Hwaet! The Vercelli Book Saga | Intervista al team di sviluppo

La recensione del gioco mobile Hwaet! The Vercelli Book Saga e l'intervista a parte del team di sviluppo e

Avatar di Francesca Sirtori

a cura di Francesca Sirtori

Una ennesima dimostrazione che il connubio videogiochi - cultura è possibile e che questo medium possa anche essere in grado di veicolare importanti insegnamenti per i fruitori è dato da un nuovo progetto tutto italiano. Per rendere fruibile il patrimonio culturale presente a Vercelli, è stato progettato il gioco mobile Hwaet! The Vercelli Book Saga, un videogioco ideato in collaborazione con il CNR Istituto per le Tecnologie Didattiche -Palermo anche in seguito alla pandemia di covid-19 che non ha consentito l'accesso al museo di Vercelli e che ne ha di conseguenza cambiato anche le modalità di fruizione. Abbiamo provato questo breve titolo nella sua versione Android, di cui vi raccontiamo di seguito la nostra esperienza, approfondendola a seguire con l'intervista a due persone che hanno partecipato alla realizzazione del gioco dal titolo così particolare. Hwaet è infatti un termine preso in prestito dalla lingua anglosassone usato nelle esclamazioni per dire "cosa", dunque cosa ci attende in questo viaggio nel tempo?

Hwaet! The Vercelli Book Saga, un salto nel passato per conoscere il presente

L'obiettivo di Hwaet! The Vercelli Book Saga è quello di intrattenere, raccontare una storia, ma soprattutto coinvolgere i giocatori in un'esperienza dal linguaggio e dalle caratteristiche, emozionarli e accompagnarli in un universo complesso e sfaccettato. Il Vercelli Book, manoscritto anglosassone della fine del X secolo conservato nella Biblioteca Capitolare di Vercelli, ha avvantaggiato il concretizzarsi di tutto questo. Il Vercelli Book, testimone chiave della letteratura anglosassone, nonché ponte tra passato e presente, è diventato il soggetto perfetto per la trama di questo videogame, o meglio serious game, per ritrovare una nuova dimensione del tempo e dello spazio.

La storia si ambienta in un paesino inglese nel 1076, dove in un convento la giovane sorella Eve si trova involontariamente coinvolta in una catena di eventi che la condurrà alla scoperta di fatti straordinari, sulle tracce di un misterioso manoscritto. Dal convento di Wilton avrà inizio un viaggio, fisico quanto spirituale, per ritrovare il famoso Vercelli Book ed evitare che le nefaste profezie di Santa Edith si avverino, tra elementi metafisici, onirici e nuove tappe che sono state man mano aggiunte nel tempo, tramite appositi aggiornamenti, di cui Canterbury è solo una delle prime. Non vi anticipiamo quali sono quelle successive per non dare spoiler eccessivi, ma ricordiamo che si tratta prettamente di un gioco dal notevole spessore culturale, indicato dunque in primis per gli appassionati di storia.

Da un punto di vista tecnico probabilmente Hwaet! The Vercelli Book Saga non è il massimo della fluidità e dell'accessibilità: strutturato in maniera abbastanza elementare e di facile apprendimento, non sono troppo comodi i comandi per muovere i personaggi e per passare dal gioco al menu, rendendo questi comandi (a prescindere dal modello di device) abbastanza scomodi da eseguire. Inoltre lo spazio di movimento degli stessi risulta essere inquadrato in maniera abbastanza ridotta, dunque rimane di per sé un titolo che, dal punto di vista qualitativo dell'interfaccia tecnica, risulta non al massimo della resa, ma ricordiamo che il focus principale di questo gioco sta nel suo contenuto, di cui andiamo ad approfondire alcuni aspetti nell'intervista a seguire.

Intervista a Silvia Faccin e Giuseppe Città

Per comprendere meglio cosa c'è dietro la realizzazione di questa esperienza videoludica, abbiamo intervistato Silvia Faccin, Project manager del progetto e Conservatore Manoscritti e Rari della Biblioteca Capitolare di Vercelli, e Giuseppe Città, writer di Hwæt! The Vercelli Book Saga e ricercatore ITD del CNR.

