Bayonetta Origins: Cereza and the Lost Demon | Anteprima

A passo di danza ci incamminiamo nel prequel delle avventure della Strega di Umbra: Bayonetta Origins ci mostra un lato sconosciuto di Cereza

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a cura di Pietro Spina

All’annuncio di Bayonetta Origins: Cereza and the Lost Demon, avvenuto durante i The Game Awards dello scorso dicembre, ho provato un discreto entusiasmo, abbracciando senza alcuna riserva questo esperimento targato PlatinumGames. Rimescolare le carte sul tavolo di un franchise che dopo il secondo episodio è incappato nella difficoltà di trovare un’identità che lo portasse a evolvere, e non solo a migliorare, è un ottimo segnale per quel che concerne la tranquillità del team quando lavora sotto l’ala di Nintendo.

Aggiungiamo poi che avendo approfondito Bayonetta 3 a sufficienza, avevo avuto modo di scoprire il breve ma delizioso capitolo segreto che faceva da teaser proprio per questo gioco. Quindi la mia sorpresa è stata più legata alla celerità con cui si è presentata questa produzione piuttosto che sulla sua effettiva esistenza.

Comprensibile comunque che qualcuno possa faticare a comprendere la necessità di questo prequel della serie, soprattutto alla luce di un terzo capitolo straripante ma al tempo stesso più che perfettibile. Tra controversie più o meno interessanti e letargiche attese, l’eco delle parole di un Hideki Kamiya pronto a portare avanti Bayonetta per un numero di capitoli indefinito difficilmente poteva farci pensare a un progetto così distante dal DNA PlatinumGames, sebbene comunque a suo modo riconducibile.

Questo Bayonetta Origins infatti va a pescare il curioso gameplay di titoli come Brothers: A Tale of two Sons, mettendo il giocatore nella condizione di controllare contemporaneamente 2 avatar, aggiungendo il pepe PlatinumGames in modo riconducibile all’apprezzato Astral Chain. Il risultato è l’alternanza tra una fase esplorativa intrigante e un sistema di combattimento strutturalmente semplice, reso però più complesso dall’esercizio mentale fuori norma richiesto. Il risultato finale, a scanso di equivoci, promette davvero bene.

Cereza nel paese delle meraviglie

Con Bayonetta 3 si è palesata la volontà di dare più corpo all’universo di gioco, rinforzando la lore conosciuta con l'introduzione di nuovi elementi, potenzialmente capaci di rendere ancora più traballante la già confusa storia dei precedenti capitoli, a stento sostenuta da una messinscena che metteva al centro un personaggio capace di piegare alle proprie necessità qualsivoglia continuità narrativa. Hanno corso un rischio, è vero, ma la volontà di far crescere il brand è percepibile e condivisibile.

Per questo ho apprezzato tantissimo la fiducia con cui gli sviluppatori hanno pensato questo prequel, ponendosi l’obiettivo non solo di raccontarci il passato di Cereza, ma anche di andare a rinforzare quanto di nuovo introdotto nel terzo episodio. Perché ammettiamolo - senza spoiler, tranquilli - che la sorpresa provata davanti ad alcuni rapporti tra personaggi storici si è mossa di pari passo con una certa incertezza nell’accettarli così, su due piedi, senza il giusto percorso di avvicinamento.

Bayonetta Origins: Cereza and the Lost Demon ci propone una storia di origini che rappresenta il terreno ideale su cui costruire le fondamenta in grado di sorreggere tali incertezze, prendendosi la libertà (finalmente) di raccontarci il passato di Cereza, Rosa e dell’ostracismo di cui sono state vittima le due streghe. Con un extra, però: la presenza del simpatico Cheshire.

La giovanissima Cereza è una reietta, una strega incompiuta che non ha un posto al mondo e che vive solo della compagnia e delle “cure” della sua maestra, Morgana. Questa figura dall’aspetto dignitoso e dall’atteggiamento severo è il punto di riferimento di una ragazzina che vive le sue giornate con il timore di essere un fallimento, tormentata dal ricordo della propria madre imprigionata in un luogo inaccessibile, punizione per la relazione avuta con un Saggio di Lumen (Balder, per chi non ricordasse la trama originale), da cui è nata proprio la piccola.

