Death Stranding a Gamescom 2019: fragilità del corpo

Death Stranding si mostra alla Gamescom Opening Night Live, calcando sul collegamento tra i personaggi, le dimensioni e la fisicità.

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a cura di Alessandro Palladino

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Durante l’ottimo Opening Night Live di Gamescom 2019 non sono di certo mancati annunci e sorprese, più o meno svelate nel corso delle settimane precedenti. Tra le personalità più in vista di questa edizione ha fin da subito spiccato il nome di Hideo Kojima, atteso da moltissimi fan e appassionati smaniosi di saperne di più sull’imperscrutabile Death Stranding.

Nonostante sia ormai in dirittura d’arrivo per la conclusione dello sviluppo del gioco, il famoso game designer si è concesso una breve pausa per presenziare alla cerimonia d’apertura della kermesse di Colonia, introdotto sul palco dall’amico Geoff Kingsley, il conduttore della serata. Senza troppi indugi e grazie alla presenza di un traduttore non proprio contento di dover parlare di urina, abbiamo osservato alcuni filmati di Death Stranding che hanno rivelato nuove informazioni sui personaggi chiave, il mondo di gioco, le interazioni con esso e lo scopo principale della missione di Sam.

In Death Stranding il tema delle connessioni è chiaramente al centro di tutto l’immaginario elaborato da Kojima e, non a caso, tutti i personaggi che ci vengono presentati in questi brevi filmati sono posti in situazioni che sottolineano come tale concetto astratto possa manifestarsi fisicamente grazie alla dualità tra la dimensione reale e quella degli “arenati”.

Heartman, ad esempio, ci è stato mostrato come un uomo costantemente collegato fisicamente alle macchine che lo tengono in vita, possedendo al contempo un legame interdimensionale che lo porta costantemente “dall’altra parte” per cercare la famiglia perduta, morendo momentaneamente nel mondo reale. Un quadro umano simile va ad annichilire i concetti base della nostra esistenza, lasciando un forte messaggio etico a favore di uno scopo più impellente da svolgere nella morte intesa come “ancoraggio” nell’altra terra. Questo trasforma la vita di quest’uomo in un impedimento alla ricerca della sua felicità, rappresentata dai legami con i suoi cari.

Se Heartman incarna questo specifico aspetto della filosofia rappresentativa dell’altra dimensione di Death Stranding, la nuova presentazione di Mama ci dice esattamente l’opposto. Ella è infatti una madre che ha dato “luce” a una bambina fantasma. Non sappiamo ancora come ciò sia potuto succedere, tuttavia la sua condizione è così particolarmente fragile da non permettere alla donna di muoversi dal suo luogo. Infatti a lei è collegato un etereo cordone ombelicale che trattiene la bambina, permettendo a quest’ultima di nutrirsi come qualunque neonato nonostante l’assenza di fisicità.

Anche qui, la morte e la vita danzano sul metafisico attraverso azioni e condizioni che estraniano il giocatore, facendolo però al tempo stesso riflettere sulla natura della calamità alla mano e dell’essenza umana. Il grembo materno, l’allattamento e il cordone ombelicale sempre connesso sono concetti che palesano l’intenzione di Kojima di giocare sulla fragilità delle azioni più comuni e scontate, trasformandole in qualcosa di più senza però allontanarsi troppo dalla concretezza delle loro funzioni.

Rientra in questo aspetto anche l’importanza della fisicità dei personaggi e dell’utilizzo (nel gameplay o nelle cinematiche) del loro corpo. Niente che non sia stato comunque già esplorato in Metal Gear Solid, tuttavia Death Stranding si pone come un passo in avanti più deciso e coraggioso, puntando tutto sull’idea e meno sull’azione vera e propria. Non a caso, l’agente che spesso interagisce con i protagonisti è proprio l’elemento invisibile, il fantastico o l’incomprensibile, utilizzando il corpo umano come mezzo di comunicazione per l’ignoto. Un concetto molto simile alle dinamiche con gli alieni di Arrival, film che Kojima ha più volte citato e apprezzato.

A onor di quanto detto finora, Deadman interpretato da Guillermo Del Toro ci porta proprio un’altra prospettiva sulla maternità di Death Stranding, quella più distaccata e misteriosa del Bridge Baby affidato a Sam. Ci viene infatti spiegato dall’avatar del famoso regista che il bambino che portiamo nel Pod è stato allontanato dalla Still Mother e che essa si trova a Capital Knot City insieme alle altre.