Raccontateci qual è il vostro ruolo nel progetto Hwaet! The Vercelli Book Saga, come siete stati coinvolti e la vostra esperienza finora.

Silvia Faccin: L’idea è nata nel 2019. Per la Fondazione Museo del Tesoro del Duomo e Archivio Capitolare di Vercelli è stato un anno particolare, in cui è sorta la rete MUVV - Musei di Vercelli e Varallo. In questa occasione abbiamo potuto avvalerci della consulenza di professionisti esterni e dare forma ad un progetto che avevamo in mente da tempo, dedicato all’audience engagement, ma soprattutto per offrire a chi non conosceva la nostra realtà un approccio diverso, che andasse a sfatare l’idea del contesto accademico, noioso e scarsamente coinvolgente, superando il pregiudizio del contesto ecclesiastico.

Con il coinvolgimento dell’Istituto per le Tecnologie Didattiche del Consiglio Nazionale delle Ricerche e Bepart, Società Cooperativa, è nato il progetto God Save the Nerd! Realtà aumentata al #mtdvercelli, selezionato da Compagnia di San Paolo per il bando “Luoghi della Cultura 2019” e successivamente anche da Fondazione CRT per il bando “Arte e cultura 2020”. L’idea che si voleva sviluppare era quella di un videogioco esperienziale da giocare in presenza nelle sale del Museo del Tesoro del Duomo attraverso iPad messi a disposizione dei visitatori. Il gioco, grazie anche alla realtà aumentata, avrebbe dovuto raccontare non solo gli oggetti esposti, ma soprattutto ciò che normalmente non è visibile al pubblico: documenti e manoscritti di Biblioteca e Archivio Capitolare o beni facenti parti del cosiddetto patrimonio immateriale.

É nato così l’embrione di Hwæt! The Vercelli Book Saga. Dal novembre 2019, dopo un primo sopralluogo negli spazi vercellesi, il lavoro del team si è subito sviluppato online, tra call e brainstorming condivisi in file drive, considerando la distanza geografica tra Palermo, Milano e Vercelli. Si sono inoltre aggiunte le consulenze scientifiche esterne di docenti stranieri dislocati tra Londra, Gottinga e Rochester. Con l’insorgere dell’emergenza sanitaria Covid-19 ci siamo fermati. Non per difficoltà oggettive, ma perché ci siamo resi conto che il progetto, per essere realmente efficace, avrebbe dovuto dare attenzione alle nuove dinamiche scaturite dalla pandemia ed esigenze del pubblico, oltre che del Museo stesso e di creare esperienze digitali coinvolgenti e di valore.

Ed è così che si è deciso di realizzare un videogioco scaricabile gratuitamente dai dispositivi mobili, offrendo al pubblico la possibilità di uscire dagli spazi museali per vivere esperienze digitali con il nostro patrimonio e non solo.

Giuseppe Città: L’ITD è l'unico istituto italiano esclusivamente dedicato alla ricerca nel campo delle tecnologie educative e al suo interno svolgiamo studi di ricerca di base e applicata fortemente interdisciplinari che integrano discipline come l'informatica in senso lato, le scienze cognitive, la pedagogia, le materie curricolari scolastiche. Nello specifico il gruppo di ricercatori che collabora con il Museo del Tesoro del Duomo di Vercelli ha come focus di ricerca i videogame educativi (i cosiddetti Serious Game) e i loro effetti sull’apprendimento in contesti formali e non formali di apprendimento. Il ricchissimo patrimonio materiale e immateriale in possesso del museo ha rappresentato per noi, fin dalle prime battute, un campo stimolante entro cui svolgere la nostra ricerca ed entro cui proporre strumenti d’apprendimento innovativi. Quindi, giudichiamo l’esperienza altamente positiva e piena di spunti per ulteriori collaborazioni future.

Come è nata l'idea di realizzare un videogioco dedicato a un tema così particolare?

