Come salvare dall'oblio digitale la memoria dell'Umanità?

Scienziati, informatici, istituzioni culturali, musei e biblioteche lavorano da decenni per evitare che il buco nero dell'obsolescenza ingoi la memoria del sapere contemporaneo. Una nuova speranza, grazie ai ricercatori dell'Università di Southampton.

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a cura di Pino Bruno

Salvare dall'oblio il patrimonio storico e culturale dell'Umanità. Cioè, detto in maniera più semplice, il rapido e costante invecchiamento/deterioramento dei supporti di archiviazione rischia di far perdere alle generazioni future la memoria del presente e del passato. Ieri c'erano gli amanuensi a ricopiare i manoscritti per tramandarli ai posteri, oggi incrociamo le dita per il successo della tecnologia 5D messa a punto dall'Università di Southampton e presentata pochi giorni fa.

i cristalli di memoria di Superman
Come i "cristalli di memoria" di Superman

Può sembrare un paradosso, ma i problemi sono cominciati quando alla carta sono subentrati i supporti magnetici, magneto-ottici, digitali. Nelle biblioteche, nei musei e negli archivi, custodiamo e compulsiamo papiri, incunaboli e altri documenti di molti secoli fa ma abbiamo difficoltà ad ascoltare un nastro registrato nel 1940, a decodificare una scheda perforata IBM, a "leggere" un floppy-disk da 12, 8, 5¼, 4, 3 o 3½ pollici o un CD-ROM. Gli archivisti hanno gli stessi problemi con le fotografie, film e video, che vanno trasferiti e riversati su supporti più "freschi".

Insomma, una perenne corsa contro il tempo e l'obsolescenza digitale. Bit rot, data degradation, data decay, data rot, software rot sono definizioni colloquiali di un fenomeno che può essere fisico, tecnologico e temporale e porta alle stesse conseguenze: i "contenitori" e i software per i dati invecchiano precocemente. Riusciranno le generazioni future a leggere i dati custoditi in floppy-disk, CD, DVD, pennette USB, schede SD, hard disk, unità a stato solido e persino nel cloud?

Stele di Rosetta
La longevità della Stele di Rosetta

Ecco perché i ricercatori dell'Università di Southampton hanno riacceso la speranza con l'annunciata soluzione per l'archiviazione di dati digitali capace di sopravvivere miliardi di anni. Come ha raccontato qualche giorno fa Manolo De Agostini, il centro di ricerca optoelettronico dell'ateneo ha usato un vetro nanostrutturato per sviluppare un processo di registrazione e lettura di dati digitali in cinque dimensioni (5D) sfruttando un laser a impulsi ultra brevi (femtosecondi).

La codifica avviene in "cinque dimensioni" perché alla grandezza e all'orientamento si aggiunge la posizione tridimensionale delle nanostrutture. Le nanostrutture autoassemblanti cambiano il modo in cui la luce viaggia nel vetro, modificando la polarizzazione della luce che, successivamente, può essere letta grazie alla combinazione di un microscopio ottico e un polarizzatore.

archiviazione

Il piccolo disco in vetro consente di ospitare fino a 360 TB di dati, è termicamente stabile fino a 1000 °C e ha un periodo di vita virtualmente illimitato a temperatura ambiente (13,8 miliardi di anni a 190 °C).

Scienziati, informatici, istituzioni culturali, musei e biblioteche lavorano da decenni per evitare che il buco nero dell'obsolescenza ingoi la memoria del sapere contemporaneo. Nel 1986 la BBC mise in cantiere l'ambizioso progetto Doomsday, per catalogare la storia della Gran Bretagna. Furono usati videodischi da 12 pollici, che già quattro anni dopo erano superati, tanto da costringere i tecnici a salvarli su nuovi supporti usando l'unico player sopravvissuto. Nel 1995, agli albori di Internet, il prof. Jeff Rothenberg pubblicò su Scientific American un saggio sulla longevità dei dati digitali:

Con una rivoluzione paragonabile all'invenzione della stampa, se non addirittura a quella della scrittura, la tecnologia dell'informazione sta sconvolgendo i nostri metodi di archiviazione. I documenti digitali di oggi hanno un'importanza storica unica, ma sono molto più delicati del supporto cartaceo: perciò la cronaca di tutto il nostro tempo può dirsi in pericolo.

Nel 1995 la tecnologia era quello che era, ed era perciò comprensibile il pessimismo di Rothenberg:

Forse col tempo riusciremo a ottenere supporti di registrazione più longevi, che renderebbero meno pressanti i trasferimenti, ma per ora questa meta resta lontana.

Ebbene, forse da Southampton è finalmente arrivata la risposta, la pietra filosofale della memoria.