo.