Catturata immagine della materia oscura

Un passo avanti interessante nella ricerca della materia oscura. Ecco di cosa si tratta e perché è importante.

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a cura di Antonio D'Isanto

Immaginate che io vi dia una ricetta, quella del mio piatto preferito magari, e vi chieda di prepararmela. Vi do gli ingredienti e tutta la procedura per preparare la pietanza, però scritto in piccolo a margine aggiungo una nota: in realtà non mi è possibile specificare l'ingrediente principale perché non lo conosco.

Quando ho assaggiato la pietanza in passato lo riconoscevo chiaramente, so che costituisce circa il 90% della ricetta, ma non so dire cosa sia, né dove possiate trovarlo. So soltanto che c'è, e se non ce lo mettete state cucinando un'altra cosa. Cosa mi rispondereste? A parte il banale suggerimento di andare al ristorante, e mi riterrei fortunato a essere spedito soltanto lì, immagino che molti di voi risulterebbero indispettiti da una situazione del genere.

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Eppure questo è proprio ciò che accade in Astronomia con la materia oscura: sappiamo che c'è, e che costituisce la stragrande maggioranza della massa dell'Universo (e circa il 27% del suo contenuto totale, se includiamo nel computo l'energia oscura, ma non complichiamoci ulteriormente la vita), ma non abbiamo altro modo di rilevarla se non tramite i suoi effetti gravitazionali. Nient'altro. Nessuna emissione luminosa, nessuna interazione con altre particelle che non siano implicabili alla sola forza di gravità.

Capirete immediatamente come questo costituisca uno dei maggiori problemi dell'Astrofisica moderna, perché mette in discussione tutto quello che conosciamo riguardo il Cosmo. Negli ultimi anni comunque sono stati fatti notevoli passi avanti nello studio di questa sfuggente forma di materia (sempre che di materia si tratti), seppure tutte le evidenze sperimentali che la riguardano siano al momento assolutamente indirette. Nessuno ha ancora idea infatti di come fare a rilevare direttamente la materia oscura.

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In tal senso, uno studio di recente pubblicato sul Monthly Notices of the Royal Astronomical Society ha prodotto un risultato eccezionale: la prima "immagine" dei filamenti di materia oscura che connettono due galassie.

Vediamo di capire di cosa si tratta e come si è arrivati a questo risultato che, mi preme sottolineare, è ancora una volta una conferma puramente indiretta e, peraltro, frutto di un lavoro di tipo statistico. In altre parole, non si tratta di un'immagine reale, ma di una mappa che mostra, mediamente, come si distribuirebbe la materia oscura tra due galassie.

Per fare ciò, gli astronomi hanno utilizzato la tecnica del weak leansing. Come avrete forse sentito dire, in base a quanto previsto dalla Teoria della Relatività Generale una grande massa, come ad esempio una galassia, produce una curvatura nella struttura dello spazio-tempo, generando una deflessione dei raggi di luce che si trovano a passare in prossimità dell'oggetto in questione. Ad esempio, nel caso di quello che viene chiamato strong lensing, se una galassia si trova oscurata da un'altra galassia o un ammasso che le stanno di fronte agendo appunto da lente, ne verrà generata un'immagine distorta, nella forma di archi o di un anello che circonda la lente stessa.

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Nel caso del weak lensing questo effetto è troppo debole per essere visibile direttamente da una singola sorgente, ma può essere rilevato attraverso deformazioni e allineamenti sistematici di sorgenti multiple. A conti fatti si tratta perciò di una misura statistica che permette di stimare la massa della lente, inclusa l'eventuale presenza di materia oscura.

Proprio sfruttando questo apparato teorico, un gruppo di ricercatori dell'Università di Waterloo, in Canada, è riuscito a misurare gli effetti di weak lensing per un campione di più di 23.000 coppie di galassie, poste a una distanza di circa 4,5 miliardi di anni luce, utilizzando dati incrociati del Canada-France-Hawaii Telescope e della Sloan Digital Sky Survey.

In particolare, gli astronomi hanno scelto un campione di Luminous Red Galaxies (LRG - galassie rosse luminose). Si tratta di oggetti molto antichi e massicci, estremamente luminosi e per i quali è nota la distanza in maniera sufficientemente precisa. Inoltre le LRG sono note per essere circondate da grandi aloni di materia oscura, risultando pertanto estremamente adatte a questo tipo di ricerca.

La conoscenza della distanza è importante perché aiuta a stimare quali galassie fossero in coppie reali, quindi legate da effetti gravitazionali, e quali invece fossero solo coppie virtuali, tali a causa di semplici effetti di proiezione.

Combinando insieme le immagini è stato dunque possibile ottenere una mappatura media della distribuzione di materia oscura tra due galassie generiche. Questo ci permette pertanto di farci un'idea su come la materia oscura si distribuisca, creando una sorta di alone e un filamento che connette tra loro le galassie stesse, partendo ovviamente dal presupposto che la coppia sia reale, cioè in interazione gravitazionale. Un aspetto interessante della questione sta infatti nella medesima analisi fatta per le coppie virtuali, le quali hanno prodotto una mappa che, pur mostrando la presenza di materia oscura attorno alle singole galassie, non evidenzia il filamento che fa da ponte tra le due.

Si tratta di un risultato estremamente importante, perché dagli studi finora effettuati appare chiaro che senza la componente dovuta alla dark matter, le galassie e gli ammassi non potrebbero mantenere una struttura stabile e finirebbero per disperdersi nel vuoto intergalattico. Inoltre la struttura su larga scala dell'Universo è caratterizzata da ampi spazi vuoti e da un reticolo indistinto di galassie disposte in filamenti. In quest'ottica, la materia oscura agirebbe come una sorta di collante, che fa da architrave all'intera struttura.

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Foto: © dmitr86 / Depositphotos

Ovviamente la ricerca non prova l'esistenza reale della materia oscura, che in base alle teorie sulla gravitazione modificata (teorie f(R)) potrebbe anche essere un puro effetto di tipo gravitazionale, che richiede pertanto una modifica delle attuali teorie di Einstein e di Newton. Senz'altro però ci consente di capire meglio come essa si distribuisce nel Cosmo e come agisce globalmente nella struttura e nell'economia delle singole galassie, il che costituisce senza dubbio un passo importante verso la risoluzione di questo grande, cervellotico mistero.

Antonio D'Isanto è dottorando in astronomia presso l'Heidelberg Institute for Theoretical Studies in Germania. La sua attività di ricerca si basa sulla cosiddetta astroinformatica, ovvero l'applicazione di tecnologie e metodologie informatiche per la risoluzione di problemi complessi nel campo della ricerca astrofisica. Si occupa inoltre di reti neurali, deep learning e tecnologie di intelligenza artificiale ed ha un forte interesse per la divulgazione scientifica. Da sempre appassionato di sport, è cintura nera 2°dan di Taekwondo, oltre che di lettura, cinema e tecnologia. Siamo felici di annunciarvi che collabora con Tom's Hardware per la produzione di contenuti scientifici.