Hades: la morte come chiave per il successo

La morte, in giochi come Hades, assume un significato totalmente nuovo rispetto ai canoni classici dei videogiochi.

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a cura di Antonio Rodofile

Fin da quando prendiamo in mano il nostro primo pad, impariamo subito che morire in un videogioco equivale alla fine. Il game over è il momento in cui i nostri progressi si arrestano e dobbiamo ricominciare da capo. Nei giochi di avventura come Uncharted o The Last of Us dobbiamo ripercorrere la strada fatta dall’ultimo checkpoint, nei Dark Souls perdiamo le anime, diventando impossibilitati a migliorare il nostro personaggio e nei titoli più classici perdiamo le vite fino a rimanerne senza.

Tuttavia, questo paradigma punitivo sta subendo un’inversione di tendenza e, negli ultimi anni, giochi come Hades hanno iniziato a premiare la nostra morte. Dopo ogni sconfitta, infatti, torniamo più forti, con equipaggiamento migliore e potenziamenti permanenti. Morire diventa non solo una cosa naturale, ma anche necessaria. Allo stesso modo, la sconfitta smette di essere frustrante ma porta al giocatore addirittura una sensazione di piacere che viene quasi attesa durante ogni run.

La morte nei videogiochi nell’accezione classica

In base al nostro anno di nascita, abbiamo sicuramente iniziato la nostra carriera videoludica con un approccio diverso ma, in qualche modo, simile. Che si trattasse di Street Fighter o Arkanoid su un cabinato, di Super Mario sulle prime Nintendo o di Crash Bandicoot su PlayStation 1, gran parte dei giocatori sono cresciuti con lo stesso approccio: morire fa schifo.

In tutti i titoli dalle origini del mondo videoludico, fino ai primi anni del 2000, infatti, morire in un videogioco segue degli schemi simili. Il “game over”, con la classica schermata nera, è infatti l’incubo dei giocatori. Indica che abbiamo terminato le vite a nostra disposizione e che dovremo ricominciare da capo, quantomeno il livello nel quale ci siamo arrestati

Questo sistema delle vite, che ci permette di resuscitare un numero limitato di volte prima del “game over”, viene abbandonato con il proliferare delle console. Il poter giocare da casa, infatti, inizia a cozzare con il volere dei giocatori che sono alla ricerca di esperienze più durature e profonde. Per questo motivo, arrivano i salvataggi e i checkpoint.

Grossomodo ogni titolo dal 2000 in poi, infatti, segue questo schema. La morte rimane una punizione, una sconfitta dalla quale, tuttavia, subiamo minori conseguenze. Sia in titoli datati come Metal Gear che in giochi più recenti come The Last of Us, infatti, finire sconfitti continua a indicare la fine della partita. Tuttavia, invece di avere un numero limitato di tentativi, potremo riprovare gli scenari tutte le volte che vogliamo. Per conservare i nostri progressi e non dover rifare lunghe sessioni di gioco, basterà ricordarsi di salvare la partita o raggiungere un checkpoint che lo farà per noi.

Pur diventando meno punitivo, il sistema dei salvataggi continua a rendere la morte un evento potenzialmente frustrante per il giocatore. Il rischio e quello di finire a ripetere lo stesso scenario ancora e ancora per decine di volte senza imparare nulla se non ripetere lo stesso schema di azioni fino a quando non riusciremo, finalmente, a superare l’ostacolo e andare avanti.

Hades: Un nuovo paradigma per la morte nei videogiochi

Nel corso degli ultimi anni, invece, l’approccio alla morte nei videogiochi ha subito un’inversione di tendenza. Titoli come Hades, Deathloop e Death Stranding finiscono non solo per normalizzare l’azione della sconfitta ma, addirittura, offrono ricompense o conseguenze originali ad ogni fallimento.

Prendiamo come esempio Hades, il quale è probabilmente il più rivoluzionario tra i titoli citati. Nel gioco di Supermassive Games, infatti, morire restituisce al giocatore una sensazione che potremmo addirittura definire piacevole. Ogni sconfitta è un passo sostanzioso verso la fuga dall’Ade. Il titolo, infatti, ci mette nei panni di Zagreus, figlio del sovrano dell’oltretomba, che ha deciso di tentare una fuga dagli inferi.

Come ogni roguelike che si rispetti, Hades mette in scena questa fuga facendoci attraversare un’enorme mole di stanze colme di nemici e boss diversi che sbarrano il passaggio tra i piani del regno dei morti. Le camere, generate proceduralmente, ci offrono anche delle ricompense valide per la singola run oppure utilizzabili dopo la nostra inevitabile morte.