Richiamando alla mente il classico di Carroll, Cereza gioca il ruolo di un Alice che si spinge dove non dovrebbe, mossa non solo dalla legittima curiosità fanciullesca ma anche da uno strano messaggio che gli arriva in sogno, comunicato da una misteriosa figura che gli promette il potere in grado di salvare la propria madre. Priva della capacità di valutare i pericoli, Cereza coglie l’occasione giusta per recarsi alla Foresta di Avalon, luogo in cui risiede questo potere ma che al tempo stesso è il regno delle terribili Fate.

Sola, inesperta e timorosa, Cereza finirà per stringere un curioso legame con un demone degli inferi, evocato in modo fortunoso e costretto a impossessarsi del pupazzo Cheshire allo scopo di mantenere una forma nel mondo materiale. Incompatibili a pelle, i due saranno costretti a collaborare in quanto Cereza necessita della forza del demone per affrontare le Fate, mentre quest’ultimo non può abbandonare il fianco della Strega o perderebbe inesorabilmente la propria forza vitale, scomparendo dall’esistenza senza ritorno.

La ballerina e il bruto

Con l’arrivo in scena dei protagonisti, era inevitabile che mi trovassi ad ammirare il palcoscenico: Bayonetta Origins si presenta con la grazia di una goccia d’acquerello, costruendo un’estetica sognante tra colori saturi e delicate pennellate. Che si tratti del gioco o delle cutscene animate in stile slideshow (come accade anche nella serie principale), prende forma un immaginario distante da quanto conosciuto, ma avvolgente e tangibile.

Ho trovato particolarmente divertente il contrasto visivo espresso da Cereza e Ceshire: da una parte una strega dall’outfit ricercato, dall’altra un bizzarro demone ricreato quasi fosse il frutto di un patchwork fatto in fretta e furia. La dissonanza è tale anche a livello di gameplay, con Cereza che sfrutta abilità incentrate sulla danza, posata e armoniosa, mentre Cheshire si tuffa in battaglia tra zampate e morsi tutt’altro che aggraziati.

La coppia però non scoppia e presto mi sono trovato a sfruttare le potenzialità dei singoli per creare l’armonia utile ad avere la meglio su ogni pericolo. E questa collaborazione è tutt’altro che figurativa: i due infatti sono assegnati ognuno a metà del controller e il giocatore è invitato a imparare presto a coordinare le due parti del pad (o i due Joy-Con, a seconda di come giochiate). Da una parte la strega, controllata con lo stick sinistro, usa la sua magia per bloccare i nemici, dall’altra Cheshire, i cui movimento sono affidati allo stick destro, si occupa di fare piazza pulita delle minacce.

I tasti dorsali sono dedicati alle azioni (ZL e ZR per attaccare, L e R per le azioni contestuali), mentre i frontali sono assegnati agli oggetti (sinistra) e alle trasformazioni di Cheshire (destra, ne parleremo più avanti). Coordinare i due avatar inizialmente non è stato semplice, e mi rendo conto che la cosa potrebbe spaventare tanti giocatori poco affini a cambi di paradigma così netti, ma Bayonetta Origins fa il suo dovere per rendere questo processo di apprendimento graduale.

La mossa più furba in quest’ottica è l’introduzione delle due modalità di esplorazione: belva e abbraccio. Nella prima modalità Cheshire gira liberamente per il mondo, esattamente come Cereza, mentre nella seconda il temibile demone si riduce a dimensione di pelouche e si lascia trasportare dalla strega, rendendo il controllo dei due molto più semplice.

Fin dai primi istanti il gioco mi ha lasciato intendere che avrei alternato le due modalità molto spesso per venire a capo degli enigmi ambientali, perché se da un lato la potenza di Cheshire permette di distruggere facilmente barriere e intralci, dall’altra la sua forma ridotta può fungere da “molla” in alcuni contesti specifici, permettendo di raggiungere parti della mappa altrimenti precluse. Un tuttofare insostituibile, che ben presto ho iniziato a utilizzare in modo molto naturale.

Cambio di passo, cambio di genere

E devo dire che l’esplorazione, oltre ad essere intrigante visivamente, è anche stimolante per design, in quanto mi ha spesso stuzzicato con la vista di piattaforme, anfratti e sentieri all’apparenza inaccessibili o celati dietro a misteriose strutture invalicabili - ma caratterizzate da uno specifico elemento naturale a sigillo. Vuoi vedere che Bayonetta è diventato un Metroidvania?

