Combattere la quarantena con gli Open World e la VR

Come combattere la quarantena causata dal Covid-19? Con i videogiochi open world e la VR, un'ottima soluzione per chi in casa.

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a cura di Alessandro Tonoli

Sono settimane ormai che le mura domestiche delle nostre abitazioni sono diventate il confine ultimo del nostro mondo. Stare in casa è diventata una forma di prigionia anche per quelle persone che, non gli avessi detto niente, probabilmente non sarebbero uscite di casa per un mese di propria spontanea volontà. Ironia a parte, la situazione di reclusione domiciliare, con l’andare delle settimane, ha mostrato sempre di più le sue criticità. Si è passati da tutti gli step ormai: negazione, stordimento, incomprensione, accettazione, entusiasmo, e infine, com’era prevedibile, l’estenuazione.

In questo frullatore di emozioni ogni strumento di evasione ha iniziato ad acquisire sempre maggiore importanza. I nostri divertimenti, i nostri hobby, sono passati da semplici scacciapensieri a vere e proprie ancore di salvezza. Di questi fanno parte film, serie Tv, libri. Ogni media capace di intrattenerci si è riuscito a ritagliare maggiori parentesi di importanza nelle nostre vite, sostenuti anche da una serie di messaggi statali che ne incitano la fruizione. Tra questi ci sono anche i videogiochi.

C’è voluta una pandemia globale, sì, prima che l’attenzione pubblica e mediatica si concentrasse sugli effetti positivi dei videogiochi, più che su quelli negativi. Non ci si aspetta certo cambiamenti sul lungo periodo, l’idea che smuove questo improvviso cambio di rotta filosofica, più che basarsi su una ponderata valutazione, è quella di fare di necessità virtù.

In ogni caso l’incontrastabile verità è una: i videogiochi sono, oltre che un fantastico strumento per tenerci in contatto, anche un efficientissimo modo per avere la sensazione di evadere dalle mura delle nostre case, un po’ più concretamente rispetto a quanto permesso dagli altri media (date principalmente la proprietà interattive). Di videogiochi come sappiamo però è pieno il mondo, gli store digitali sono sovraffollati di prodotti tra cui scegliere, divisi per vari generi. Quali fra questi sarà il più adatto per il periodo?

Più che focalizzarci esclusivamente sul genere o sul prodotto specifico abbiamo decisione di proporvi quelle che per noi sono due delle modalità di gioco che possono arrivare davvero a fare la differenza, abbassando, anche se di poco, la sensazione di non poter partecipare ad un mondo. Stiamo parlando del genere open world, e della realtà virtuale.

Open world, tra vita pulsante, noia e scoperta

Più che descrivere perché un open world sia la scelta giusta per questo periodo, basterebbe soffermarsi sul suo titolo di categoria, o sarebbe persino più semplice riempire questo articolo di screenshot o di piccoli video.

L’open world: il mondo aperto, il mondo vivo e vibrante di cui oggi non possiamo godere per intero. Non parliamo di quegli open world che acquisiscono questo titolo solo in virtù delle loro grandi mappe visitabili (seppur ricche di dettagli), no. Parliamo di quei mondi vividi, capaci di farsi visitare instaurando nell’utente l’idea di un viaggio vero e proprio. Che sono capaci, anche senza una narrativa principale attiva, di dare vita ad un racconto, stimolando il giocatore con brevi frammenti della “vita” del mondo stesso. Ambienti in grado di raccontarsi facendo leva sulla qualità degli elementi sensoriali che inviano. Che siano semplici linee di testo di un png apparse mentre gli stiamo scorrazzando di fianco, cambiamenti climatici, il frusciare della vegetazione, o improvvisi accadimenti trovati sul percorso, l’importante è che questi mondi siano in grado di offrici attimi di vera e propria (e improvvisa, aggiungiamo) scoperta.

