Dalle promesse di libertà al controllo diretto
Nel gennaio 2022, l'annuncio dell'acquisizione aveva fatto notizia non solo per l'importo astronomico, ma soprattutto per le condizioni inusuali dell'accordo. Sony aveva promesso a Bungie di mantenere la propria struttura dirigenziale esistente, conservando la libertà di sviluppare titoli per tutte le piattaforme e di gestire autonomamente le proprie pubblicazioni. Una strategia che puntava a non interferire con quella che veniva considerata una gallina dalle uova d'oro, ovvero Destiny 2, il cui modello live-service sembrava garantire ricavi costanti nel tempo.
L'idea di fondo era tanto semplice quanto ambiziosa: permettere a Bungie di condividere la propria esperienza nel settore dei giochi-servizio con gli altri team dei PlayStation Studios, creando una sinergia che avrebbe dovuto far crescere esponenzialmente l'intera divisione live-service di Sony. Un approccio che ricorda le strategie adottate dalle grandi multinazionali quando acquisiscono startup innovative, cercando di preservarne la cultura aziendale e i processi creativi che ne hanno determinato il successo.
Il crollo delle aspettative
Le dichiarazioni del direttore finanziario Lin Tao durante l'ultima conference call sui risultati trimestrali hanno però segnato una svolta definitiva. "Al momento dell'acquisizione, stavamo offrendo un ambiente molto indipendente", ha spiegato Tao, "Ma successivamente, abbiamo attraversato una riforma strutturale come annunciato l'anno scorso. Quindi Bungie si trasformerà in un ruolo che la vedrà maggiormente parte di PlayStation Studios".
Il processo di assimilazione è già in corso, con alcune sezioni dello studio americano che sono state trasferite sotto il controllo diretto della divisione PlayStation. Una trasformazione che rappresenta l'ammissione implicita del fallimento dell'approccio originario, dove la fiducia nelle capacità di autogestione di Bungie è stata progressivamente erosa da una serie di problemi operativi e risultati commerciali deludenti.
Una spirale di difficoltà senza fine
I segnali di difficoltà non erano certamente mancati negli ultimi anni. Già nel 2023, il presidente di PlayStation Hiroki Totoki aveva espresso pubblicamente la propria insoddisfazione, chiedendo maggiore responsabilità dalla dirigenza di Bungie nella gestione dei budget di sviluppo e nel rispetto delle tempistiche di consegna. Una critica inusualmente diretta da parte di Sony, che raramente espone pubblicamente le tensioni interne con i propri studi.
La situazione si è ulteriormente deteriorata con i massicci licenziamenti che hanno colpito lo studio, provocando un crollo del morale tra i dipendenti rimasti. A questi problemi interni si sono aggiunte controversie tecniche e creative che hanno danneggiato l'immagine pubblica di Bungie: dalle accuse di furto di asset digitali ai bug persistenti che affliggono Destiny 2, fino ai progressi apparentemente stagnanti su Marathon, il nuovo progetto che dovrebbe rappresentare il futuro dello studio.
Il disastro de "I confini del destino"
Il colpo di grazia è arrivato con l'espansione "Destiny 2: I confini del destino", su cui Bungie aveva riposto enormi aspettative commerciali. Il flop sia critico che commerciale di questa release ha rappresentato quella che molti definiscono "la goccia che ha fatto traboccare il vaso", esaurendo definitivamente la pazienza e la fiducia di Sony nei confronti delle capacità gestionali del team americano.
Per il pubblico italiano, questa vicenda ricorda da vicino le difficoltà attraversate da altre aziende del settore tecnologico quando la crescita rapida e gli investimenti importanti non vengono accompagnati da una governance adeguata. Il caso Bungie dimostra come anche i brand più prestigiosi possano perdere la propria indipendenza quando non riescono a mantenere le promesse fatte agli investitori, trasformandosi da partner strategici a semplici divisioni operative di gruppi più grandi.