La visuale 3D potrà anche dire il contrario, ma gli elementi ci sono tutti! Sebbene il percorso che ho seguito sia stato sostanzialmente lineare per le prime 5/6 ore di gioco circa, i punti di interesse che mi sono lasciato alle spalle sono stati diversi, così come molte sono le deviazioni in cui sono incorso per scoprire questo o quel segreto. Arrivati a un certo punto, fatta la conoscenza dello spirito che conosce tutti i passaggi segreti della foresta, Ignis, ho potuto iniziare a sfruttare il viaggio rapido per spostarmi da un punto di salvataggio all’atro.

La mappa poi non lascia dubbi, prendendo forma con il cammino del giocatore al suo arrivo in determinati “checkpoint”: questi sono i Tír na nÓg, delle vere e proprie faglie dimensionali create dai poteri delle fate, che paragonerei un po’ ai sacrari di Breath of the Wild. Accedendovi - alcuni sono obbligatori, altri sono opzionali - mi sono trovato di fronte a prove di abilità di diverso tipo, di difficoltà variabile. In alcuni casi si è trattato semplicemente di combattere, in altri invece mi sono trovato a coordinare le azioni dei due personaggi, impegnati però su percorsi separati.

Queste sono state al momento le sfide più complesse di Bayonetta Origins, perché in qualche situazione sono stato costretto a muovere in contemporanea Cereza e Cheshire su percorsi dalla natura e complesse e nel mentre correre contro il tempo. Meglio i combattimenti, per quel che mi riguarda, ma magari chi ha più dimestichezza nel gestire più task contemporaneamente potrebbe invece trovarli un’inezia.

Sbloccate nuove aree, la mappa si completa e si amplia, dando forma a un mondo più vasto di quanto potessi immaginare ma sapientemente costruito per ricollegarne le zone quando necessario. L’uso della verticalità si è rivelato ottimo per aumentare il senso di scoperta e la voglia di esplorare, riportandomi senza che me ne accorgessi (per consegnarmi la funzione di viaggio rapido) alle prime aree di gioco nonostante avessi avuto l’impressione, capitolo dopo capitolo, di essermi allontanato parecchio.

Da quel momento in poi ho guardato le varie aree con occhi diversi, alla ricerca dei segreti e dei potenziamenti mancati in precedenza, cercando di tenere il passo con la mappa che riporta ogni “livello di altezza" separatamente, da collegare mentalmente per esplorare al meglio - non tutti i giochi purtroppo possono sfoggiare la fenomenale mappa 3D di Metroid Prime Remastered.

Cheshire tuttofare

Non me ne voglia Cereza, ma la stella di Bayonetta Origins è sicuramente Cheshire: da lui passano gran parte delle dinamiche di gameplay, di cui spesso la strega è solo tramite o supporto, in particolare per quel che concerne la progressione dell’esperienza. Contestualmente alle necessità di trama infatti, mi sono trovato a cercare e distruggere i Nuclei elementali, potenti globi che custodiscono un’energia primordiale, in grado di alterare fattezze e poteri di Cheshire.

Se già nella sua forma base il “gattone” risulta estremamente accattivante, ottenendo i poteri del legno e della pietra (i primi due e gli unici di cui si può parlare in fase di anteprima) incorre in trasformazioni estetiche sorprendenti, capaci di spaccare lo schermo. Sarò io, ma Cheshire pietra mi ha fatto immediatamente pensare alle opere di Gustav Klimt.

Estetica a parte, i potenziamenti offerti da queste trasformazioni sono fondamentali per risolvere gli enigmi ambientali, opzionali e non, e avere la meglio sui nemici più coriacei. Con legno abbiamo accesso a una fascina di steli e arbusti che permette di interagire con i germogli a sigillo delle pareti dello stesso elemento, nonché di rimuovere gli scudi dei nemici che presentano il medesimo germoglio.

La forma Pietra invece ci consente di distruggere le rocce sparse per la mappa, sfondare le pavimentazioni crepate e, in combattimento, rimuovere gli scudi magici dello stesso elemento. Si può passare da una forma all’altra, o tornare a quella base, con la pressione del tasto frontale assegnato. Apprendendo nuove abilità è inoltre possibile inserire il cambio di tipo direttamente nelle combo di attacchi, rendendo Cheshire davvero imprevedibile.

Sarò onesto, anche Cereza se la cava benissimo in battaglia! Grazie alla sua capacità di intrappolare i nemici in un groviglio di rovi, Cheshire può scatenarsi in rapide combo senza intralci. I due possono inoltre coordinarsi in devastanti attacchi combinati, e ho quindi valutato quali abilità far apprendere ai due cercando di mantenere la giusta sinergia.