La peculiarità di Hades, infatti, sta proprio in questo. Fino a quando non moriamo possiamo utilizzare elementi come le monete e i doni degli dèi per potenziarci e affrontare le sfide. Tuttavia, al momento della sconfitta, tutti questi upgrade vanno irrimediabilmente persi. Invece di tornare totalmente al punto di partenza, però, il titolo ci permette di conservare alcuni oggetti come l’oscurità, il sangue dei Titani, le chiavi e simili che ci permettono di migliorare permanentemente Zagreus e le sue armi. In una sorta di loop infinito di sconfitta e rinascita, infatti, il protagonista è riportato ogni volta nella sala centrale del palazzo di Ade. Qui, oltre a trovare molti volti amichevoli come Achille, Nyx e Morfeo, il figlio di Ade può sfruttare questi oggetti per potenziare le proprie statistiche in modo permanente.

Dato che questi potenziamenti sono disponibili solo nelle camere di Zagreus, dunque, morire in Hades diventa l’unico modo per affrontare le run successive con delle abilità superiori. Inoltre, i miglioramenti non sono disponibili se non dopo una serie di sconfitte. È così, dunque, che le prime sei o sette ore di gioco vanno impiegate in un costante morire per rinascere e migliorarsi. Raggiungere i primi boss, in queste fasi, è già un’impresa degna di nota e porta grande soddisfazione prima dell’inevitabile martirio subito da un ancora non abbastanza forte Zagreus.

Hades e la celebrazione della morte

A questo punto, avremo raggiunto circa una decina di ore di gioco su Hades. Zagreus sarà molto più forte e riusciremo a raggiungere i campi Elisi a praticamente ogni run. Il titolo di Supermassive Games ci ha dato una lezione importantissima. Tutte le sconfitte che abbiamo subito nelle prime ore non sono altro che una preparazione al viaggio, una sorta di addestramento alle insidie che il mondo dei morti ci pone davanti. Avremo imparato i meccanismi che regolano i diversi piani, i moveset dei boss che li proteggono e sapremo destreggiarci tra le ricompense che le varie stanze hanno da offrirci.

Tuttavia, Hades ha ancora molto da offrire e, se da una parte saremo in grado di arrivare vicini al nostro obiettivo, dall’altra abbiamo ancora molto da scoprire. Proprio per questo continueremo ad affrontare i boss con armi diverse, saremo sconfitti più e più volte, torneremo al palazzo dove Ade ci inviterà con crudeli sbeffeggiamenti a rinunciare alla nostra impresa. Tutto questo, però, sarà sempre finalizzato ad una continua scoperta.

Insomma, la vittoria finale, in Hades, passa quasi in secondo piano. Essa viene infatti sostituita da un costante desiderio di ricerca che si può raggiungere soltanto ripetendo più e più volte il nostro viaggio fino al momento in cui non avremo scoperto ogni segreto che il gioco ha da offrirci.

Hades: Il racconto attraverso la sconfitta

Oltre a potenziarci, infatti, la morte in Hades serve a farci scoprire la lore di gioco. Con uno stratagemma narrativo davvero azzeccato, Supermassive Games ha nascosto le informazioni di trama dietro ogni sconfitta di Zagreus.

Sotto forma di appunti in un diario, infatti, l’eroe conserva tutto ciò che ha appreso durante i suoi viaggi. Queste informazioni si sbloccano interagendo con i personaggi che incrociamo durante il cammino. Che si tratti dei residenti nel palazzo come Hypnos, Cerbero, Dusa e Achille o degli dèi olimpici che ci aiutano durante le run, Zagreus dovrà parlare con chiunque per raccogliere le informazioni. Hades, tuttavia, non consente di interagire più volte con gli NPC. Di conseguenza, per sbloccare tutti i dettagli su alleati e avversari, dovremo morire molteplici volte e incontrarli ripetutamente.

Tutto questo, invece di diventare frustrante, contribuisce a dare ad Hades un fascino della scoperta ancora più grande. Il mondo di gioco e i personaggi sono ben costruiti e il giocatore sarà portato ad interagire con chiunque senza nemmeno rendersene conto. Gli sviluppatori, infatti, hanno inserito molteplici linee di dialogo che rendono praticamente impossibile annoiarsi durante le interazioni con gli NPC.

Se andiamo a tirare le somme di questa riflessione, dunque, risulta evidente come il paradigma di morte come punizione possa essere totalmente abbandonato. Hades, come molti altri titoli simili, ci lascia una vera e propria lezione di vita: da ogni sconfitta nasce del buono e, perseverando, possiamo raggiungere i nostri obiettivi.