Il ritorno di Dragon Quest VII rappresenta un momento cruciale per i fan dei JRPG. Parliamo probabilmente del capitolo più imponente, discusso e, per certi versi, divisivo dell'epopea creata da Yuji Horii. Con l'operazione Reimagined, Square Enix non si è limitata a un semplice porting, ma ha promesso una ristrutturazione totale per portare l'Odissea dei Frammenti del Mondo su tutte le piattaforme attuali e future, incluse PC, PS5, Xbox Series X|S, Switch e l'imminente Switch 2.
Ho passato circa novanta minuti in compagnia di questa nuova incarnazione, suddivisi in due sessioni distinte, con l'obiettivo di rispondere a una domanda fondamentale: basta un nuovo vestito scintillante per nascondere le rughe di un design vecchio di vent'anni? La sensazione che mi è rimasta addosso è agrodolce: un conflitto costante tra occhi estasiati dalla bellezza visiva e un feeling pad alla mano che fatica a nascondere la sua età.
Una direzione artistica vibrante
Se c'è un aspetto su cui Dragon Quest VII Reimagined vince a mani basse, è la sua identità visiva. Il team di sviluppo ha accantonato il cel-shading visto nell'undicesimo capitolo o le proporzioni "chibi" del remake per 3DS per abbracciare uno stile audace, quasi tattile.
I personaggi iconici di Akira Toriyama hanno guadagnato una tridimensionalità inedita, che simula materiali realistici. Osservando i modelli poligonali, si ha l'impressione di guardare delle action figure di pregio o delle bambole di porcellana animate: la pelle ha una finitura opaca, i tessuti sembrano ruvidi e pesanti, le armature riflettono la luce in modo credibile. È una scelta che dona una "gravità" e una presenza scenica ai protagonisti che non avevo mai riscontrato prima nella serie.
A fare da contorno a queste "bambole vive" c'è un mondo di gioco trattato come un prezioso diorama. L'uso sapiente della profondità di campo e dell'effetto tilt-shift trasforma foreste, città e dungeon in meravigliose miniature. Durante la prima parte della mia prova, mi sono ritrovato più volte a fermarmi solo per ruotare la telecamera e ammirare i dettagli di questo piccolo universo in scatola. È un'operazione di modernizzazione intelligente, che riesce a rendere attuale un design classico senza snaturarlo.
Interfaccia
Il lavoro di restyling ha toccato anche l'interfaccia utente (UI). Addio alle classiche finestre nere spartane: ora i menu sono presentati su eleganti pergamene, con font chiari e animazioni fluide che rendono la navigazione piacevole alla vista e all'udito.
Tuttavia, grattando sotto la superficie estetica, emergono le prime criticità di design. Quando nella seconda parte della demo ho avuto accesso a un inventario più corposo, la gestione dell'equipaggiamento si è rivelata farraginosa.
Il gioco mostra chiaramente le variazioni numeriche di Attacco e Difesa, ma è sorprendentemente reticente sui dettagli secondari. In un titolo come Dragon Quest, dove resistenze elementali e immunità agli status sono vitali, non avere icone chiare o indicazioni immediate nel menu di equipaggiamento rapido è un problema. Essere costretti a navigare nei sottomenu descrittivi per scoprire se uno scudo protegge dal fuoco o se un accessorio previene il sonno è una macchinosità che stona con gli standard moderni di "Quality of Life", specialmente in un'avventura che promette una longevità secolare.
Un gameplay ancorato al passato
Le perplessità maggiori, però, riguardano il ritmo degli scontri. Nessuno chiedeva a Dragon Quest VII di diventare un action RPG, ma la fedeltà alla tradizione qui rischia di trasformarsi in un'arma a doppio taglio. Il combattimento a turni classico soffre di una certa stagnazione, evidente soprattutto nelle boss fight. Nella mia prova ho affrontato un boss di fine dungeon visivamente appagante, ma ludicamente estenuante.
Ci siamo trovati di fronte a nemici con una riserva di HP smisurata che non richiedevano alcuna strategia particolare se non la pazienza. Per oltre dieci minuti, lo scontro si è appiattito su un loop meccanico: attacco, magia elementale, cura. Nessuna variazione, nessuna interazione ambientale, nessuna fase che richiedesse un cambio di approccio.
Speravo in un guizzo nella seconda sessione, con un party più avanzato e un boss più minaccioso. Sebbene quest'ultimo presentasse una sorta di "modalità furia" a metà scontro e una variazione delle debolezze, la sostanza non è cambiata molto.
L'incremento di difficoltà si è tradotto banalmente in un nemico che attaccava due volte per turno facendo più danni, costringendomi a curare più spesso ma senza stimolarmi a ripensare la mia strategia. Manca quella tensione tattica che caratterizza i JRPG moderni, dove ogni turno è una scelta di vita o di morte. Qui, il rischio è che la noia subentri ben prima della fine, un pericolo concreto per un gioco che supera agilmente le 100 ore di durata.
Tirando le somme
Uscito dalla prova, Dragon Quest VII Reimagined mi appare come un gigante bellissimo ma dai movimenti legnosi. L'esplorazione è deliziosa, la raccolta dei frammenti mantiene il suo fascino da puzzle globale e la colonna sonora riarrangiata è emozionante. Tuttavia, il confronto con esponenti contemporanei del genere a turni (da Persona 5 al recente Metaphor: ReFantazio) è impietoso sul fronte del ritmo e del dinamismo.
I puristi troveranno in questa riedizione il "solito" Dragon Quest, reso splendido dalla nuova veste grafica. Ma per tutti gli altri, la struttura dei boss e la ripetitività di fondo potrebbero rappresentare uno scoglio difficile da superare. Resta la speranza che la versione finale offra scontri più variegati e stimolanti nelle fasi avanzate; in caso contrario, il rischio è di trovarsi di fronte a un capolavoro di stile intrappolato in meccaniche che sentono tutto il peso dei loro anni.