La capacità del titolo deve essere quella di portarci a “deviare” la nostra attenzione, lasciandoci soffermare su una sua particolarità espressa. Il nuovo soggetto verrà approfondito non per via della palese richiesta del gioco stesso, quanto più per la sua reale proprietà di affascinare, e la sua capacità di dare vita ad un racconto personalizzato che in quel momento si sviluppa tra utente e gioco. È la vividezza di questi mondi a fare la differenza. E la sottile percezione che tutto si muova indipendentemente da noi; che tutto esista non solo in funzione del nostro passaggio in quell’area. Mentre ci spostiamo nell’area questi titoli devono saperci raccontare il loro mondo tramite dei frammenti che si aggiungono l’uno sull’altro, fino a dare vita ad una globalità di contenuti che crea una pulsazione vitale. Un esempio calzante è la pesantezza della cavalcata del mondo di “The Witcher 3”, mentre la ricchezza della vegetazione di contorno si muove in concerto con il tempo atmosferico.

Altra grande caratteristica di questi titoli è legata al concetto stesso di “momento morto”. Quante volte ci è capitato, tra una quest e l’altra, di incappare in uno di quei momenti in cui non sappiamo esattamente cosa voler fare. Potremmo benissimo tirare dritto seguendo il puntatore sulla mappa, ma non ce la facciamo. Qualcosa in quel momento (magari un pizzico di noia), fa restare l’utente in stallo. Poi di colpo, dopo quel breve momento, si arriva a seguire il primo punto di vivida attenzione che il mondo di gioco offre con curiosità.

La noia d’altronde è l’attimo che sta prima della creatività, ed è necessario viverla. Sosteneva il filosofo Bertrand Russell (“Una generazione che non riesce a tollerare la noia è una generazione di uomini piccoli, nei quali ogni impulso vitale appassisce”), e l’hanno dimostrato gli esperimenti della dottoressa Sandi Mann in ambito psicologico: la noia è la benzina necessaria alla creatività della mente. È una caratteristica fondamentale della vita stessa.

L’open world riesce a ricreare questa condizione. Permette di sperimentare la giusta noia, e la incanala in attimi di scoperta eccitanti, grazie alle miriadi di Poi (point of attention) di cui è composto. L’offerta è così vasta che nemmeno chi l’ha programmato potrebbe immaginare tutti gli usi e le attenzioni che i giocatori potrebbero riservare ai vari dettagli di gioco. A pensarci bene, quando mettiamo le mani su un titolo del genere, vien quasi il rimorso per non avere né l’attenzione sufficiente, né il tempo fisico materiale, necessari a concedere ad ognuno di questi dettagli la giusta attenzione che merita. Vi siete mai fermati dentro una qualunque casa di un png ad osservare i quadri che stanno sulle sue pareti? Ecco perché l’open world è uno dei giochi perfetti per questo periodo. Perché, come il mondo fisico, ci concede la possibilità di buttarci sulle piccole curiosità di cui è composto, alternando noie a momenti di sano entusiasmo.

Realtà virtuale, piccoli mondi, attimi personali

Ci allontaniamo dal concetto di genere videoludico per addentrarci ora in quello che, più che un sottogenere, ricopre il ruolo di vero e proprio medium a sé stante. La realtà virtuale infatti fa scuola a sé. Non è così difficile immaginare, anche in questo caso, perché la realtà virtuale sia uno dei metodi più indicati per sfuggire alla sensazione di prigionia provocata dalle mura domestiche. Inserendo la testa nel visore abbiamo la possibilità di accedere ad un vero e proprio mondo alternativo, che si distanzia profondamente dalle caratteristiche del videogioco classico in quanto porta in sé una proprietà distintiva, ovvero: la sensazione di presenza. La realtà virtuale non ci fa partecipare ad un altro mondo, la realtà virtuale ce lo fa letteralmente indossare. Si ha la sensazione netta di “essere da un’altra parte” (per la raccolta degli studi potete trovare maggiori dettagli in questo ebook). Nelle brevi pause che sarà necessario fare durante le sessioni di gioco, ogni volta che ci sfileremo il casco, avremo l’impressione di essere “sbarcati”, passati nuovamente da un mondo ad un altro.

