-
Pro
- Seattle è magnifica
- Rimane un ottimo GDR narrativo
- Sceneggiatura davvero ben scritta
-
Contro
- Combat System deficitario
- IA troppo banale
- Tecnicamente poco attuale
Il verdetto di Tom's Hardware
Informazioni sul prodotto
Il lungo calvario produttivo di Vampire: The Masquerade – Bloodlines 2 sembrava destinato a concludersi con una cancellazione. Invece, contro ogni aspettativa, il sequel di uno dei GDR occidentali più venerati, e difettosi, della storia videoludica ha visto la luce.
The Chinese Room eredita non solo un franchise leggendario, ma anche le speranze di una fanbase che per anni ha mantenuto viva la fiamma. Il ritorno nel World of Darkness rappresenta una scommessa audace: ricucire lo strappo tra un passato iconico e un'industria videoludica profondamente mutata, tecnologicamente evoluta ma indubbiamente più cinica.
La nostra esperienza ci ha mostrato proprio questo. Un titolo che prova a guardare al futuro mentre rimane ancorato al passato per non scontentare i fan storici, mutando in un progetto tanto affascinante, quanto zoppicante.
Seattle: teatro di sangue e neve
The Chinese Room ha plasmato la metropoli del Pacifico come un organismo pulsante, intessuto di vicoli umbratili, luci soffocate dalla bruma e arterie urbane sepolte sotto una coltre nevosa permanente.
Seattle trascende il ruolo di semplice scenario: ogni distretto narra una diversa declinazione del potere, del disfacimento, della lotta per la sopravvivenza.
Si tratta di un universo cristallizzato, dove opulenza e indigenza coesistono come gemelli siamesi nutriti dallo stesso sangue corrotto. Esplorarne le strade regala sensazioni ambivalenti: l'atmosfera penetra fino al midollo, ogni angolo trasuda enigma; tuttavia, la mappa risulta frequentemente deserta e carente di interazioni sostanziali.
Certi momenti evocano un palcoscenico spettrale piuttosto che una metropoli palpitante. Eppure, quando le insegne al neon si specchiano sulla neve candida, o quando un incontro fortuito con un vampiro svela i segreti di un clan, Bloodlines 2 raggiunge vertici emotivi che la produzione contemporanea raramente sfiora.
Rinascita nell'oscurità
L'apertura di Bloodlines 2 costituisce un manifesto del gotico metropolitano. Phyre, il protagonista, riacquista coscienza in un edificio diroccato nel cuore di Seattle sepolta dalla neve, spogliato della memoria e contrassegnato da un sigillo enigmatico che gli brucia sulla mano. Il clima è immediatamente saturo, la cadenza quasi scenografica.
Una presenza vocale lo tormenta dall'interno: quella del detective Fabien, fantasma inquieto o risonanza della propria psiche, impossibile stabilirlo. In questa introduzione claustrofobica, The Chinese Room prevale dove molti naufragano: edificare un universo percepito come autentico e contaminato, distante dalle verniciature lucide dei titoli AAA contemporanei.
Sebbene l'incipit non sconvolga chi padroneggia il linguaggio del genere, la modalità narrativa si rivela efficace. La direzione in soggettiva risulta precisa, il tempo dilatato ma inesorabile, e la narrazione si alimenta di ambiguità. Phyre non incarna l'eroe, bensì un relitto di umanità estinta, costretto a navigare in un mondo che rigetta la luce e si nutre di falsità.
Affiancargli una coscienza interiore come Fabien rappresenta un'intuizione geniale: non solo scandisce le fasi esplorative, ma diventa lo strumento per sondare la psicologia del protagonista. Si configura un dialogo ininterrotto tra razionalità e pulsione, tra chi lotta per conservare il dominio e chi si è già consegnato alla bestia.
Parole che mordono
Se un elemento distingue il titolo, questo risiede nella scrittura. I dialoghi abbondano, si ramificano e traboccano di sottintesi. Ogni vocabolo ha un peso, ogni decisione può modificare la percezione altrui, e frequentemente il gioco non rivelerà esplicitamente se avete operato correttamente. Non esistono coordinate morali definite: soltanto transazioni, istinto di conservazione e la perpetua seduzione di smarrire quel residuo di umanità.