Giuseppe Città: La realizzazione di un videogame che ha come focus centrale un manoscritto è stata pensata per rispondere contemporaneamente a un’esigenza e a una sfida. Da un lato avevamo come obiettivo il far conoscere ad una platea il più grande possibile l’enorme valore del patrimonio culturale immateriale contenuto nel Vercelli Book. Dall’altro volevamo proporre un nuovo modo di sfruttare lo storytelling reso possibile da un videogame al fine di coinvolgere in prima persona il giocatore nella storia del libro e, nello stesso tempo, nelle storie che esso racconta. Abbiamo sempre sostenuto che la realizzazione di un videogame del genere consente a chi vi si approccia di accedere ad un multiverso temporale e spaziale a cui “semplice” documento scritto difficilmente ne consentirebbe l’accesso.

Silvia Faccin: Tra i tre punti principali del Piano Strategico 2019-2022 della Fondazione MTD vi è il rapporto con il pubblico. Per questo motivo aggiornare i linguaggi e le metodologie di coinvolgimento è tra le nostre priorità. Negli ultimi anni si è assistito ad un progressivo mutamento delle richieste del pubblico, fattosi ancora più evidente nel corso del 2020, con l’insorgere della pandemia. Gli spazi fisici e i visitatori reali sono solo una parte di ciò che il Museo e la Biblioteca devono considerare nella programmazione delle attività e soprattutto nella creazione di momenti di esperienza.

La realtà della Fondazione MTD consente di mettere in connessione gli oggetti, i manoscritti, i libri e i documenti con le ricerche scientifiche accademiche, facendo da ponte tra due mondi. Se fino al 2019 questo ponte era costituito esclusivamente da coloro che lavoravano all’interno degli spazi, ci si è resi conto che bisognava compiere un ulteriore passo, verso la digitalizzazione delle attività, che devono aumentare le possibilità di interazione e non semplicemente spostare il canale di comunicazione.

La scelta di realizzare un videogioco in realtà aumentata per il Museo, divenuto poi un prodotto scaricabile, è stata dettata proprio dalla volontà di mantenere aggiornati i linguaggi di comunicazione della Fondazione MTD, senza precludere la dimensione esperienziale alla base dei processi di coinvolgimento.

Come è stato scelto in particolare di raccontare le vicende legate al Vercelli Book?

Silvia Faccin: Nella scelta del soggetto principale abbiamo cercato qualcosa che potesse essere accattivante per il pubblico, nella più ampia accezione del termine. In questo senso il Vercelli Book, manoscritto anglosassone della fine del X secolo, mette tutti in accordo. Da sempre ammalia i visitatori di qualsiasi età ed è oggetto di molteplici interessi di studio, dalla filologia alle indagini multispettrali. Inoltre, l’idea di spostare il campo di gioco in un luogo che non fosse il Museo e addirittura collocarlo nel periodo medievale è sembrato un ottimo modo per poter raccontare una parte della storia reale di questo affascinante manoscritto.

Il Vercelli Book consente di abbracciare mille anni di storia, compiendo un viaggio fisico quanto emotivo all’interno delle vicende che lo hanno visto protagonista. La presenza di un testo in antico inglese, di cui restano solo altri tre testimoni e tutti conservati in Inghilterra, in una cittadina oggi poco conosciuta come Vercelli è un espediente narrativo che ben si presta alla creazione di storie e racconti, degni del più geniale scrittore. Il come sia arrivato, il quando e il perché restano ancora oggi un mistero. Il fascino di essere risultato illeggibile per secoli, la riscoperta fortuita nel XIX secolo e la presenza delle rune, non fanno che accrescere la curiosità del pubblico.

Finora la Biblioteca Capitolare di Vercelli ha tratto beneficio, e in quale modo, dal lancio di questo progetto?

Silvia Faccin: Certamente la creazione di nuove relazioni è la prima ricaduta positiva. Interlocutori come l’ITD del CNR sono per noi un valore aggiunto per future collaborazioni, in particolare legate al mondo della didattica digitale. Seppur sia ben consolidata la fama della Biblioteca Capitolare a livello accademico internazionale, sono ancora molte le persone che non conoscono la ricchezza e l’importanza delle nostre collezioni.

Il nostro obiettivo non è quello del mero dato numerico dei download sugli stores, a maggior ragione non trattandosi di un prodotto rilasciato a pagamento. Non è nemmeno un esperimento per conversioni da pubblico digitale a pubblico reale. Il nostro scopo è quello di creare interesse, suscitare curiosità e gettare le basi per condurre il pubblico in un nuovo modo di concepire il rapporto con il patrimonio.

