Per anni siamo stati abituati a una regola non scritta della tecnologia moderna: se compri un iPhone, o un prodotto Apple a prescindere, fai il primo passo per entrare in un'ecosistema tanto comodo quanto limitato ai prodotti della compagnia. Se scegli Android, invece, resti dall’altra parte della barricata, visto che per quanto tu abbia deciso di abbracciare un OS più libero, la forte chiusura di Apple nei confronti della concorrenza ti impedirà di sfruttare appieno tutta quella libertà. Due mondi bellissimi per diversi aspetti ma separati, impermeabili, apparentemente incompatibili per “ragioni tecniche” che, col tempo, si sono rivelate sempre più una scelta strategica, guarda caso proprio di Apple.
Eppure, nel tempo, molte cose sono cambiate e dopo che Apple, l'anno scorso, ha aggiunto il supporto per i messaggi Rich Communications Services (RCS) alle sue piattaforme, migliorando così la coerenza, l'affidabilità e la sicurezza quando si scambiano messaggi a “bolla verde” tra iOS e Android, qualche giorno fa Google ha annunciato la possibilità per i dispositivi Android di dialogare con AirDrop attraverso Quick Share, abbattendo un ulteriore muro fra questi due universi.
L’interoperabilità tra Quick Share di Google e AirDrop di Apple, però, non è scaturita solamente dal buonsenso di Google ma è l'ennesimo risultato dell'operato di un terzo attore che da mesi sta forzando le varie aziende per aprire i loro ecosistemi e rendere note le proprie tecnologie: l'Europa.
Come il DMA sta cambiando tutto
Il punto focale di questa novità, difatti, non risiede né in Apple né in Google, ma nell’Unione Europea. Con il Digital Markets Act (di cui potete trovare un breve riassunto qui), Bruxelles ha deciso di affrontare anche uno dei problemi più delicati dell’attuale panorama tecnologico: il cosiddetto “lock-in”, cioè la lenta dipendenza forzata di un ecosistema, nella quale gli utenti si trovano invischiati quando acquistano un device di una determinata azienda.
Quando compri un iPhone, e inizi a usare AirDrop, iMessage, FaceTime, iCloud e tutti gli altri servizi, non stai solo scegliendo un telefono. Stai entrando in un sistema che rende sempre più scomodo, costoso e traumatico uscirne. Non perché non esistano alternative valide, negli anni ne sono emerse parecchie, ma perché le porte di Apple vengono chiuse artificialmente.
In America sono comuni le discussioni in merito a Blue Bubble e Green Bubble (ovvero l'utilizzo di iMessage, che da sempre mostra i messaggi all' interno di bolle blu, rispetto alla messaggistica messa a disposizione degli utenti Android, indicata con delle bolle verdi), ma il problema non si limita alla sola messaggistica.
Chi vi scrive, per esempio, utilizza prodotti Apple da ben prima che l'iPhone vedesse la luce e già in quegli anni bastava acquistare un MacBook e un iPod per entrare, inconsapevolmente, in un ecosistema tanto comodo quanto sempre più difficile da abbandonare. Nel mio caso specifico ho oltre 23 anni di storia digitalizzata, sparpagliata fra le varie applicazioni di Apple, sempre pronta per essere reperita tramite qualsiasi device di Cupertino ma altresì tediosissimo da raggiungere con la stessa rapidità attraverso device di altre aziende.
L’Europa ha deciso, quindi, che questo modello non è più accettabile. Non perché voglia “punire” le Big Tech, o Apple nello specifico, ma perché vuole rimettere al centro l’utente. L’idea di fondo è semplice: se vuoi cambiare smartphone, laptop, tablet o qualsivoglia altro device, non dovresti perdere alcune funzionalità chiave degli altri strumenti in tuo possesso, non dover impazzire per condividere qualsivoglia file con amici e colleghi di lavoro e, soprattutto, non trovarti mai nella situazioni di non poter scegliere liberamente.
Nel concreto, questo significa che funzioni che prima erano riservate a chi comprava un determinato marchio dovranno diventare sempre più universali. Ieri furono le app di messaggistica, gli store alternativi, la scelta dei browser predefiniti e dei motori di ricerca; oggi è la condivisione file, domani potranno essere i sistemi di pagamento o le interazioni tra diversi dispositivi. Non è una battaglia contro Apple, contro Microsoft o contro Google. È una battaglia per abbattere i limiti imposti all' utenza dall'attuale settore tecnologico.
Motivo per il quale, fra i vari cambiamenti già in essere oramai da alcuni mesi, l'Europa ha richiesto ad Apple di rendere pubblico il suo protocollo proprietario AWDL, ovvero la formula segreta alla base di AirDrop e della sua chiusura verso altri ecosistemi. Ovviamente, e in merito a questo ci arriverò fra poco, Apple si è rifiutata, limitandosi per il momento a sostituire il suo protocollo proprietario con Wi-Fi Aware, uno standard aperto e compatibile.
