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Voyager 1 riprende i contatti usando un trasmettitore inattivo dal 1981

La lontanissima sonda spaziale rientra in contatto su una frequenza radio inaspettata, tranquillizzando gli scienziati.

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Avatar di Luca Zaninello

a cura di Luca Zaninello

Managing Editor

Pubblicato il 10/11/2024 alle 17:30

Nel 2012, la sonda Voyager 1, lanciata nel 1977 da NASA per esplorare i pianeti esterni del nostro sistema solare, ha compiuto un traguardo storico entrando nello spazio interstellare. Recentemente, tuttavia, la sonda ha incontrato alcune difficoltà tecniche, interrompendo la comunicazione a metà ottobre, per poi ripristinarla grazie a un trasmettitore radio inattivo dal 1981.

Le missioni spaziali hanno sempre catturato l'immaginazione dell'umanità, spingendoci a esplorare confini sempre più lontani. La serie di sonde Voyager, in particolare, rappresenta una pietra miliare significativa in questa avventura continua. Lanciate nel 1977, le sonde Voyager sono state concepite per approfittare di un allineamento unico dei pianeti, che avviene una volta ogni 175 anni, per esplorare più sistemi planetari con un singolo veicolo spaziale.

Oltre ai loro incontri ravvicinati con i giganti gassosi del nostro sistema solare, le sonde Voyager hanno portato con sé i Voyager Golden Record: dischi dorati che contengono suoni, immagini e messaggi selezionati per illustrare la diversità della vita e della cultura sulla Terra, destinati a eventuali forme di vita extraterrestre o future civiltà umane che potrebbero trovarli. Questi dischi rappresentano un tentativo audace e ottimista di comunicare attraverso il cosmo.

Il compito iniziale delle sonde Voyager, che comprende sia Voyager 1 che la sua gemella Voyager 2, era esplorare Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Dopo aver completato con successo questi incontri entro il 1989, le sonde hanno continuato il loro viaggio verso i confini esterni del nostro sistema solare, inviando dati cruciali per lo studio del cosmo. Ora, a oltre 20 miliardi di chilometri dalla Terra, Voyager 1 si trova ad affrontare sfide significative a causa dell'anzianità dei suoi sistemi.

Il 16 ottobre, una manovra semplice come l'attivazione di un riscaldatore sulla sonda ha causato l'interruzione non prevista delle comunicazioni, per via dell'attivazione del sistema di protezione da guasti di Voyager 1, che ha autonomamente deciso di preservare energia spegnendo processi non essenziali.

“Il veicolo spaziale ha recentemente spento uno dei suoi due trasmettitori radio e il team sta ora lavorando per determinare la causa del problema”, si legge in un post sul blog della NASA.

Utilizzando la rete di antenne radio del Deep Space Network, la NASA è riuscita a ristabilire il contatto con Voyager 1 quando ha iniziato a trasmettere un segnale più debole attraverso il trasmettitore S-band, una tecnologia che non veniva utilizzata dalla sonda dal 1981. Questa frequenza, pur essendo meno potente, consente un consumo energetico inferiore.

Bruce Waggoner, manager dell'assicurazione della missione Voyager, ha spiegato che il segnale S-band è troppo debole per essere utilizzato a lungo termine per ricevere dati scientifici, ma almeno consente di inviare comandi e assicurarsi che la sonda sia ancora orientata verso la Terra. L'agenzia procederà con cautela nel tentativo di riattivare il trasmettitore X-band senza rischiare ulteriori danni alla sonda.

L'abilità di Voyager 1 di continuare a inviare dati scientifici fino al 2025 e mantenere le comunicazioni fino agli anni 2030 sottolinea non solo l'ingegnosità delle tecnologie spaziali sviluppate più di quattro decenni fa, ma anche l'importanza della ridondanza nei sistemi critici per la missione, una pratica che ha consentito una longevità operativa ben oltre le aspettative iniziali.

Il continuo invio di dati da Voyager arricchisce la nostra comprensione dello spazio interstellare, offrendo informazioni preziose sul tipo di ambiente che le future missioni interstellari potrebbero incontrare. Anche se il segnale è debole, ogni bit di dati ricevuto offre una visione più profonda del vasto universo che ci circonda.

Fonte dell'articolo: www.smithsonianmag.com

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