Master Detective Archives: Rain Code | Recensione

Master Detective Archives: Rain Code è un delirante titolo di stampo investigativo che scivola su un paio di ingenuità decisamente evitabili.

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a cura di Andrea Maiellano

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Delirante, artisticamente ispirato e dannatamente complicato da descrivere con delle semplici parole. Questa potrebbe essere la frase migliore per illustrarvi, con poche parole, cosa aspettarvi da Master Detective Archives: Rain Code. Nulla di sorprendente, se si considera che dietro alle quinte di questa nuova esclusiva per Nintendo Switch si celano i creatori di Danganronpa.

La nuova fatica di Spikesoft, difatti, non è facilmente categorizzabile in alcun genere di riferimento, in quanto mescola elementi investigativi, mini giochi di ogni tipologia, atmosfere da “punta e clicca” e quel ritmo tipico delle visual novel di stampo noir… ricolme di pioggia, malinconia e sudiciume. 

Una produzione capace di sorprendere fin dalle sue prime battute, grazie a un comparto artistico ispirato, corpose spolverate di fanservice, numerose citazioni alla cultura pop e un estro creativo che esonda da ogni pixel. Master detective, però, è anche un titolo con delle criticità da non sottovalutare e che, proprio in virtù del suo ritmo compassato, potrebbero portare molti giocatori ad abbandonarlo prima del tempo… commettendo un efferato delitto verso se stessi. 

Amnesia, portami via. 

Penso che avrebbe poco senso se ora mi mettessi comodo e, per un intero paragrafo, vi racontassi per filo e per segno come mai la storia di Master Detective meriti di essere vissuta da ogni amante dei gialli dalle tinte noir. L’ultima produzione di Spikesoft, difatti, è a tutti gli effetti un thriller ricco di gustosi colpi di scena e di indagini ben architettate; ogni elemento, al di fuori del breve canovaccio con cui si viene introdotti alle vicende del gioco, potrebbe rappresentare una spiacevole anticipazione per gli amanti del genere, capace di rovinare l’intera esperienza, considerando che gli sceneggiatori si sono impegnati nel disseminare, fin dal lungo prologo di Master Detective, tutta una serie di avvenimenti, grandi e piccoli, che verrano costantemente stravolti durante il corso dell’intera storia. 

Per farvela breve, in un mondo dove l’organizzazione mondiale dei detective va alla ricerca di persone dotate di poteri soprannaturali, qui chiamati Forti Forensi, per addestrarli e farli diventare dei Master Detective, una multinazionale senza scrupoli, la Amaterasu Corporatrion, detiene il controllo totale della metropoli di Kanai Ward, una città dove piove ininterrottamente da tre anni, le comunicazioni con l’esterno sono interrotte, la polizia locale è al soldo della corporazione, non c’è spazio per la professione da detective e il numero di crimini irrisolti è, insolitamente, altissimo. 

Le attività, poco cristalline, dell’Amaterasu Corporation spingono l’Ordine Mondiale dei Detective a inviare una delegazione di agenti a Kanai Ward per indagare di persona sui comportamenti della corporazione. Il protagonista della vicenda, Yuma, è apparentemente uno dei detective facenti parte di questa delegazione, il quale però si risveglia senza memoria nel deposito oggetti smarriti della stazione dalla quale deve prendere il treno per Kanai Ward.

Accompagnato esclusivamente dai dubbi sulla sua reale identità, dalle sue incredibili doti investigative e da una divinità della morte che risponde al nome di Shinigami, Yuma inizierà il suo viaggio verso Kanai Ward alla ricerca dei suoi ricordi e della verità dietro alle operazioni gestite dall’Amaterasu Corporation. 

La storia di Master Detective è indubbiamente bella, c’è poco da dire, e riesce a intrattenere fino alla fine con ottimi colpi di scena e una scrittura che, nella maggior parte delle situazioni, si dimostra di ottima fattura. L’unico reale problema della sceneggiatura dell’ultima opera di Spikesoft risiede in un voler arzigogolare eccessivamente alcuni casi, cercando in tutti i modi di non confermare i sospetti del giocatore e proponendo delle soluzioni ai casi che a volte risultano eccessivamente estremizzate, mostrando il fianco verso un’eccessiva fantascienza che poteva tranquillamente essere contenuta risultando comunque valida. 

Le piccole lacune della sceneggiatura, però, vengono compensate da una direzione artistica decisamente sopra le righe che fra tonnellate di doppi sensi, costantemente sciorinati dall’avvenente e disinibita Shinigami, e una pletora di citazioni alla letteratura investigativa, alla cultura pop e alle icone dei manga giapponesi, riesce costantemente a strappare una risata a chiunque abbia un minimo di conoscenza in merito. 

Un gameplay delirante

Come vi dicevo in apertura a questa analisi, Master Detective presenta un gameplay che definire “fuori dagli schemi” risulta persino riduttivo. La nuova creatura di Spikesoft pesca a piene mani da molteplici generi, proponendo una mescola di situazioni capaci sia di stupire nelle prime ore di gioco, che, purtroppo, di tediare sulla lunga distanza. 

Master Detective, difatti, si divide in due grosse modalità di gioco: le fasi esplorative/investigative e quelle ambientati nei labirinti dei misteri, dei luoghi situati in una realtà parallela, in cui la Shinigami trasporterà Yuma quando sarà il momento di risolvere il caso in corso. 

