Canto di Natale di un videogiocatore a passeggio fra le età

Il Natale è un periodo magico. Ma come ogni magia che si rispetti anch’essa, per mantenersi forte, si aggiorna. E anche i giocatori cambiano.

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a cura di Alessandro Tonoli

Il Natale è un periodo magico. In ogni età. Ma come ogni magia che si rispetti anch’essa, per mantenere intatta la sua potenza, cambia formula col passare degli anni. E anche i videogiocatori cambiano insieme a lei.

È un periodo dell’anno decisamente propizio per il gaming: d’inverno le occasioni per giocare certamente aumentano, dato che il mondo esterno molte volte dà l’idea di essere una landa di ghiaccio fredda e ostile. E quando arriva dicembre, ovvero quando il freddo inizia a far intravedere per davvero i suoi muscoli da Zangief, l’idea di lasciarsi coccolare dal caldo della propria casa (già addobbata con le prime decorazioni, magari) assume un fascino irresistibile, soprattutto se ci immaginiamo lì, pad alla mano, fra luci soffuse, pronti a partire per la nostra prossima grande avventura.

I momenti di riposo più o meno lunghi con cui ci confrontiamo al variare della vita personale (ferie, vacanze scolastiche, pause di studio dagli esami universitari etc.) ci permettono di vivere in maniera certamente più piena la nostra passione, forse come in nessun altro momento dell’anno. Ma non alla stessa maniera: in ogni fase della vita si vive questa magia in maniera un po’ diversa, a seconda delle variabili di tempo e di attività in cui siamo comunque immersi. Cambiano i rituali, cambiano le routine di gaming, cambiano gli effetti e i motivi che ci portano a prendere il pad in mano. Guardando questo insieme a posteriori è facile ricordarci spaccati diversi, dettagli dimenticati della nostra vita, versioni di noi che non ci ricordavamo esistessero, fra natali passati, presenti e futuri. 

Questa è la prospettiva di un videogiocatore che pensa al suo personale canto di Natale videoludico, e viaggia un po’ nel tempo. Qualcuno come tutti, che ha già passato alcune fasi della vita, vive la sua presente, e se ne immagina altre, facendo volare la sua fantasia e i suoi fantasmi oltre questa terra di mezzo dell’età, convinto fortemente di una cosa, anche prima di iniziare questo viaggio di riscoperta: per quanto possa cambiare, la magia che lega Natale e videogioco parlerà sempre in qualche modo di passione, legami e unione.

Prima fermata: in famiglia, i primi amici, e chi viene a sbirciare i nostri “giochini”

Credo che per iniziare questo viaggio sia necessario partire dal ricordo più vivido ho: se provo a immaginare il videogiocatore che ero in pieni anni 90’, durante le vacanze di Natale, non posso non andare col pensiero a mio fratello. Molto spesso i primi contatti con il videogioco arrivano proprio dall’ambiente familiare, e se hai avuto la fortuna di avere un fratello maggiore sufficientemente audace nel buttarsi nel gaming anche quando non era un linguaggio mediale così diffuso, allora puoi dire di essere nato sotto una buona stella (o Super Star). Anche perché osservare qualcun altro giocare (il Twich dell’epoca, praticamente) era uno strumento di avvicinamento e di educazione al gaming pazzescamente efficace; se poi lo fai per più giorni consecutivamente, mentre ambedue siete a casa da scuola, in quella fantastica bolla di tempo che sono le vacanze scolastiche (mentre la neve cade e il tempo perde di definizione) l’incanto è decisamente assicurato. Anche se sei un semplice copilota addetto a supervisionare solo ciò che avviene a schermo. Anche il giorno di Natale funzionava così: in casa in mille, e poi scatta quell’ora, l’ora X. Ci si sganciava per un po’ dal marasma generale, per rituffarci qualche minuto nei mondi di Zork e Monkey Island. Molti anni prima che quel termine diventasse importante per il gaming io e mio fratello cementavamo così la nostra brotherhood.