The Chinese Room ha dichiarato ripetutamente l'intenzione di trasformare ogni decisione in un fardello, e il risultato si manifesta tangibilmente. Le scelte etiche non costituiscono semplici ramificazioni dei dialoghi, ma autentici incroci narrativi capaci di alterare relazioni, patti e persino l'assetto politico della metropoli. È un ritorno alle matrici di The Masquerade, dove diplomazia e inganno rappresentano armi equiparabili alle zanne.
Meccaniche di luce e ombra
Sul versante ludico, Bloodlines 2 oscilla costantemente tra lampi di genialità e limitazioni palesi. Il sistema motorio di Phyre scorre fluido, con scatti fulminei, salti multipli e facoltà vampiriche che maturano progressivamente. Tuttavia, il sistema di combattimento rappresenta il punto debole dell'esperienza.
Gli scontri ravvicinati, specialmente nelle fasi iniziali, appaiono caotici, privi di consistenza e sostenuti da una fisica definibile approssimativa solo per generosità. Le animazioni sembrano irrigidite, i colpi mancano di concretezza e l'insieme restituisce la percezione di un gameplay ancorato a standard obsoleti.
Con l'avanzamento, sbloccando nuove capacità e poteri, la situazione migliora parzialmente, ma persiste l'impressione che il combattimento non raggiunga mai piena soddisfazione. Lo stealth, parimenti, patisce una filosofia progettuale datata, con routine monotone e intelligenze artificiali mai realmente reattive. Non costituisce un fallimento, ma nemmeno un merito.
Fortunatamente, Bloodlines 2 trova redenzione nelle sezioni investigative, che rappresentano le vette più elevate dell'intera produzione. Qui, il gameplay si arricchisce di meccaniche stimolanti, come penetrare nelle menti degli indagati, cancellare le memorie dei sospetti o rivivere episodi trascorsi attraverso oggetti inanimati. Sono segmenti che spezzano il ritmo, conferendo profondità e tensione narrativa, e che riescono a far emergere l'anima più autoriale di The Chinese Room.
Alternare il controllo tra Phyre e Fabien durante questi momenti contribuisce a variare il tono dell'esperienza. Se Phyre incarna brutalità e voracità, Fabien rappresenta introspezione e ricordo. Le indagini del detective, narrate mediante flashback e visioni, sono costruite con una cura sorprendente, specialmente dopo le incertezze delle fasi d'azione. È qui che il gioco raggiunge il suo equilibrio, regalando istanti di autentica suggestione.
Estetica del decadimento
Tecnicamente, Bloodlines 2 non può gareggiare con i colossi del panorama attuale. Le texture oscillano qualitativamente, alcuni modelli umani deludono e le animazioni facciali non sempre sostengono il peso dei dialoghi intensi che le accompagnano.
Ciononostante, il lavoro sull'illuminazione e sulla composizione visiva merita elogi: le ombre, i riflessi e i contrasti cromatici tra rosso e blu generano un'estetica che colpisce profondamente. Non è un gioco che primeggia per fotorealismo, ma per atmosfera, e in una produzione di questo tipo è ciò che realmente importa.
La colonna sonora accompagna perfettamente le vicende, alternando composizioni elettroniche, jazz decadente e momenti più silenziosi in cui è la città stessa a comunicare. Anche il doppiaggio inglese convince, con interpretazioni capaci di restituire la tensione e la malinconia dei personaggi. Fabien, particolarmente, si distingue per la voce tagliente e la sottile ironia che permea ogni sua battuta.
Eredità pesante
Al termine di questo viaggio, Vampire: The Masquerade – Bloodlines 2 emerge come un gioco sospeso tra due dimensioni: quella del passato e quella del presente.
Da un lato spintona il desiderio di celebrare un titolo che ha segnato la storia dei GDR narrativi; dall'altro, la necessità di conformarsi alle logiche contemporanee del mercato. Il risultato è un'opera ibrida, che seduce per la scrittura e l'atmosfera, ma che inciampa sulla struttura ludica e sulla raffinatezza tecnica.
È un titolo che richiede al giocatore di accettarne le imperfezioni per coglierne la profondità. Se cercate un'esperienza impeccabilmente rifinita, ne uscirete frustrati; ma se siete disposti a perdonare le sue crepe, scoprirete un mondo che ancora sa narrare di potere, seduzione e dannazione con una voce tanto unica quanto ammaliante.