Essere tra i primi a realizzare un videogioco nel mondo dei musei e delle biblioteche ecclesiastiche, è certamente motivo di visibilità per la Fondazione MTD. Ci auspichiamo che con il rilascio degli ultimi due episodi entro la fine del 2021 vi possano essere ulteriori momenti per la disseminazione dei risultati e ancor più per l’aumento delle persone che fanno esperienza di gioco.

Nel corso di questo anno scolastico appena iniziato abbiamo in progetto di coinvolgere attivamente alcune classi per una didattica speciale, dove alla dimensione ludica-digitale si affianca quella in presenza, andando a completare il più possibile l’esperienza di conoscenza del Vercelli Book.

Non avete avuto il timore che questo titolo potesse essere troppo di nicchia, per quanto decisamente interessante e singolare?

Giuseppe Città: A un primo sguardo, effettivamente, potrebbe sembrare un’iniziativa rivolta ad una sfera ristretta di interessati. In realtà, invece, per far conoscere la preziosità del Vercelli Book sfruttiamo degli espedienti metodologici e cognitivi che vanno a toccare delle corde connaturate a ogni essere umano: lo storytelling e il gioco. Sin da piccoli siamo naturalmente affascinati dalle storie e attratti dal gioco. Giocare nel contesto di una storia ben articolata e appassionante si rivela una combinazione vincente. La cosa importante da sottolineare è che, grazie a tali espedienti, anche quelli che generalmente vengono definiti, in modo grezzo, “contenuti di apprendimento” possono essere proposti sotto una veste accattivante e stimolante.

Il linguaggio del gioco e del racconto consente di semplificare, infatti, l’accesso ai contenuti di apprendimento sfruttando un vocabolario che è in nostro possesso fin dalla nascita. Vale poco l’obiezione: “Io solitamente non gioco”. Probabilmente abbiamo semplicemente dimenticato come si fa! Ecco che, allora, raccontare le vicende e i contenuti di un libro attraverso una storia giocabile consente a un gran numero di persone di approcciarsi a nuovi domini di conoscenza senza proporre loro carichi cognitivi eccessivi.

Silvia Faccin: Proporre al pubblico un videogioco simile è stata di sicuro una sfida. Ma l’idea stessa di trasformare la storia di un manoscritto in gioco è abbastanza singolare. Il rischio di banalizzare o, viceversa, rendere tutto noioso e troppo accademico è sempre stato il post-it ben in evidenza sulle scrivanie di ciascun componente del team di lavoro.

Il timore di essere “scartati” tra le possibilità di serious game disponibili sugli stores è comunque presente. L’argomento del mistero, dello spazio-tempo medievale, dell’escamotage di ambientare il gioco fuori dagli spazi del Museo e della Biblioteca ha per noi il vantaggio di non far sentire il giocatore in una dinamica troppo culturale, vincolata all’idea stessa del museo. Abbiamo cercato di trasferire nella parte grafica una dimensione di familiarità per chi ha una certa dimestichezza con i giochi in stile RPG e Avventure grafiche. In questo senso l’impegno per la parte di realizzazione delle illustrazioni, rese uniche dalla scelta calibrata delle fisiognomiche dei personaggi e della caratterizzazione degli ambienti, e la loro successiva conversione in digitale, speriamo possa essere un ulteriore tassello di distinzione, apprezzato dagli utenti.

Il pubblico al quale ci si vuole rivolgere non è tanto quello delle generazioni Y e Z, che hanno modalità e contesti di gioco differenti. Hwæt! per loro necessita di un ulteriore passaggio in presenza o comunque di mediazione, anche se abbiamo avuto alcuni riscontri positivi. Il giocatore medio che ci aspettiamo è quello composto dai cosiddetti Millennials o dalla generazione precedente.

Ci sono eventuali aggiornamenti futuri per questo progetto, o comunque un prosieguo di qualsivoglia tipologia?

