Jailbreak Playstation 3, alla fine non si è deciso nulla

Un avvocato di George Hotz parla dell'accordo con Sony. Secondo le sue parole per Hotz non c'era via d'uscita, troppo difficile e dispendioso affrontare una multinazionale. Però, così facendo, non si è arrivati a un punto: cosa si può fare con una PS3?

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a cura di Manolo De Agostini

GeoHot e Sony avranno anche raggiunto un accordo (Sony lega le mani a GeoHot, denuncia archiviata), ma non si è arrivati a capire chi aveva ragione. Yasha Heidari, uno degli avvocati dell'hacker, ha rilasciato interessanti dichiarazioni ad Arstechnica, facendo intuire come Hotz sia stato messo alle strette e non avesse altra via d'uscita se non "patteggiare" con il colosso nipponico.

La corte non ha infatti mai stabilito se le accuse di Sony - violazione del DMCA - fossero o meno fondate e non si è arrivati a dirimere il punto centrale della questione: per legge che cosa può fare un proprietario di una PS3? La domanda è ancora aperta, e se da una parte il jailbreak dell'iPhone è legale negli Stati Uniti, ancora non c'è chiarezza su quello della console di Sony.

Hotz ha accettato, in pratica, di non fare cose che dice di non aver mai fatto. Un controsenso, non trovate? L'avvocato ritiene che tutta questa vicenda sia l'ennesimo esempio di come negli Stati Uniti serva una radicale riforma legislativa sul diritto d'autore. "Dovete chiedervi se la legge sul copyright promuove le arti e le scienze. Credo di no. Dovete chiedervi se la società, alla fine, sta beneficiando di persone come George Hotz, prodigi e geni che realizzano tecnologie creative e innovazioni. Ci sono benefici nel denunciare persone come George?".

Hotz, nonostante ritenesse di essere dalla parte della ragione (come Sony del resto), ha dovuto deporre le armi. Troppo difficile combattere contro una multinazionale miliardaria, una lotta impari per un quasi ventiduenne che probabilmente ha giocato troppo con il fuoco, e ha fatto bene a non scottarsi oltre.

Secondo Heidari il caso ha comunque avuto il merito di destare l'opinione pubblica e mettere in luce le tattiche che le grandi aziende adottano quando invocano il DMCA: sequestro dei beni, citazioni per avere i registri personali da aziende come PayPal e Google e persino usare la polizia per perquisire abitazioni in altri paesi.

In pratica, andando a banalizzare il concetto, il caso può essere d'esempio a tutti i "fan" di una o l'altra marca: non sono enti di beneficenza, e quando sono toccate nel vivo sono pronte a stritolare tutto e tutti, se la legge glielo permette (sì, anche il fan più fedele).

Heidari ha concluso la sua intervista invitando le persone a esprimere il loro pensiero con il portafogli e punire le aziende che trattano i loro clienti in modi con i quali non sono d'accordo. "Questo è il modo migliore con cui le persone possono inviare un messaggio di disapprovazione sulle azioni di un'azienda".