È arrivato, almeno negli Stati Uniti: da qualche giorno su Facebook è infatti attivo il tag per segnalare agli utenti i contenuti non attendibili. Si tratta di un'icona composta da un quadrato rosso al cui interno c'è un triangolo con un punto esclamativo rosso su sfondo bianco. L'icona è piuttosto piccola ma molto visibile grazie alle scelte cromatiche. Ad assegnarlo sono terze parti ritenute neutrali ed affidabili, che vagliano le segnalazioni fatte dagli stessi utenti.
Il sistema sembra credibile e trasparente. Anzitutto infatti le notizie, benché così taggate, restano visibili e consultabili e non sono interi siti a essere segnalati ma soltanto le singole notizie. Le organizzazioni che si occupano di valutare le notizie segnalate e applicare il tag devono inoltre aderire a un "codice etico" creato da un'associazione giornalistica non-profit. Basterà?
Ovviamente molti problemi "filosofici" permangono. Il codice etico ad esempio sembra troppo generico e perfino banale nelle sue enunciazioni di principio che sembrano a volte dettate dal semplice buon sensoMa soprattutto non si può definire neutro e super-partes un qualsiasi organo perché qualsiasi discorso, rappresentando una visione del mondo è per forza di cose "di parte" e "politico".
Ancora una volta la soluzione migliore sarebbe dunque il fact-checking duro e puro, il controllo delle fonti e dei fatti enunciati, ma si tratta di un lavoro lungo, che non potrebbe quindi essere tempestivo quanto invece richiedono i legislatori e le forze politiche che nel recente passato hanno criticato Facebook per aver fatto passare delle bufale sulle elezioni USA.
La domanda dunque resta immutata: perché affidare a Facebook un lavoro critico che invece in molti dovrebbero imparare a fare in prima persona quando si informano? Se il sapere è un processo sociale che avviene tramite il confronto critico, basterebbe non fossilizzarsi su un'unica fonte o sulle fonti che ci fanno comodo perché rafforzano le nostre convinzioni, imparando invece a scavare tra fonti antitetiche. Purtroppo però anche organizzarsi in clan e raccontarsi storie atte a rafforzare la propria identità è un processo sociale tipicamente umano, difficile da sradicare.