Sulla prima parte c’è ben poco da dire, Yuma potrà muoversi liberamente all’interno degli ambienti di gioco e, grazie alla possibilità di muovere in ogni direzione la telecamera, potrà cercare indizi, prove e oggetti sparsi praticamente dappertutto, così come potrà chiacchierare con i vari personaggi che incontrerà sul suo cammino. 

Queste fasi sono di chiara ispirazione “punta e clicca” e per quanto la loro interattività si riduca ai minimi storici, risultano perfettamente funzionali a un titolo di genre investigativo. Quando Yuma avrà raccolto abbastanza indizi, l’azione si sposterà nel labirinto del mistero rispettivo al caso in corso, dove il giovane si troverà di fronte a una serie di minigiochi di diverse tipologie, tutti utili per giungere alla soluzione del caso. 

All’interno dei labirinti del mistero, Yuma avrà con se una spada nella cui elsa è posta una serratura. all’interno di quest’ultima il giovane potrà inserire delle chiavi che rappresenteranno una versione materiale degli indizi raccolti durante le fasi investigative e con le quali potrà, letteralmente, affettare le obiezioni che gli si pareranno davanti. 

I labirinti dei misteri sono delle aree atipiche, dal design spiccatamente psichedelico e le cui aree mutano in base ai movimenti compiuti dal giovane. Al loro interno Yuma potrà incontrare delle versioni distorte e demoniache dei sospettati del caso in corso, i quali daranno via a una sorta di rythm game dove il ragazzo sarà chiamato a schivare a tempo le varie obiezioni, colpendo solo quelle attinenti al caso sfruttando la propria spada nella quale dovrà inserire, prima, la chiave corretta. 

Se già così il tutto vi sembra assurdo, sappiate che si tratta solo di una delle numerose attività presenti all’interno dei labirinti di Master Detective. In altre circostanze, Yuma, sarà chiamato a scegliere una delle molteplici direzioni presenti in un bivio, tutte contrassegnate da diversi sospetti in merito al caso in corso. Scegliere la direzione sbagliata lo porterà a un vicolo cieco, oltre a una conseguente riduzione dell’energia vitale a sua disposizione.

Ma non è finita qui perché all’interno dei labirinti del mistero, si potranno trovare minigiochi, di evidente stampo soft core, dove una ammicante Shinigami in bikini chiederà al giocatore di scegliere delle lettere, o sillabe, che compongano una specifica parola; in altri frangenti verremmo chiamati a guidare una gigantesca versione della dea della morte in brevi sessioni ispirate al genere endless runner; in altre ancora ci troveremo di fronte a piccoli giochi basati sulla logica… insomma ogni labirinto presente in Master Detective offre una pletora di situazioni sempre assurde e fuori dagli schemi che, però, rischiano di tediare in fretta il giocatore a causa di una dilatazione dei tempi eccessiva perfino per un titolo di questo genere. 

Il problema principale di Master Detective, difatti, è la totale assenza della possibilità di tagliare le numerose cutscene, sempre uguali, che si alternano fra i vari minigiochi, così come una gestione dei dialoghi non sempre cucita attorno alle esigenze dei vari giocatori. Rivedere per decine e decine di volte un’animazione, sempre uguale, della durata di 10/15 secondi prima di iniziare, o dopo aver terminato, un minigioco alla lunga diventa snervante. 

Ora potreste pensare che, alla fine, una manciata di animazioni non “skippabili” non siano poi questo gran difetto ma vi garantisco che, in una produzione già di per se molto rilassata nelle sue dinamiche, quando si è a pochi minuti dal finire un caso e ci si ritrova ad affrontare una serie di minigiochi uno dietro l’altro tutti accompagnati da decine e decine di secondi di animazioni tutte uguali… la voglia di mollare tutto è dietro l’angolo, specialmente se, malauguratamente, incappate in un game over e vi tocca ricominciare da uno dei checkpoint precedenti, ritrovandovi a ripetere il tutto nuovamente.

Un vero peccato perché se da un lato la peculiare mescola realizzata da Spikesoft riesce nell’intento di aprirsi verso quei giocatori che non hanno mai potuto approcciarsi alle assurdità partorite dai creatori della serie di Danganronpa, dall’altro le sbavature nella sceneggiatura e il folle ammontare di tempi morti, potrebbe far desistere dopo poche ore tutti quei nuovi giocatori che decideranno di dare fiducia a Master Detective.

Una fiducia che, sia chiaro, sarà ben riposta poiché l’avventura di Yuma è una delle produzioni più ispirate che mi sono ritrovato a giocare da parecchio tempo a questa parte e, seppur la sua direzione artistica non sia apprezzabile da tutti, il suo continuo ispirarsi sapientemente ad Agatha Christie, a Sir Conan Doyle e a Gōshō Aoyama, da vita a un prodotto fresco e la cui narrativa farà sicuramente la gioia dei thriller ben scritti.

Sul versante tecnico, infine, c’è ben poco da dire. Master Detective non mostra mai i muscoli ma si difende bene nel suo insieme. Kanai Ward è un piccolo gioiello da vedere, così come le brevi cutscene in CG sono degnamente confezionate. Meno affascinanti i vari modelli poligonali dei personaggi e le loro animazioni, che ricordano quelli presenti in un paio di generazioni videoludiche fa ma tutto sommato fanno il loro sporco lavoro.

Molto piacevole l’adattamento dei testi in Italiano, il quale riesce nel riadattare i giochi di parole presenti nella versione giapponese e a rendere giustizia a una storia ricolma di citazioni che potevano risultare incomprensibili se non adattate correttamente.