Giuseppe Città: Hwaet! The Vercelli Book Saga ha fatto solamente il suo primo passo. Infatti, ciò che, al momento, è a disposizione sugli store Android e Apple è solamente la prima puntata di un gioco che sarà composto da un totale di tre puntate. Entro la fine di quest’anno i giocatori avranno la possibilità di vivere al completo l’avventura di Eve. Inoltre, tante altre idee bollono già in pentola, e questo è reso possibile proprio dal fatto che l’approccio metodologico (il gioco) e il focus argomentativo (un libro come un portale d’accesso a infinite storie) consentono di programmare tante altre iniziative e progetti. Il prossimo passo in questa direzione lo percorreremo entro la primavera del 2022. Grazie ad una collaborazione con il prof. Winfried Rudolph della Georg-August-Universität Göttingen e del prof. Richard North dell’University College di Londra contiamo di dare luce l’adattamento in lingua inglese di “Hwaet! The Vercelli Book Saga”.

Dal vostro punto di vista, quanta cassa di risonanza hanno in Italia questi progetti dalla matrice culturale? E rispetto al contesto internazionale?

Silvia Faccin: L’Italia, ormai da qualche anno, ha iniziato ad avere familiarità con questi prodotti, trovando molteplici e differenti declinazioni. In un primo tempo forse venivano visti con sospetto, quasi come eccessiva voglia di adattarsi ai tempi e ai modi delle nuove generazioni, ma oggi si è più inclini e abituati a sentir parlare di giochi e musei. Non ci si stupisce più, anche se in alcuni casi forse si guarda a questi progetti ancora con diffidenza. Lo scopo non è mercificare la cultura, anzi. Si tratta di recuperare una forma di dialogo che metta in comunicazione i musei e le biblioteche con il pubblico, offrendo contenuti di valore in una forma nuova. Non si cerca di far numeri e click, non si tratta di riempire le sale con avventori casuali. Si vuole riprendere le fila di un rapporto a volte interrotto o mai nato. La difficoltà di trasmissione di un patrimonio di natura ecclesiastica è ancora maggiore. Progetti come questo vogliono restituire una dimensione di piacevolezza della cultura, un tempo vissuto con lentezza, non frenetico, contrariamente alla maggior parte dei videogiochi in senso tradizionale.

A livello internazionale l’approccio alla dimensione ludica della cultura è stato sdoganato da anni e non ci si stupisce più se nei musei si parla di realtà aumentata o gamification.

La possibilità di avere giochi in multilingua favorisce non solo l‘ampliamento del pubblico raggiunto, ma crea anche una dinamica di interscambio ed evoluzione tra i prodotti disponibili. Chissà che nei prossimi anni non vi siano progetti di serious game che comprendano musei o istituzioni culturali diverse, magari accomunate da opere d’arte disperse in Paesi differenti, per offrire esperienze ancora più complesse ed arricchenti.

Prevedete un'estensione eventuale anche alle scuole tra incontri e visite consentite alla Biblioteca?

Giuseppe Città: Il coinvolgimento delle delle scuole per l’ITD-CNR è fondamentale e fa parte della missione dell’istituto. Uno dei nostri obiettivi cruciali è, infatti, il miglioramento dei processi di apprendimento attraverso la tecnologia. Nello specifico caso dei giochi, un ambito di ricerca molto importante per noi è lo studio e la progettazione di giochi digitali in grado di favorire capacità di alto livello come il pensiero critico, il pensiero convergente, il pensiero divergente, il pensiero computazionale. Anche Hwæt! The Vercelli Book Saga è stato sviluppato per stimolare alcune di queste capacità. Proporlo nelle scuole per noi significherà non solo far sì che la storia che ruota attorno al Vercelli Book venga conosciuta dal maggior numero possibile di persone, ma anche consentire ai giocatori di migliorare la propria capacità di ragionare stimolando costantemente i loro processi di pensiero.

Silvia Faccin: Ormai da molti anni la Biblioteca Capitolare è aperta alle scuole, non solo con visite guidate, ma anche con laboratori pratici e progetti speciali che comprendono i diversi aspetti del mondo del libro, sia esso manoscritto o a stampa, e della conservazione, come delle professionalità ad esso legata.