Come Google sta sfruttando il DMA
Dal punto di vista tecnico, Google non ha sfruttato alcun trucco magico e nessun hack sofisticato, l’abbandono da parte di Apple del protocollo proprietario AWDL in favore di Wi-Fi Aware, ha permesso al colosso di Mountain View di intervenire.
L’azienda, difatti, ha potuto lavorare per garantire la compatibilità di Quick Share con AirDrop in modo autonomo, senza aspettare un via libera ufficiale da Apple. Dal canto suo, per Google l’interoperabilità non è solo un obbligo normativo ma una grandissima opportunità, sia per favorire la diffusione dei device che montano Android, sia perché perché il suo modello di business non è fondato sulla chiusura hardware, e software, come nel caso di Apple.
Google ha aggiornato, quindi, la funzione Quick Share di Android per supportare AirDrop di Apple, permettendo agli utenti di dispositivi "made in Cupertino" di condividere file direttamente con gli smartphone della linea Pixel usando una connessione Wi-Fi peer-to-peer locale e attivando il Bluetooth.
I dispositivi Apple con AirDrop abilitato e impostato sulla modalità “visibile a tutti per 10 minuti” compariranno nella lista dispositivi di Quick Share proprio come farebbe un altro smartphone Android, così come i device Android che supportano questa versione aggiornata di Quick Share compariranno anche nel menu di AirDrop.
Al momento questo aggiornamento è disponibile solo sulla serie Pixel 10, l’azienda, però, sta “guardando avanti per migliorare l’esperienza e ad espanderla a più dispositivi Android, pur non avendo annunciato nulla riguardo una tempistica o eventuali requisiti hardware o software. Qualcomm, dal canto suo, ha già comunicato che permetterà a breve di sfruttare QuickShare con AirDrop anche su molteplici dispositivi dotati di processore Snapdragon, ma non è ancora stato reso noto né quando, né quali device saranno effettivamente compatibili.
Sebbene Google abbia dichiarato di “accogliere l’opportunità di lavorare con Apple per abilitare la modalità ‘Solo contatti’ in futuro”, ha voluto comunque sottolineare come la sicurezza degli utenti durante i trasferimenti sia sempre al primo posto, segnalando che i file condivisi tramite Quick Share vengono trasferiti direttamente tra dispositivi, senza essere inviati prima ai server di nessuna delle due aziende.
In un post separato sulla sicurezza di Quick Share, accreditando l’uso da parte di Android del linguaggio di programmazione memory-safe Rust per rendere possibile la condivisione sicura di file tra piattaforme, Google ha voluto aprirsi maggiormente nei confronti dell'utenza, spiegando che:
“Il compilatore impone regole rigide di proprietà e prestito in fase di compilazione, che garantiscono la sicurezza della memoria, Rust rimuove intere classi di bug legati alla memoria. Questo significa che la nostra implementazione è intrinsecamente resistente contro qualsiasi cybercriminale che tenta di usare pacchetti di dati creati in modo malevolo per sfruttare errori di memoria.”
Ovviamente il passo dal presentare tutta questa operazione come un'opportunità derivata da un obbligo, all'elogiarlo come opera di bene per tutto il settore è stato molto breve. Google, difatti, non si è tirata indietro nel mandare un messaggio molto chiaro all'intera industria: la condivisione non dovrebbe avere muri.
In tutto questo Apple cosa ne pensa?
La reazione più interessante a tutta questa vicenda, però, non è arrivata da Mountain View ma da Cupertino. O meglio, la non reazione. Apple, difatti, non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali dirette, né in merito all'abbandono (si presume temporaneo) del suo protocollo proprietario, né in merito all'annuncio fatto da Google.
Non ha commentato pubblicamente, non ha partecipato a comunicati congiunti. Silenzio. Un silenzio che lascia intendere molto più di qualsiasi conferenza stampa.
Dietro questa scelta, infatti, c’è una posizione che Apple porta avanti da numerosi mesi, ovvero una forte opposizione nei confronti del Digital Markets Act, la legge europea che obbliga le aziende considerate “gatekeeper” ad aprire parti chiave dei propri servizi. Apple sostiene che forzare l’interoperabilità di funzioni come AirDrop, così come il rendere accessibili alle altre aziende dei protocolli proprietari, possa mettere a rischio la privacy e la sicurezza degli utenti.
Il controllo totale dell’esperienza utente è sempre stato uno dei pilastri della filosofia Apple, ma alla base di tutto, oltre a un ecosistema ben consolidato e capace di ingabbiare anche il suo più strenuo oppositore, c'è sempre stata quella sicurezza che Apple ha da sempre voluto mettere al primo posto.