Voliamo da altre parti. Il tempo passa, i Natali pure, e a mano a mano che cresci, inizi ad avere anche la tua autonomia. Il quadro del passato ora mostra qualcosa di diverso, perchè entrano in gioco personaggi importanti provenienti dall’orlo esterno: i primi amici. Che per me sono stati quelli del vicinato che, proprio durante quei giorni di vacanza (tutti a casa per gli stessi giorni, una sicurezza di continuo divertimento) si sedevano al tuo fianco per partecipare alla tua sfida: un unico joypad (di quello che all’epoca era il mio Sega Mega Drive) e lo si passava solo quando qualcuno perdeva la vita. Si perdeva un sacco di tempo, è vero, ma chissà come il tempo non sembrava mai realmente perso. Da semplice osservatore ora eri catapultato in una sorta di team: l’avventura era comune, e anche se giocavi per un terzo del gioco, quando arrivavi a sconfiggere il boss finale era una vittoria tua, come mai altre vittorie lo erano state. Un approccio con dinamiche che ora è impossibile da ricreare, è sepolto nel tempo sotto scie di ghiaccio e chili di panettoni, ma che forse, proprio in quell’attesa estenuante tra una partita e l’altra, ha permesso di generare amicizie che ancora oggi ricordo con calore, grazie a fili invisibili che piano piano venivano ad allacciarsi, e non si sfilacciavano neanche quando il pomeriggio finiva, e te ne dovevi tornare a casa, ombrello scaccia neve e un freddo becco addosso, ma con la spensieratezza di un pomeriggio allegro nella testa. Il peccato era che loro, i tuoi amici, non ci sarebbero stati il giorno più importante, quello di Natale. Ma al primo giorno buono il pad avrebbe ripreso a sfrecciare da una mano all’altra, senza indugio, facendo perdere a Sonic qualche vita di troppo, ma guadagnare a noi cose più importanti, come ricordi scolpiti nel ghiaccio della fortezza della non-solitudine.

Il giorno di Natale, a quell’età, beh, aveva altri obiettivi, serviva soprattutto per sperimentare. Il focus andava sulla new entry di turno: appena si scarta un pacchetto e si vede il primo spiraglio della copertina del gioco desiderato (o il luccichio della scatola della nuova periferica) il gruppetto di fratelli e cugini si radunava invadendo la camera della vittima di turno per iniziare subito a montare il necessario. Mica potevo aspettare di mettere in piedi il primo volante per Playstation One: capire se giocare a Gran Turismo con periferica avrebbe restituito davvero le stesse vibes della sala giochi (che mi aveva prosciugato i conti durante l’estate) era una vera impellenza. O mica potevo davvero attendere, all’epoca, di vedere coi miei occhi che dettagli grafici aveva raggiunto l’opening di Final Fantasy VIII, quando tutti ne parlavano già da settimane a scuola (e il compagno di classe che l’aveva era partito per le vacanze, maledizione). Nell’altra sala qualcuno reclamava la nostra presenza, ma ogni videogiocatore ha un cuore, e aspettare avrebbe sicuramente significato spezzarlo irrimediabilmente. E sono certo che nessuno, in quella sala, avrebbe potuto volerci davvero così male. Che poi nei miei ricordi ci sono pure loro, gli adulti. Che arrivavano comunque a tentare di capire cosa facessimo, e per quanto fossero decisamente più interessati al cibo e al beveraggio (di cui avrei capito l’importanza nel futuro) qualcuno finiva sempre per attardarsi più del dovuto, guardando cosa facessimo con i nostri “giochini”. Se ne andavano contenti di vederci così uniti e allegri. In pieno spirito natalizio, anche sfruttando strumenti che faticavano a comprendere.

 



Quel momento di entusiasmo e aggregazione spontanea durava comunque il giusto. Poi ti veniva quasi automatico di smettere: tanto, per spolpare il gioco di turno, avresti avuto tutti i giorni a seguire, prima della fine delle vacanze. Tanto valeva tornare tutti insieme in sala a continuar la festa con tutti gli altri; la ciurma piratesca, di chi ha contravvenuto agli ordini, si scioglieva. Poi però continuava a parlare, al tavolo generale, con il luccichio negli occhi. Quello di chi ha appena visto un piccolo tesoro, e ha rubato qualcosa di più importante del tesoro stesso: l’unione della ciurma.

