Il ghiacciaio Thwaites, nella parte occidentale dell'Antartide, rappresenta uno dei sistemi glaciali più instabili del pianeta e il suo comportamento futuro costituisce una delle maggiori incognite nelle proiezioni sull'innalzamento del livello dei mari. Questo gigante di ghiaccio, soprannominato non a caso "Ghiacciaio dell'Apocalisse", sta subendo trasformazioni così rapide da richiedere un'attenzione scientifica globale senza precedenti. Una nuova ricerca pubblicata sul Journal of Geophysical Research: Earth Surface nel 2025 dall'American Geophysical Union (AGU) ha documentato con dettagli inediti il progressivo collasso di una delle sue componenti più vulnerabili: la piattaforma glaciale orientale di Thwaites, nota con l'acronimo TEIS.
Lo studio, condotto dal Centre for Earth Observation Science dell'Università di Manitoba e guidato da Debangshu Banerjee in collaborazione con la dottoressa Karen Alley e il dottor David Lilien dell'Università dell'Indiana, ha analizzato vent'anni di osservazioni satellitari tra il 2002 e il 2022, integrate con misurazioni della velocità di flusso del ghiaccio e dati GPS raccolti direttamente sul campo. Il team ha fatto parte del progetto TARSAN (Thwaites-Amundsen Regional Survey and Network), uno dei programmi principali dell'International Thwaites Glacier Collaboration, una vasta iniziativa congiunta tra Stati Uniti e Regno Unito finalizzata a comprendere le dinamiche che stanno destabilizzando questo sistema critico.
La TEIS è una piattaforma di ghiaccio galleggiante che si estende sull'oceano e la cui stabilità dipende in parte da un punto di ancoraggio situato lungo il margine settentrionale. Questo elemento morfologico agisce come un contrafforte naturale, rallentando il flusso del ghiaccio verso il mare. Negli ultimi due decenni, tuttavia, la piattaforma ha sviluppato un numero crescente di fratture concentrate attorno a una zona di taglio maggiore, posizionata a monte del punto di ancoraggio. L'analisi dettagliata di queste fratture ha permesso ai ricercatori di ricostruire la sequenza temporale del deterioramento strutturale.
I risultati rivelano un processo di indebolimento articolato in quattro fasi distinte, caratterizzato da due scoperte fondamentali. La prima riguarda la modalità di espansione delle fratture, avvenuta in due episodi successivi: inizialmente sono comparse lunghe fratture orientate nella direzione del flusso glaciale, seguite poi da fratture più corte che attraversano perpendicolarmente il movimento del ghiaccio. Questa progressione non casuale suggerisce una risposta meccanica complessa agli stress applicati dalla dinamica glaciale. La seconda scoperta, ancora più rilevante per le proiezioni future, documenta l'esistenza di un ciclo di retroazione positiva: le fratture accelerano il flusso del ghiaccio a monte, e questa accelerazione a sua volta genera ulteriori danni strutturali, innescando un processo autoalimentante di destabilizzazione.
Alla ricerca hanno contribuito alcuni dei più autorevoli glaciologi a livello internazionale, tra cui il dottor Ted Scambos, il dottor Martin Truffer, il dottor Adrian Luckman e la dottoressa Erin Pettitt, garantendo un approccio multidisciplinare all'interpretazione dei dati. Le misurazioni satellitari hanno documentato come il progressivo indebolimento della connessione tra la piattaforma e il punto di ancoraggio abbia ridotto la stabilità meccanica dell'intero sistema, permettendo al ghiaccio a monte di accelerare verso l'oceano. Questo fenomeno è particolarmente preoccupante perché le piattaforme galleggianti svolgono un ruolo cruciale nel rallentare il flusso dei ghiacciai terrestri verso il mare: quando collassano, il ghiaccio contenuto nei bacini terrestri può scivolare più rapidamente nell'oceano, contribuendo direttamente all'innalzamento del livello marino.
L'aspetto più inquietante della ricerca riguarda la possibile replicabilità di questo schema di degrado. Il modello in quattro fasi identificato per la TEIS potrebbe rappresentare un segnale precoce di instabilità applicabile ad altre piattaforme glaciali antartiche che stanno entrando in fasi simili di indebolimento. Se questa ipotesi venisse confermata da ulteriori osservazioni, le proiezioni sull'innalzamento del livello dei mari dovrebbero essere riviste al rialzo, considerando che l'intera calotta antartica occidentale contiene abbastanza ghiaccio da causare un aumento globale del livello marino di diversi metri.
Il ghiacciaio Thwaites è oggetto di particolare attenzione scientifica non solo per le sue dimensioni colossali ma anche per la sua configurazione geologica: gran parte del suo letto roccioso si trova al di sotto del livello del mare e in pendenza verso l'interno del continente, una condizione che favorisce una ritirata rapida e potenzialmente irreversibile una volta che il processo di destabilizzazione supera una certa soglia critica. Gli scienziati definiscono questa dinamica instabilità della calotta glaciale marina, un meccanismo che potrebbe già essere in fase avanzata nel settore del Mare di Amundsen.
Le prospettive future della ricerca includono l'intensificazione del monitoraggio mediante tecnologie satellitari avanzate, l'implementazione di modelli numerici più sofisticati capaci di simulare la propagazione delle fratture nel ghiaccio e la pianificazione di ulteriori campagne di acquisizione dati in situ, nonostante le estreme difficoltà logistiche imposte dalle condizioni ambientali antartiche. Rimangono ancora aperte domande fondamentali sulla velocità con cui il collasso finale della piattaforma TEIS potrebbe verificarsi e sulle possibili strategie di mitigazione degli impatti costieri globali che ne deriverebbero.