Diversamente dall’open world in questo caso non è tanto la vastità del mondo, o la sua capacità di offerta, ad essere motivo di distinzione ed interesse, né la sua pulsante vividezza: la caratteristica che la rende irrinunciabile per questo periodo è la capacità di far percepire ogni secondo passato nel gioco come interamente “nostro”. Mai, come con questo medium, sarà così forte la tentazione di lasciar perdere lo scorrere degli eventi a cui il gioco ci vorrebbe condurre per dedicarci a noi, al momento di cui abbiamo bisogno. Anche qui è la curiosità a fare buona parte del lavoro. Noi siamo la telecamera, e tramite il nostro spostamento (corporeo) possiamo girare per lo scenario con la sguardo mettendoci magari in punta di piedi per tentare di guardare al di là di una recinzione (vedendo magari particolari che in quel momento il gioco non era intenzionato a metterci al centro dell’attenzione), o accovacciandoci per andare sempre più vicino ai dettagli degli oggetti, scoprendone così le varie sfaccettature. I point of attention, in questo caso limitatissimi, sono creati direttamente dall’utente, contrariamente all’open world che ne sviluppa a trilioni per offrirne ampia scelta al giocatore.

Per condurre l’utente al “suo” momento, l’altra grossa fetta del lavoro viene svolta dalla sensazione di presenza. Avendo la percezione di essere realmente in un altro luogo prendersi qualche momento per sé è una razione assolutamente naturale: come resistere al fermarsi sotto una grande quercia, mentre la colonna sonora coreografa il momento, osservando per qualche minuto il vento muovere la pianta, mentre foglie rosse d’autunno ci volano intorno? Si potrebbero passare così minuti e minuti. E tutto ciò non avrebbe nulla a che vedere con il videogioco. Il vero gameplay è l'esperienza. Il vero gameplay della realtà virtuale è l'esistenza che decidi di cogliere.

Una bellezza, quella della realtà virtuale (ancora contrariamente rispetto all’open world) irriproducibile mediante qualunque tipo di screenshot o video. La realtà virtuale, in comune con la realtà, condivide anche il fatto di riassumere male, nelle sue fotografie, il reale impatto di un determinato scenario. Molte volte risulterà imbarazzante trovarsi a constatare che la bellezza che pensavamo di aver immortalato nello screen non è neanche minimamente paragonabile all’impatto che lo stesso posto aveva nel momento in cui noi gli eravamo dentro.

Se dovessimo porre in risalto una caratteristica di questo medium la sua arma letale sarebbe sicuramente la sua capacità di esponenzializzare la potenza di ogni momento. Diversamente dall’open world, e in maniera anzi opposta, non è la vastità dell’ambiente a rendere questo medium incredibile, quanto la sua capacità di frammentare uno spazio anche minuscolo, in centinaia di piccoli punti di attenzione. Similarmente a quello che ci viene richiesto di fare nelle nostre case in questi giorni, sì. Ma con la possibilità di farlo tra mille altri mondi.

Sarebbero in realtà molte di più le caratteristiche di questi due macro esponenti delle interattività videoludiche che ci piacerebbe comunicarvi; come sarebbero certamente di più i generi videoludici, o i medium, capaci di rendere questi giorni di prigionia più leggeri, veri e propri momenti di accrescimento personale. Questo articolo ha voluto semplicemente essere la miccia capace di ridestare attenzione e curiosità su questi mondi a portata di TV. Per chi non l’avesse ancora fatto, per chi era da un po’ che non lo faceva, fino a che il mondo non riaprirà i battenti, e senza preoccuparsi di alcuna autodichiarazione, vi consigliamo decisamente di fargli una bella visita.