Seconda fermata: l’adolescenza, un nuovo sguardo e il mondo degli adulti

Altro portale. Altro timeshift. Le vacanze di Natale adolescenziali naturalmente mostrano dinamiche molto diverse. La famiglia è passata un po’ in secondo piano, e le vacanze servivano a dar seguito a un proprio percorso di sviluppo, con quel gruppo di amici, ormai fraterni, che si era creato oltre le mura del circondario. Si esce spesso la sera, anche se fa un freddo becco, e quando torni a casa il gruppo non ti lascia. Perché è già l’epoca di Xbox 360 e Xbox Live, e online iniziano quei primi abbozzi di post serata, in cui un multiplayer ancora un po’ stentato è capace di far continuare a vivere quelle amicizie così forti anche oltre il luogo di raduno. Oltre quello, in quei giorni di stacco da uno studio divenuto più inteso, quel primo barlume di maturità permette di prendere consapevolezza del videogioco da un punto di vista meno ludico, ma più artistico ed esperienziale: l’atmosfera del Natale, che finisce per pervaderti di forza, si amplificava nei pomeriggi passati su “Eternal Sonata”, mentre il mondo fuori scorreva, e tu decriptavi quella che era una vera e propria forma di letteratura, un media capace di trasmettere valori artistici che avevi conosciuto prima solo in forme d’arte più consolidate e riconosciute.

 

Anche se il fantasma dei Natali passati ci tiene a ricordare che quelli erano anche gli anni del WII. Tornando più sul grezzo, vi potete benissimo immaginare cosa volesse dire possederlo, e vedere persone che mai avresti associato a un videogioco, improvvisamente lanciate in quelle grammatiche grazie alla democratizzazione del motion gaming, con il pudore al minimo grazie all’euforia delle feste. Sarebbero probabilmente stati gli stessi soggetti che a domanda “ti piacciono i videogiochi?”, avrebbero comunque continuato a rispondere “no”, ma poco importava. Erano piccoli momenti di entusiasmo, vissuti insieme, capaci di abbattere barriere generazionali e creare ponti di comunicazione, in un’età di mezzo dove l’isolazionismo dal mondo adulto diventa quasi una necessità per lo sviluppo della propria identità. Il gaming, invece, non ci stava, e permetteva al Natale di ricucire piccole distanze.

Terza fermata: la consapevolezza, il tempo ritrovato e l’amplificazione della magia

Torniamo al presente. Videogiocare nel periodo di Natale da qui, a trent’anni navigati, diventa una sorta di bellissimo rifugio, da rievocare per tutto il resto dell’anno. I ritmi compressi iniziano a farsi lentamente più dilatati, e le ore che prima magari centellinavo nei momenti di ritaglio hanno più margine di manovra, anche se per pochi giorni. La scelta dei titoli assume un valore decisamente più importante: ci vuole la giusta consapevolezza per creare un mix di esperienze capaci di esaltare questo periodo magico.

Ultimamente mixo indie, o giochi dalle dimensioni contenute dal respiro più “fiabesco” (mi basti pensare allo scorso anno passato su “Lost in Random”) insieme a open world che non sono riuscito a gestirmi per tempo, capaci di immergere il giocatore in un contesto fortemente fantastico (e il pensiero qui vola su quei The Witcher 3 e Horizon, giocati clamorosamente fuori tempo massimo). Insomma, gli stimoli magici che arrivano dall’esterno devono risuonare con quello che lo schermo ti butta in pasto agli occhi. Tutto ciò che hai lasciato indietro a causa di forza maggiore devono trovare nel periodo natalizio il momento perfetto per farsi sotto, lontani mille miglia dall’ansia della misurazione del tempo. Anche il backlog, da scatola immaginaria piena di titoli che ti guardano con sguardo accusatorio (“non avrai mai tempo per tutti noi!”) diventa uno scrigno pieno di meraviglie da cui pescare in maniera incantata, guidati solamente dalla propria curiosità.
È un momento di esplorazione fatto di una tiepida serenità, in cui secondo dopo secondo ti rifocilli a suon di di sense of wonder. E poi beh, se non sei da solo in casa, come me, i momenti di condivisione non passano certo in secondo piano, con la partita a Switch Sports sempre dietro l’angolo. O dietro l’albero.