Per Apple, ovviamente, l'apertura verso altri ecosistemi è innanzitutto una perdita di controllo verso i propri clienti ma rimane il fatto che quando parla di rischi per la privacy, non sta inventando un problema. Più sistemi comunicano tra loro, più aumenta la complessità con il quale queste operazioni devono essere gestite.
Una maggiore complessità in una struttura semplice e inviolabile, significa più aperture per eventuali attacchi informatici, più possibilità di errori e più lavoro per mantenere alti gli standard di sicurezza. D'altronde stiamo parlando di un'azienda che ha vincolato il suo sistema operativo per computer al proprio hardware proprio per non dover incappare in tutte quelle problematiche di ottimizzazione che da sempre affliggono il panorama di Windows.
Allo stesso tempo la sicurezza è sempre stata una parte centrale del racconto di Apple. Ricordiamoci che stiamo parlando dell'azienda che si è rifiutata di fornire le procedure per violare un iPhone alla FBI, rallentando le indagini e obbligando i federali a trovare delle alternative grigie per accedere ai dati presenti sullo smartphone di un indagato.
Per Apple la sicurezza e parte dell'identità dei propri prodotti. È quell'elemento imprescindibile nelle fondamenta di un modello di business che mette da sempre al primo posto un'esperienza utente maggiormente limitata ma totalmente concentrata sulla semplicità e sulla sicurezza. Nel momento in cui l'azienda si trova a essere obbligata a diffondere i propri protocolli proprietari, a non poter imporre Safari come browser predefinito (da sempre considerato estremamente sicuro per quanto limitato sotto alcuni aspetti) e a doversi aprire a store di terze parti (spalancando le porte a potenziali applicazioni dannose), uno dei suoi pilastri fondamentali inizia a traballare pericolosamente.
Non stupisce quindi che, come già fatto per il mirroring dell'iPhone su MacOs (rimosso brutalmente nelle versioni europee del sistema operativo) e le traduzioni in tempo reale con le Airpods Pro 3 (che in Europa arriveranno solo con la prossima versione di iOS in seguito a lunghe trattative con l'Europa) Apple abbia valutato uno scenario estremo: rimuovere AirDrop dal suolo europeo piuttosto che rischiare che la compatibilità con dispositivi di terze parti generi un precedente più complesso.
Un’ipotesi pesante, che racconta quanto questo cambiamento sia percepito da Apple come una imposizione a cui non sottostare, piuttosto che come un'evoluzione naturale. AWDL è il “linguaggio segreto” di AirDrop, quello che rende impossibile ogni comunicazione con dispositivi non Apple. renderlo di dominio pubblico per le altre aziende è fuori discussione, soprattutto se si tratta di una imposizione circoscritta solo a un continente.
Ma allora perché non bloccare direttamente AirDrop in Europa, invece di utilizzare un protocollo diverso senza nemmeno comunicarlo pubblicamente? Bé la ragione è una sola: la posizione di iPhone nel mercato europeo. Per quanto nel mondo ci siano più di un miliardo e mezzo di possessori di iPhone, in Europa lo smartphone di Apple occupa "solo" il 37,79% del mercato (Samsung detiene il 61,69%), un dato ben lontano dal 59% che rende Apple l'azienda leader nel settore negli USA.
I motivi sono molteplici, uno fra tutti un costo dei device superiore rispetto agli Stati Uniti. Viene da se, quindi, che se oltre a dover già combattere con un mercato nel quale hanno perso quote nel corso degli anni, si iniziano a presentare device "che costano di più e offrono di meno" rispetto agli Stati Uniti, rischierebbe di perdere ancora più utenza.
Motivo per il quale, almeno per il momento, l'azienda sta facendo il minimo indispensabile per rispettare la legge, mantenendo il silenzio pubblico (anche per mantenere una posizione di superiorità verso le imposizioni europee a cui si sta opponendo) e limitando il meno possibile il "taglio" di alcune funzioni per gli utenti europei, onde evitare di perdere ulteriori clienti.
Onde evitare fraintendimenti, tutto questo non vuol dire che Apple in Europa se la passi male, anzi, ma è ovvio che se già l'assenza del mirroring su MacOS, e il ritardo delle traduzioni in tempo reale su Airpods 3, hanno fatto storcere non pochi nasi, rimuovere una feature tanto importante come AirDrop, potrebbe generare effetti collaterali molto più complessi da contenere.
Quello che è certo, però, è che sia che siate favorevoli al DMA, sia che siate contrari, quello che è successo con AirDrop e Quick Share è solo la punta di un iceberg molto più profondo. È il segnale che un’epoca che sta finendo, quella dei giardini bellissimi ma adornati da alte mura ricolme di filo spinato, che per anni hanno vincolato le scelte degli utenti.