Ho 31 anni. Per essere precisi, sono nato nel 1994 e se questo anno vi dice qualcosa, probabilmente siete degli appassionati come me. Il 1994 è l'anno in cui Commodore International, l'azienda madre di uno dei computer più rivoluzionari della storia, dichiarò bancarotta. Sono nato nell'anno in cui il sogno di Amiga si è ufficialmente spento. Non ho vissuto la sua età dell'oro, non ho letto le riviste che ne annunciavano l'arrivo, non ho visto le vetrine dei negozi addobbate con i suoi colori (mi sarebbe piaciuto).
Eppure, Amiga è una parte fondamentale della mia vita da videogiocatore. Ovviamente, ci tengo a sottolinearlo: non è un paradosso, è solo una gran fortuna; la fortuna di avere un fratello più grande.
Mentre i miei coetanei muovevano i primi passi digitali tra i desktop grigi di Windows 95 e le schermate di caricamento della prima PlayStation, io venivo "iniziato" a un culto diverso, a una macchina che, ai miei occhi di bambino, sembrava provenire da un'altra dimensione. Era un Amiga 500. Non era bianco e immacolato come nelle foto d'epoca. Era un esemplare vissuto, con quella patina giallognola che solo la plastica ABS degli anni '80 sa acquisire, un colore che non è segno di vecchiaia, ma di onorato servizio. Mio fratello lo tirò fuori da un armadio, soffiò via un po' di polvere e disse parole che cambiarono la mia percezione dei computer per sempre: "Adesso ti faccio vedere una cosa seria".
L'anacronismo magico
Sul monitor a tubo catodico, dopo aver inserito un floppy disk che sembrava un'antica reliquia, apparve una palla a scacchi bianchi e rossi. Iniziò a rimbalzare con una fluidità e un realismo che mi lasciarono a bocca aperta. Quella era la leggendaria demo "Boing Ball". Ma la vera magia, la rivelazione che incrinò le mie certezze da nativo dell'era Windows, avvenne un secondo dopo. Mentre la palla continuava a rimbalzare, imperterrita, mio fratello muoveva il puntatore del mouse, apriva il Workbench, caricava un'altra applicazione da un altro floppy. E la palla non scattava, non si fermava, non rallentava.
Per me, che associavo il multitasking al clessidra di Windows e al concetto di "Non risponde", quella scena era incomprensibile. Come poteva quella vecchia scatola di plastica ingiallita, con meno memoria RAM del jingle di avvio della mia PlayStation, fare una cosa del genere? La domanda non era "Wow, questo è il futuro!", ma una molto più potente: "Come diavolo era possibile questo nel passato?".
Quella fu la mia porta d'ingresso. L'Amiga 500 di mio fratello non era un pezzo da museo, divenne la mia macchina del tempo. Lui era la mia guida, il custode di segreti arcanici. Mi passava pile di floppy disk, ognuno un portale verso un mondo. Mi ha insegnato che i giochi non dovevano per forza avere una grafica 3D poligonale per essere immersivi. Ho scoperto lo scrolling parallattico a decine di livelli di Shadow of the Beast e ho capito cosa significasse "direzione artistica". Ho perso pomeriggi a cercare di salvare le stupide creature di Lemmings, apprezzandone la geniale semplicità. Ho combattuto guerre strategiche in Cannon Fodder e ho capito che "War has never been so much fun". Ma non solo: mi spaventavo davanti alle temibili formiche giganti di It Came From The Desert e rimanevo affascinato da quel mondo incredibile che fu di Another World.
Mio fratello mi mostrava questi giochi non con la nostalgia del reduce, ma con l'orgoglio del pioniere che mostra la mappa di un tesoro a una nuova generazione. Ogni gioco era una lezione. La fisica della palla in Sensible Soccer, controllata con un solo pulsante, era una lezione di game design che molti titoli moderni dovrebbero studiare. L'interfaccia di The Secret of Monkey Island, con i suoi verbi e le sue musiche campionate, era una lezione di narrativa e ancora oggi non posso che ridere a crepapelle ripensando alla meravigliosa scrittura di Zak McKracken.
La scoperta del genio
La mia curiosità, da semplice giocatore, divenne quasi accademica. Dovevo capire il "perché". Perché quella macchina era così diversa? Fu allora che, spinto dalle spiegazioni di mio fratello e da ricerche su un internet ancora agli albori, scoprii il nome di Jay Miner e la filosofia dietro la sua creatura.
Ho imparato a conoscere la "Santissima Trinità" dei chip custom: Agnus, il grande burattinaio della memoria; Denise, l'artista digitale; Paula, la musicista prodigio. Ho capito che Amiga non si basava sulla forza bruta di un singolo processore, ma sull'intelligenza di un'orchestra di componenti specializzati che lavoravano in armonia. Era un'architettura di un'eleganza quasi poetica. Mentre i PC dell'epoca erano dei sollevatori di pesi goffi e muscolosi, Amiga era un atleta di decathlon, agile, efficiente e versatile.
Scoprire la storia di Amiga da questa prospettiva è stato illuminante. Leggere dell'evento di lancio con Andy Warhol, sapendo che quello stesso software, Deluxe Paint, era sul floppy che mio fratello mi stava passando, creava un cortocircuito temporale.
Un'eredità che mi appartiene
Oggi, nel 2025, uso strumenti incredibilmente potenti. Lavoro con software di grafica che gestiscono livelli infiniti, edito video in 4K sul mio laptop, compongo musica con librerie di suoni che occupano centinaia di gigabyte. E in ognuna di queste azioni, vedo il fantasma di Amiga.
Vedo la sua filosofia di co-processori dedicati nella mia potentissima GPU. Vedo il suo spirito multimediale in ogni applicazione che integra nativamente grafica, suono e animazione. Vedo il suo pionieristico multitasking nel modo fluido in cui passo da un'applicazione all'altra sul mio sistema operativo moderno.
Per me, Amiga non è nostalgia. La nostalgia è il desiderio di tornare a un passato che si è vissuto. La mia è qualcosa di diverso: è riconoscenza. È la gratitudine verso una macchina e verso un fratello che mi hanno insegnato a guardare oltre la superficie della tecnologia. Mi hanno insegnato che l'innovazione non è solo una questione di megahertz o di benchmark. È una questione di visione. È la capacità di creare strumenti che non solo eseguono comandi, ma accendono la creatività.
La community che ancora oggi tiene in vita Amiga con nuovo hardware, emulatori e software non è un gruppo di nostalgici. Sono come dei custodi di una fiamma, la stessa che mio fratello ha passato a me. È la fiamma della convinzione che la tecnologia possa e debba avere un'anima.
Sono nato quando Amiga moriva, ma grazie a quella "eredità" fatta di plastica ingiallita e floppy disk, ho imparato una lezione che nessuna macchina moderna mi ha ancora insegnato. Ho imparato a riconoscere il futuro, anche quando si nasconde nelle pieghe del passato.