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COVID-19: quale la sorte per i contratti?

Le misure prese dal Governo italiano per rallentare la diffusione dei contagi da Coronavirus stanno gravemente impattando sull’economia italiana, sul commercio e, chiaramente, sui rapporti contrattuali. Per questo oggi i nostri consulenti legali fanno il punto sull'argomento.

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a cura di Redazione Diritto dell’Informatica

Pubblicato il 21/03/2020 alle 11:00

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Con la primavera ormai alle porte l’emergenza legata al Coronavirus non sembra placarsi
, il numero dei contagi sale di giorno in giorno, così come il numero dei decessi. L’Italia ha raggiunto un triste primato: nonostante il numero di persone contagiate sia nettamente più basso, il numero di decessi totali legati al Covid-19 ha superato quello della Cina.

La situazione di emergenza e l’allarme generale, determinato dal proliferare dei contagi e dalla saturazione delle strutture ospedaliere, hanno cambiato la vita di tutti gli Italiani.

Il dilagare del virus ha imposto al Governo di adottare soluzioni sempre più drastiche, che hanno inciso pesantemente sui diritti e sulle libertà dei cittadini, portando alla sospensione totale o parziale di una moltitudine di attività, sia dei singoli che delle imprese.

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In particolare, a seguito dell’emanazione dei recenti D.P.C.M. (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), attuativi delle disposizioni contenute nel Decreto Legge 23 febbraio 2020, n. 6 recante “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”, sono davvero poche le attività alle quali, durante questo periodo di piena emergenza, è ancora consentito il regolare esercizio: oltre al settore sanitario, i provvedimenti governativi fanno salve le attività legate al settore alimentare e agricolo, i servizi pubblici essenziali, le imprese industriali e il settore artigiano inteso in senso lato.

Le misure prese per rallentare la diffusione dei contagi stanno gravemente impattando sull’economia italiana, sul commercio e, chiaramente, sui rapporti contrattuali, messi ormai a dura prova da un’emergenza che l’O.M.S., l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha definito pandemia. In particolare, il caos che ruota intorno al nostro Paese, da un punto di vista strettamente giuridico, potrebbe portare, e di fatto sta portando, ad un aumento del rischio di inadempimenti contrattuali, che però potrebbero non avere nulla a che fare con i comportamenti dei contraenti.

L’inadempimento contrattuale nel codice civile

Nel nostro ordinamento, l’inadempimento contrattuale e la responsabilità del debitore vanno valutati alla luce dell’art. 1218 del Codice civile, secondo il quale “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. L’art. 1218 è strutturato in modo tale da porre a carico del debitore una presunzione di colpa ogni volta in cui ci sia un inadempimento. Il debitore per vincere questa presunzione, ed evitare di dover rispondere del mancato rispetto delle obbligazioni che ha assunto tramite il contratto, deve dare prova di aver eseguito correttamente la prestazione oppure dimostrare che l’inadempimento è dipeso da una causa a lui non imputabile, ossia un evento esterno al debitore, che questi, sebbene abbia posto in essere tutti gli sforzi necessari, non è riuscito a evitare.

L’impossibilità sopravvenuta della prestazione

Un altro riferimento normativo da tenere in considerazione in questa situazione è l’art. 1256 del Codice civile che affronta il tema dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione. Alla luce di tale disposizione, l’obbligazione si estingue – e, dunque, il debitore è esonerato dall’adempimento ­- quando per una causa indipendente da lui la prestazione sia diventata impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea, invece, il debitore non è ritenuto responsabile dell’inadempimento fino a quando tale impossibilità perdura. Peraltro, secondo la Cassazione, ai sensi dell’art. 1256 c.c., il debitore risulta liberato dall’obbligo di eseguire la prestazione solo se ricorrono due elementi: uno di natura oggettiva costituito dall’impossibilità di eseguire la prestazione prevista e un altro di natura soggettiva costituito dall’assenza di colpa nel verificarsi dell’evento che ha reso impossibile la prestazione.

In questa cornice normativa potrebbero eventualmente collocarsi i vari interventi governativi che si sono susseguiti nelle ultime settimane. Infatti, tra i casi in cui potrebbe essere invocabile l’impossibilità sopravvenuta della prestazione rientrerebbero gli ordini e i divieti posti in essere dall’autorità amministrativa, c.d factum principis. Si tratta, praticamente, di disposizioni emanate a salvaguardia di interessi generali, come la protezione della salute pubblica, che, imponendo divieti e restrizioni, rendono, di fatto, impossibile l’adempimento di una obbligazione, a prescindere dal volere di chi si sia impegnato contrattualmente a farlo.