La dimensione del gioco è parte delle dinamiche didattiche, soprattutto per il pubblico delle famiglie. Aver sviluppato un serious game consente, ancor più nel tempo in cui ci troviamo, a portare la dimensione didattica fuori dagli spazi fisici della Biblioteca. L’idea è quella di coinvolgere gli istituti secondari, in particolare quelli di secondo grado, in percorsi speciali che seguano l’esperienza del videogioco. Dove possibile, le attività proseguiranno fisicamente in Biblioteca, dove i ragazzi potranno entrare in contatto con il manoscritto originale, vederlo da vicino per approfondirne gli aspetti materici e comprendere, attraverso laboratori pratici, quali sono state le tecniche di realizzazione.

Dall’altro lato, per chi per lontananza fisica o per altre problematiche non possa raggiungere la Biblioteca, Hwæt! potrà essere il punto di partenza di una serie di incontri di approfondimento online, grazie anche agli strumenti di condivisione dei materiali, oltre che incontri a distanza. In questo modo la Fondazione MTD potrà continuare a mantenere la propria vocazione di formazione e divulgazione, ampliando il proprio bacino di utenza oltre alla dimensione territoriale e soprattutto rispondendo al crescente bisogno di nuove forme di integrazione tra la didattica tradizionale e le nuove tecnologie.

Come considerate il rapporto scuola - videogiochi - cultura?

Giuseppe Città: Un rapporto in cui ognuno di questi elementi si arricchisce della presenza e dell’azione degli altri. Provo a spiegarmi meglio. Come accennato sopra, il videogame nella nostra percezione è uno strumento che consente di implementare espedienti metodologici (storytelling e gioco) che, a loro volta, permettono di veicolare ed apprendere consistenti “pezzi” di cultura in un linguaggio semplice (non semplificatorio), comprensibile e cognitivamente scarico. La scuola è il contesto ideale in cui proporre iniziative del genere che, è bene sottolinearlo, non sostituiscono le pratiche didattiche consolidate nei curricula scolastici ma le integrano consentendo a chi gioca/apprende di approfondire argomenti giocando.

In chiusura, un consiglio che vi sentite di dare a coloro che vorrebbero realizzare una iniziativa come la vostra.

Silvia Faccin: Indubbiamente prima di iniziare a lavorare su un progetto simile è necessario individuare fin da subito risorse e obiettivi. Il lavoro di genesi e sviluppo di Hwæt! ha visto la Fondazione MTD sempre ben presente, in tutte le sue fasi, senza delegare a terzi la direzione del progetto. Per una realtà di piccole dimensioni come la nostra è stato un investimento, ma decisamente ripagato. Per la realizzazione di un lavoro complesso e articolato, che vede il coinvolgimento di più attori e su differenti piani, è necessario una suddivisione dei compiti precisa, ma soprattutto una costante comunicazione tra le parti, in modo da mantenere sempre presenti gli obiettivi e senza avere il timore di rivedere o correggere in corso d’opera le proprie strategie.

Nel nostro caso l’insorgere della pandemia è stata una vera e propria carta degli imprevisti, ma che ci ha dato l'opportunità di fermarci e, insieme, ripensare a come poter sfruttare al meglio l’occasione, cambiando di settimana in settimana alcuni piccoli, ma essenziali dettagli che hanno dato vita al prodotto che oggi è possibile sperimentare.

Giuseppe Città: Il miglior consiglio che darei a coloro che vorrebbero realizzare una iniziativa come la nostra è di evitare l’improvvisazione. Alle spalle di Hwæt! c’è un profondo studio e a diversi livelli. Solo per rendere l’idea del lavoro alle spalle del videogame: sotto la guida e con la collaborazione del Museo del Tesoro del Duomo di Vercelli abbiamo condotto uno studio approfondito delle fonti storiche, artistiche e letterarie per la produzione dei contenuti di apprendimento. Abbiamo affrontato uno studio circa i generi di gioco che meglio si prestassero ai contenuti da narrare e alle abilità da stimolare. Sono stati progettati tool informatici ad hoc per gestire i dialoghi e i sistemi di abilità. Questi sono solamente alcuni degli ambiti che è necessario padroneggiare per realizzare un prodotto del genere.

Quindi, meglio procedere con i piedi di piombo e dare vita a un outcome articolato, originale e significativo piuttosto che farsi ammaliare da una realizzazione frettolosa che rischia di consegnare ai fruitori un prodotto superficiale.