Quando parliamo di Still Baby si intende che un bambino sia morto prima del parto, o poco prima. Un accadimento orrendo e che, in realtà, potrebbe essere accaduto proprio a Mama, la quale quindi rappresenterebbe il forte legame tra una madre e un bambino perso pre-parto. Ma se fosse la madre a morire? Questo è quello che si intenderebbe con Still Mother, anche se Deadman afferma che la mamma di BB non è proprio “morta”, piuttosto è solo il suo cervello a esserlo. Potremmo ipotizzare che, in qualche modo, lei o la Still Mother sia o siano in vita grazie a qualcuno che si assicura che rimangano tali al fine di poter utilizzare i BB.

Quest’ultimi, oltretutto, non sono più visti come bambini e vengono quindi declassati a mero equipaggiamento, come sottolinea Deadman senza troppi problemi. Nel gioco dovremo cullare BB e assicurarci che sia felice, ma puramente perché esso sarà uno strumento fondamentale per assicurare la nostra sopravvivenza. Ognuno di essi ha poi una durata ben precisa ed hanno bisogno di ricariche continue per evitare che si decompongano per colpa dell’effettiva assenza del grembo materno, solamente simulato dal pod.

Come è ovvio, la presentazione di Deadman ci lancia solo qualche indizio sul rapporto tra Sam e il suo feto portatile, magari lasciando ulteriori collegamenti per il prossimo Tokyo Game Show. Prima di andarsene però, Hideo Kojima ci ha mostrato una moderata sessione di gameplay che vale la pena osservare con attenzione, soprattutto perché ci elenca alcuni dettagli molto importanti sul mondo di gioco.

La prima cosa che vediamo è Sam orinare sull’erba come farebbe qualsiasi essere umano sperduto in mezzo al nulla più totale. Oltre alla bizzarria di averla integrata nel vero e proprio sistema delle interazioni, tanto da usarla come arma volendolo, l’urina è solamente uno degli altri elementi che caratterizzano il modo in cui il giocatore si approccia psicologicamente all’alter-ego di Death Stranding, utilizzando le azioni quotidiane come meccaniche/dinamicità di gioco per creare un’esperienza vicina alla realtà. Ciò non si esprime tanto a livello visivo quanto nella funzionalità dell’anatomia umana, trovando riscontro dell’elemento naturale in meccaniche virtuali.

Ma Death Stranding ci mette il carico da dodici e usa l’urina di Norman Reedus per dirci che in realtà il mondo è condiviso e che se tutti decidiamo di farla su un singolo fungo, allora quel fungo riserverà qualcosa di speciale per tutti i giocatori. La spiegazione è stata un po’ confusa, soprattutto perché il traduttore doveva chiarirci che non potremo in alcun modo vedere la parte più scoperta del noto attore, ma è stato certamente alluso che questa meccanica fa parte del misterioso comparto multiplayer del gioco.

Passando oltre, il caro Geoff ci accoglie all’interno del gioco in veste di un NPC secondario appartenente a una categoria di persone che sono rimaste isolate in quelli che sembrano bunker. Quest’ultimi ci chiederanno dei favori che, se risolti, permetteranno a Sam di stabilire delle connessioni con i loro avamposti, ancorandoli alla mappa di gioco come punti fissi. Non è stato rivelato molto altro sulle funzioni dei bunker o sulla loro quantità, tuttavia Kojima ci ha assicurato che Geoff Kingsley non sarà l’unico cameo del gioco e che varrà decisamente la pena esplorare il mondo per trovarli tutti.

Al netto delle informazioni, quanto visto alla Gamescom è solamente un piccolo assaggio prima del Tokyo Game Show. Bisogna però stare attenti a non farsi troppe illusioni: Hideo Kojima ha intenzione di mantenere la segretezza assoluta su Death Stranding al fine di lasciare al giocatore il compito di scoprire, in prima persona, ciò che sta succedendo nell’America da lui immaginata. Al netto di quanto visto finora il quadro si sta facendo via via più limpido, ma permane comunque quell’alone di mistero che tanto ci affascina e incuriosisce.

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