La Giurisprudenza precisa che l’impossibilità dell’adempimento dovuta all’emanazione di tali atti non può comunque essere invocata se l’intervento governativo era prevedibile nel momento in cui il contratto è stato concluso e se il debitore non si è adoperato per cercare un rimedio lecito che gli permettesse di eseguire, anche in altra maniera, la propria prestazione.

Gli eventi straordinari e imprevedibili

Il Codice civile, però, affronta anche la questione dei rapporti contrattuali che a causa di qualche evento imprevedibile possono subire delle alterazioni sostanziali. Può succedere, infatti, che, nel momento in cui un contratto viene concluso, le condizioni poste dalle parti risultino vantaggiose per entrambe, ma che intervenga, in seguito, un fattore che alteri questa situazione di reciproco vantaggio. A tale proposito, l’art. 1467 c.c. stabilisce che “se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto”. Perché si possa invocare l’eccessiva onerosità sopravvenuta per chiedere la risoluzione del contratto sono necessarie, però, due condizioni: innanzitutto, che la situazione di squilibrio non fosse stata prevista nel momento in cui il contratto è stato concluso; poi, che l’eccessiva onerosità sia riconducibile all’evento straordinario e imprevedibile.

Per quanto attiene alla condizione di precarietà e di emergenza in cui stiamo vivendo, si potrebbe ritenere che l’esplosione della pandemia dovuta al Coronavirus rappresenti un evento del tutto imprevedibile e straordinario, tenendo conto anche della frequenza con cui tali avvenimenti si sono verificati in passato. Tuttavia, occorre comunque valutare con rigore se l’evento può essere considerato causa di una sopravvenuta onerosità delle prestazioni contrattuali interessate: per ogni contratto andrebbe valutato se l’evento in questione ha avuto un’incidenza diretta sulla prestazione e se questa poteva essere attuata adottando soluzioni alternative.

Nemmeno il ciberspazio è immune al coronavirus

Anche se i settori più colpiti dai provvedimenti e dalle restrizioni sono quelli legati al commercio, al turismo, ai trasporti e, più in generale, all’industria, si è scoperto, con grande rammarico, che le conseguenze negative del Coronavirus travalicano ogni confine.

Anche il Web, su cui in questi giorni ci si sta letteralmente rifugiando, per necessità o per noia, deve fare i conti con questo nemico invisibile. I rapporti contrattuali, che, per intenderci, nascono e si sviluppano nel mondo fisico non sono gli unici a subire le ripercussioni dovute all’espandersi dell’emergenza Coronavirus. Un esempio concreto può aiutare a comprendere.

Da qualche settimana a questa parte, siamo stati costretti a utilizzare la rete per svolgere una lunga lista di attività che prima svolgevamo in luoghi fisici: si pensi all’e-learning o allo smart working, che sono diventate esigenze imprescindibili. Come se non bastasse, l’impossibilità di uscire di casa spinge un sacco di persone a passare su Internet il proprio tempo libero.

Ebbene, tutto questo “affollamento” sta facendo crescere il consumo di dati in maniera esponenziale e potrebbe portare al sovraccarico delle reti Internet. Per evitare tale ipotesi, le Istituzione europee sono corse ai ripari imponendo ad alcuni colossi del Web come Netflix, Google e YouTube di realizzare una serie di misure per “decongestionare” la rete.

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Netflix, come anche gli altri due giganti, ha deciso di ridurre il bitrate (cioè, la quantità di dati trasferiti in un determinato intervallo di tempo) sui flussi di streaming in Europa per trenta giorni. Tale misura permette di ridurre il traffico dati sulle reti europee di circa il 25%.

Ma questa non è l’unica conseguenza: la riduzione del bitrate comporta anche un abbassamento della definizione delle immagini. Si fa notare che la maggiore definizione delle immagini viene venduta da Netflix come servizio aggiuntivo: infatti, gli utenti che vogliono guardare le loro serie TV preferite in HD o ultra-HD devono sottoscrivere degli abbonamenti che hanno un costo maggiore.

Tuttavia, questa e altre simili misure, adottate da diversi fornitori di servizi online con lo scopo di dare un aiuto concreto in questa difficile situazione, non potranno certo essere inquadrate semplicemente come inadempimento contrattuale: sarà, infatti, necessario valutarle sia alla luce delle specifiche condizioni contrattuali in essere, sia quali misure adottate su richiesta dell’Autorità.

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