Sia Cereza che Cheshire infatti possiedono un albero delle abilità, che gli permette di apprendere nuove mosse spendendo la rispettiva moneta di gioco e, nel caso delle skill avanzate, oggetti rari che vanno raccolti esplorando per bene la mappa: le Perle di Luna per la strega e i Frutti Infernali per il demone.

Questi potenziamenti e i Tír na nÓg, che celano l’equivalente dei “portacuori” di Zelda, sono il motivo principale che mi ha spinto a esplorare tutto il possibile in Bayonetta Origins e a considerare il backtracking appena ho avuto l’occasione di utilizzare il viaggio rapido. Sempre rimanendo in tema Zelda, sono stato premiato per la mia tendenza a rompere ogni cosa che trovavo schermo (anche i vasi, certo), perché ho ottenuto tantissimi materiali da usare per realizzare gli oggetti da usare in battaglia.

Proprio come negli episodi della serie principale, Cereza può miscelare gli ingredienti per creare oggetti curativi, potenziamenti per la magia e via dicendo. Non se ne può abusare, in quanto c’è un limite massimo dei trasportabili, ma sono disponibili sempre in quantità più che sufficiente in proporzione alla sfida offerta dal gioco.

L’altra faccia dell’hardore gamer

Bayonetta Origins: Cereza and the Lost Demon si presenta come un titolo decisamente più accessibile rispetto alla serie principale, un po’ per via del periodo di ambientamento che richiede il nuovo stile di gameplay e un po’ perché, proprio come approccio, parliamo di una produzione che per design, estetica e narrazione fa riferimento a un pubblico decisamente giovane.

Dopo avere accumulato diverse ore di gioco, direi che al momento abbiamo davanti un prequel visivamente riuscitissimo, salvo qualche incertezza tecnica, grazie a una direzione artistica decisamente sul pezzo e coerente. Anche l'accompagnamento audio, tra pianoforti delicati e violini avvolgenti, comunica una certa leggerezza (e, ancora una volta, fa un po' il verso a Breath of the Wild), mentre la voce narrante è rassicurante e si preoccupa anche di interpretare il ruolo di Cheshire - con tanto di tono grave e caricaturale.

Cereza da questo punto di vista è praticamente perfetta: graziosa, speranzosa, timida e risoluta, vanta una voce accattivante, adeguatamente fanciullesca. Casting perfetto, soprattutto nelle tante situazioni giocose utili a scandire l’evoluzione del rapporto tra i due protagonisti e la crescita caratteriale della piccola strega.

Ed è qui che mi sento di avanzare la prima, vera, critica alla produzione: Bayonetta Origins allo stato attuale sembra forse troppo “leggero e giocoso”, offrendo un’esperienza che - nelle mani di giocatori un po’ più maturi - si sostiene principalmente grazie al gameplay. Storia e dialoghi si mettono in secondo piano, proponendo situazioni ed eventi sicuramente graziosi, che però non risultano necessariamente rilevanti nel disegno generale. Vedremo nel prosieguo, ma ho la sensazione che a livello di atmosfera, a meno di ribaltoni finali, non ci saranno grossi cambiamenti.

Peccato perché per il resto il gioco mi sta sorprendendo passo dopo passo, risultando sempre più divertente e appagante nelle sue meccaniche. Il primo vero boss è davvero molto bello da vedere e divertente da giocare, proponendo diverse fasi in cui sfruttare al meglio le abilità disponibili e usare l’ingegno - senza farci mancare l’esecuzione finale, cifra stilistica della serie, questa volta decisamente più fumettosa.

Provando a distogliere il pensiero dall’evidente sbilanciamento tra la mia figura di giocatore con qualche anno in più sulle spalle e il mood scelto dal team per il gioco, mi permetto di sbilanciarmi con ottimismo e dire che abbiamo tra le mani un titolo dalla grande qualità, concreto e coerente nelle sue scelte e capace di dare vita a un connubio di estetica e gameplay unico nella libreria Nintendo Switch. La qualità c’è, il divertimento pure, che altro chiedere? Se PlatinumGames saprà regalarmi una seconda parte di gioco più intensa nelle tematiche e in assoluto davvero rilevante per l’universo della serie, potrei essere davvero soddisfatto al 100%. Appuntamento alla recensione di Bayonetta Origins: Cereza and the Lost Demon per scoprire se ci riusciranno!