E dato che forse avanza pure tempo: ce n’è anche per riprendere dimestichezza con device che durante l’anno hanno preso più polvere del previsto, rinnovando l’entusiasmo per piccole – vecchie – novità. Come quel gioco in VR a cui non hai mai dedicato abbastanza tempo. È un rito preparatorio, in realtà: mi preparo al Natale dove so che incontrerò qualcuno che, data l’età, partirà sicuramente con il carosello di domande “come va il lavoro”, “ma il matrimonio?”, “un bambino, quando?”, e dopo il consueto dribbling, virerò la conversazione su quella passione che ormai, da videogiocatore consapevole e navigato, non vedo l’ora di condividere. Per raccontare di tutte le ultime piccole meraviglie che ho provato, vissuto e sperimentato, facendo capire che sì, anche se un pochino più stentatamente, quella mia passione è sempre lì. E tento di scoprire tutto quello che questo medium riserva con lo stesso entusiasmo negli occhi di quel bambino che scartava il suo primo Sega Mega Drive a sei anni.

Quarta fermata: curiosità oltre il tempo e l’ascolto di chi verrà dopo di noi

E non è certo finita qui. Dal presente vengo portato via, verso altri lidi. Arrivano altri modi di videogiocare, su età e periodi della vita che ancora non mi appartengono, ma che posso provare a immaginare beandomi dell’esperienza fatta osservando con attenzione chi mi è passato accanto. Perché magari, tra qualche anno, anche per me arriverà quel Natale lì, dove quando arriva dicembre inizierò a pensare a quale sia il gioco migliore con cui godere del mio tempo insieme a una versione un po’ più piccola di me. Conoscendomi, nel caso, proverò sicuramente a puntare agli estremi: qualcosa che ci permetta di rimbalzare da una parte all’altra della casa come scemi (con la console Nintendo di turno) e qualcosa che ci dia modo di vivere un’avventura più magica, pur semplice che sia, ma perfetta per farci brillare gli occhi allo stesso modo, pur guardando lo schermo da punto diversi della vita. Insegnando per bene, a chi ancora non lo sa, quanto belle possano essere le storie, quando le vivi da dentro. E aiutare me, nello specifico, a tornare sempre a quel senso di meraviglia che scopri da bambino e non ti si stacca più di dosso, mentre la neve fuori, se non è chiedere troppo, fa il suo lavoro con la scenografia.

In ultimo, in chiusura, c’è dell’altro, una visione che il fantasma dei Natali videoludici futuri ci tiene davvero a darmi prima di chiudere il sipario: l’ultimo stage. La fase in cui sarò magari io, dalla mia avanzatissima età, arrivato al livello 100 della vita (si spera con il massimo dei PV), a guardare qualcun altro farsi avanti per farmi scoprire qualcosa che mi sarò perso, o che non sono stato in grado di capire. Perché è certo che, anche se mi vedo già lì a giocare nonostante gli acciacchi e qualche limite cognitivo in più, la generazione che arriverà dopo di me avrà modo di ampliare i miei orizzonti, e portarmi lì, in posti che da solo non avrò magari le forze di scoprire. In quella che sarà la VR 4.0, il Metaverso Unlimited Edition, l’IA Generativa Iperpotenziale fra cui mi dovrò trovare a navigare, e per cui la mia sola curiosità non basterà più. E quale momento migliore del Natale?

Sarà il momento buono in cui, fra una chiacchiera e l’altra, sbircerò. Per cogliere il consiglio giusto, mentre mi concentro per osservare meglio e ragionare bene sullo scorrere del tempo. Non so cosa ne verrà davvero fuori. Ma sono certo che proverò a capire quanto il videogioco sia davvero cambiato, nel tempo. E credo che, ripercorrendo la mia storia di videogiocatore dall’inizio, mi accorgerò di come in fondo, nonostante il passaggio delle fasi della vita, nonostante sia cambiata spesso la sua funzione e il suo ruolo, questo media sia rimasto sempre, alla fine, la cosa meravigliosa che ho scoperto quel Natale, a sei anni, quando ho scartato un regalo che pensavo essere un regalo qualunque, ho estratto dal pacco quella prima console, e ci ho trovato dentro la chiave per viaggiare fra dimensioni, Natali e tempi diversi. Compreso il mio.