Ecco come Instagram e TikTok ti frullano il cervello per farti comprare roba che non ti serve

I social media possono rendervi più inclini a comprare cose di cui non avete bisogno, prosciugando le vostre risorse cognitive e rendendovi più suscettibili all'influenza sociale.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

  • I social media possono svuotare il cervello
  • Quando si è svuotati mentalmente, è più probabile che ci si lasci influenzare da un alto numero di like sui post.
  • Questo può portarvi a comprare cose di cui non avete bisogno.

La pubblicità è l’anima del commercio, dice il vecchio adagio. E con la giusta pubblicità si può vendere di tutto, anche e soprattutto cose di cui le persone non hanno alcun bisogno. Anche perché se ci limitassimo a comprare ciò che ci serve veramente, la cultura del consumismo sarebbe bell’è che morta.

Abbiamo imparato a resistere alla pubblicità? Abbiamo gli anticorpi necessari per non cadere nella trappola del comprare qualunque cosa tentino di propinarci? Alcuni di noi sanno resistere, ma tanti altri invece no. Soprattutto quando i pubblicitari usano tattiche psicologiche raffinate, che non sarebbe fuori luogo etichettare come psy-ops.

Lo racconta Matthew Pittman, professore di pubblicità e relazioni pubbliche, su The Conversation. “I social media”, dice, “possono essere mentalmente drenanti. E quando si è svuotati mentalmente, è più probabile che ci si lasci influenzare da un alto numero di like sui post, fino al punto di cliccare su annunci di prodotti di cui non si ha bisogno o che non si vogliono”. Il professore ha cercato di fare chiarezza sul fenomeno, con uno studio portato a termine nel 2022.

A quanto pare usare i social media - nel test è stato usato Instagram - ha reso le persone più propense a fare un’acquisto. E per notare la differenza è bastato scorrere i post per 30 secondi. Anche la quantità di “like” sul post pubblicitario è un fattore determinante: più che ne sono e più è probabile che compriamo qualcosa. Ragion per cui gli inserzionisti hanno tutto l’interesse a comprarli, quei like: il fatto che siano autentici oppure no, infatti, non ha la minima rilevanza ai fini della compravendita.

Interrogati sul perché volessero acquistare il prodotto in questione, “coloro che avevano scrollato i social media per 30 secondi hanno spesso dato risposte senza senso. Ad esempio, alcuni hanno dato risposte di una sola parola, come cibo o piatto. Altri ci hanno detto esplicitamente che era difficile da elaborare: C'erano troppe parole e opzioni nell'immagine".

Pare proprio che queste persone fossero cadute vittima del classico "sovraccarico cognitivo dei social”. Una forma di esaurimento mentale che si innesca quando abbiamo troppi stimoli in troppo poco tempo.

“Immaginate”, scrive Pittman, “di chiedere al vostro coinquilino se vuole andare a mangiare una pizza. In condizioni normali, il coinquilino potrebbe prendere in considerazione diversi fattori, come il costo, la fame, l'orario o i suoi impegni. Ora immaginate di porre la stessa domanda al vostro coinquilino mentre è al telefono con un parente malato dopo aver calpestato una cacca di cane e mentre ha appena ricevuto un messaggio dal suo ex ricordandosi di essere in ritardo al lavoro. Non hanno più l'energia mentale o le risorse per valutare logicamente se la pizza per cena sia una buona idea. Potrebbero semplicemente urlare "Sì, certo!" mentre corrono in casa a pulirsi le scarpe”.

Uno dei pochi strumenti di difesa che abbiamo, in situazioni simili, è l’esperienza: se si tratta di un prodotto che conosciamo bene, siamo meno inclini a comprarlo senza ragione. Fantastico, ma nessuno di noi è esperto di tutto, e quindi tutti siamo vulnerabili in qualche misura.

“Gli ambienti ricchi di media”, continua il professore, “come TikTok, Instagram Reels e YouTube sono presumibilmente i più impegnativi dal punto di vista mentale, perché contengono testo, foto, video, animazioni e suoni, spesso tutti insieme e sovrapposti. Queste piattaforme sono anche quelle in cui gli inserzionisti spendono molti soldi, perché offrono un elevato ritorno sugli investimenti per i marchi.

Immagine di copertina: pitinan